Il grande ritorno del Nottingham Forest non ha davvero niente di romantico

Un presidente ricco e controverso, i rapporti con Jorge Mendes, un organigramma di grandi nomi e persone fidate: così i Garibaldi Reds sono rinati a nuova vita.

Il Nottingham Forest è la rivelazione della Premier League e allo stesso tempo una squadra poco attraente. Sembra un paradosso visto che ha fatto un girone d’andata sorprendente, con una continuità di risultati inattesa, impronosticabile. Nuno Espírito Santo, l’allenatore arrivato a metà della scorsa stagione, ha disegnato una formazione sbilanciata all’indietro, con tutti i punti di forza in una difesa ferrea, prudente, mentre in attacco ci si arrangia con grandi corse, con la verticalità, con un cinismo quasi hobbesiano. Un gioco primordiale, anomalia tattica per la Premier League del 2025. «Siamo un grande club, ma siamo un grande club solo se ci crediamo», questa frase del capitano Ryan Yates sintetizza perfettamente lo spirito di una squadra che vive sempre in levare, volutamente subalterna sul campo. Ogni partita del Forest ha un’epica cavalleresca che fa onore al soprannome della squadra: Garibaldi Reds.

È stato eccezionale Nuno nel convincere i suoi giocatori che meritano di stare i primi posti della Premier League, cementando lo spogliatoio proprio come aveva già fatto al Porto, al Valencia e al Wolverhampton, come non era riuscito a fare al Tottenham. I risultati premiano questo approccio. Il Nottingham Forest vola in campionato, è terzo dietro Liverpool e Arsenal, seconda miglior difesa ma con numeri offensivi da zona retrocessione. Nella lega più competitiva del mondo è riuscito a fare sei vittorie consecutive, non ci è riuscito nessuno in stagione, nemmeno il Liverpool che ha già mezzo titolo in tasca. E c’è un dato che fa pensare a una storia incredibile, da cinema: delle 70 squadre che hanno fatto almeno 40 punti nelle prime 20 partite stagionali in Premier League, solo quattro hanno chiuso il campionato fuori dalle prime quattro della classifica. Significherebbe qualificarsi per la Champions League. Sarebbe un risultato storico per un club che esattamente 50 anni fa faceva firmare un contratto al leggendario manager Brian Clough, E che con Clough sarebbe diventato due volte campione d’Europa. 

Eppure la stagione del Nottingham è tutto tranne che una storia romantica, la fiaba di Cenerentola che si presenta al gran ballo al palazzo reale è un’altra cosa. Intanto perché questa squadra è costruita con l’aiuto di Jorge Mendes, che più o meno è come vendere l’anima al diavolo. Il super agente portoghese è uno degli uomini più potenti del calcio mondiale, muove giocatori, asset e interessi e soldi, a piacimento. Ha anche distrutto alcuni club: chi prova a fare accordi con lui ma non vuole farsi imporre i suoi nomi e i suoi metodi di lavoro diventa un nemico. L’arrivo in panchina di Nuno Espírito Santo, suo pretoriano e primo nome di peso della sua scuderia all’inizio della carriera, è stata la vidimazione ufficiale del sodalizio tra il club e uno dei cowboy del capitalismo sportivo. Ma prima c’erano già state altre operazioni – Diogo Gonçalves, Joao Carvalho, Gil Dias, Rafa Mir. Oggi nominalmente solo Eric da Silva Moreira, tra i giocatori in rosa, è seguito dalla GestiFute di Mendes, ma i movimenti di mercato sono continui e imprevedibili: un anno fa, per esempio, si diceva anche che a Nottingham sarebbe arrivato Gio Reyna.

Dall’altro lato del tavolo, Mendes ha trovato a Nottingham un interlocutore che non gli è da meno quando si tratta di affari. Il proprietario del Forest è un personaggio romanzesco, più volte paragonato a Silvio Berlusconi perché ha fatto soldi con la sua azienda, poi si è buttato in politica per darsi una spinta e infine ha puntato sul calcio per ripulire la sua immagine. Evangelos Marinakis è un uomo grosso, molto grosso, i capelli radi e la barba da capobastone. Sul braccio sinistro si è tatutato “Sogna, ama, crea, combatti, sopravvivi, vinci”, un memento per tutte le cose che deve fare nella vita. «Non c’è alcun dubbio che quest’uomo abbia un’aura», hanno scritto Matt Slater e Daniel Taylor su The Athletic, e così inizia un lungo articolo in cui il magnate greco viene dipinto come un oligarca con manie di controllo e un po’ mariolo. È figlio dell’armatore Miltiadis Marinakis, da cui ha ereditato una compagnia marittima. Lui ha portato l’azienda di famiglia prima alla Borsa di New York e poi a fondersi con un altro colosso marittimo, oggi la sua holding vale oltre 2,3 miliardi di euro.

È passato poco più di un decennio da quando Marinakis ha deciso di entrare in politica. Ma quella non è mai stata un fine, solo un mezzo, un modo per ampliare l’agenda, aprire più porte, stringere più mani. Discorso diverso per il calcio, dove si è gettato anima e corpo spendendo un sacco di soldi. Prima è diventato presidente della Souper Ligka Ellada (la Serie A greca) e vicepresidente della Federazione calcistica ellenica. Poi nel 2017 l’acquisto dell’Olympiakos, sui cui ha riversato investimenti enormi, soprattutto per la riqualificazione dello stadio e del centro sportivo. Negli ultimi anni ha ampliato il portafogli: si è ritagliato un posto nel calcio inglese con l’acquisizione del Nottingham Forest, per puntare all’élite globale, e poi ha preso il Rio Ave per poter giocare su più tavoli contemporaneamente. Qualche giorno fa Fabrizio Romano ha postato su X una delle sue notizie citando un certo “Marinakis Group”, perché ormai l’imprenditore greco si comporta proprio come il City Football Group o la Red Bull.

Nel frattempo Marinakis ha investito anche nel settore dei media. Tra i suoi asset ci sono una stazione televisiva, giornali, riviste e siti di ogni tipo. Si dice anche che alcune licenze televisive le abbia ottenute con gare d’appalto non proprio trasparenti. Le testate giornalistiche gli servono per controllare tutto, voci di corridoio, trattative in corso, notizie grandi o insignificanti. Gli aneddoti si sprecano, stiamo parlando di un personaggio che sembra uscito dalla penna di uno sceneggiatore. Quando è al City Ground di Nottingham segue le partite con grande pathos, si spoglia un pezzo alla volta con foga come faceva Max Allegri in panchina, sempre seduto sul suo trono – quasi letteralmente: ha una poltrona che è un pezzo unico in tribuna, è la più grande di tutte, viene tirata a lucido prima di ogni partita. Da presidente dell’Olympiakos invece si è distinto per i discorsi fiume in spogliatoio e al centro d’allenamento. Una volta era così esasperato per una striscia negativa di tre vittorie in otto partite che ha minacciato i giocatori di metterli tutti fuori squadra e di schierare in campo l’Under-20. Nella trasferta successiva l’Olympiakos ha perso 3-0. L’estate successiva ha fatto una quarantina di operazioni di mercato tra entrate e uscite.

Per Marinakis tutto ciò che si discosta dalla sua visione del mondo e dalle sue aspettative è un affronto personale. È uno abituato a ottenere ciò che vuole. E quando non ci riesce prova a prenderselo con la forza. A marzo, dopo una sconfitta casalinga del Nottingham Forest con il Liverpool, ha inseguito l’arbitro Paul Tierney lungo il tunnel degli spogliatoi. È servito l’intervento della sicurezza per fermarlo. Anni fa il nome di Marinakis era saltato fuori tra i tanti del primo scandalo calcioscommesse greco. Il caso “Koriopolis” ha coinvolto un sacco di persone tra il 2011 e il 2012, dai vertici federali a dirigenti, giocatori e arbitri, poi si è chiuso con un’assoluzione generale. È stato anche coinvolto nelle indagini sul caso della petroliera Noor One (si parlava di traffico di esseri umani e stupefacenti), anche qui assolto per mancanza di prove. Venerdì scorso un tribunale ha stabilito che Marinakis ha diritto a portare avanti un’enorme causa per diffamazione contro Irini Karipidis, presidente dell’Aris Salonicco, e altre tre persone, tra cui Ari Harow, ex capo dello staff del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu. La campagna diffamatoria denunciata da Marinakis lo vedrebbe al centro di casi di partite truccate e traffici di droga, nonché a a capo di un’organizzazione criminale.

Evangelos Marinakis ha acquistato la maggioranza delle quote del Forest nel 2017. CInque anni dopo, il club di Nottingham è tornato in Premier League 23 anni dopo l’ultima volta (Molly Darlington/Copa/Getty Images)

Tutto di Marinakis trasuda grandezza, ambizione, potenza. Anche il suo “Marinakis Group” è un universo in espansione. La prossima destinazione è il Brasile, dove ha individuato il Vasco da Gama tra i club da inserire nel network. Si parla anche di un interesse per il Monza. Per ricoprire i ruoli dirigenziali vengono presi solo grandi nomi o persone fidate. Gli ultimi arrivati sono Edu Gaspar, ex direttore sportivo dell’Arsenal, che ha firmato per uno stipendio triplo rispetto a quello che prendeva dai Gunners, e Lina Souloukou, l’ex CEO della Roma che aveva già lavorato con Marinakis all’Olympiakos e ha già le mani in pasta in tutte i club del gruppo. Loro due si aggiungono a un organigramma piuttosto scarno, in cui figura anche Miltiadis Marinakis, figlio del campo: muscoli da lottatore e capello ingellato, secondo alcuni insider è l’astro nascente del Nottingham Forest. Per ora aiuta a gestire i trasferimenti e coordinare i lavori dirigenziali. Ha solo 25 anni.

La stessa ambizione di Marinakis si riflette nel calciomercato del Nottingham Forest. Prendiamo la sessione in corso: il club potrebbe comportarsi esattamente come una big del calcio inglese, non come una squadra che sta giocando al di sopra delle proprie possibilità e deve monetizzare con delle cessioni. Il Nottingham Post suggerisce che il club non venderà nessuno dei suoi migliori giocatori – i più richiesti sono Anthony Elanga, Murillo, Morgan Gibbs-White e Callum Hudson-Odoi – e anzi probabilmente arriveranno uno o due rinforzi per l’attacco, dove Chris Wood sta facendo la stagione della vita ma non ha un vero backup.

Sarebbe un segnale importante, come ne sono già arrivati tanti nelle sessioni scorse. Nell’estate del 2022, dopo la promozione in Premier League furono formalizzati 22 acquisti in due mesi. Tutto il possibile per sopravvivere nel tritacarne della massima serie inglese. Dopo due stagioni di lotta-salvezza, l’estate scorsa è arrivato il cambio di passo. Una spesa complessiva di 105 milioni tra Elliot Anderson, Nikola Milenkovic, Morato e acquisti minori. Tutto coordinato da un importante lavoro di scouting che ha permesso di individuare i giocatori e chiudere le trattative in poco tempo. Così Nuno ha avuto la possibilità di costruire con calma la sua formazione titolare.

I risultati del Nottingham nel girone d’andata sono stati eccezionali, sorprendenti. Forse non dureranno a lungo, forse la concorrenza di Chelsea, Manchester City e Newcastle alla lunga si rivelerà insostenibile e il sogno di un ritorno in Champions League svanirà in primavera. Però i numeri e le prestazioni degli ultimi mesi sono una realtà, sono già una certezza. Sono soprattutto la testimonianza che in Premier League, ai vertici della piramide calcistica globale, di miracoli non se ne fanno. Si può solo lavorare per fare in modo che ogni pezzo del puzzle sia al posto giusto e puntare più in alto possibile. Per farlo ci vuole una proprietà forte, ci vuole intuito e anche capacità di programmazione. Ci vogliono soprattutto un sacco di soldi e gli agganci giusti. Altro che storie romantiche.