La Serie A è tornata a essere divertente e competitiva

Tanto talento, tanti progetti interessanti e un ritrovato appeal nei confronti del pubblico: dietro l'inarrivabile Premier League, nel calcio del 2024, c'è il campionato italiano.

Il momento in cui Berat Djimsiti e Marten de Roon hanno alzato il trofeo dell’Europa League, naturalmente stiamo parlando dell’Atalanta vincitrice dell’edizione 2023/24, deve essere considerato come una cesura storica. Per la società bergamasca, certo, ma anche per tutto il nostro campionato: era da 25 anni, infatti, che i club italiani inseguivano la vittoria nella seconda coppa europea; ed era dal 2010 che una squadra di Serie A non riusciva a imporsi in uno dei due tornei principali organizzati dall’UEFA – la Conference League vinta dalla Roma nel 2021/222 è stata istituita proprio in quella stagione. Questo lunghissimo digiuno, unito alla sensazione – si potrebbe dire virtuale certezza, ma vabbè – di aver vissuto una tristissima e surreale banter era, ha alimentato un sentimento di autoflagellazione del tutto proporzionato alle autocelebrazioni degli anni Ottanta e Novanta: così come quarant’anni fa la Serie A si presentava e raccontava se stessa come il campionato più bello del mondo, e forse era proprio così, in seguito si è passati al disfattismo misto alla critica distruttiva, a un atteggiamento per cui la Premier e la Liga sarebbero rimaste irraggiungibili per l’eternità, e questo era assodato, ma il punto è che in Italia presto avremmo fatto la fine della Ligue 1 e dell’Eredivisie, qualsiasi cosa volesse dire.

È chiaro, lo abbiamo già detto, in effetti il calcio italiano ha attraversato degli anni bui. Nel 2024, però, è arrivata la conferma che serviva: siamo dentro un trend ascendente, almeno per quanto riguarda la Serie A, i club che vi partecipano. E il trionfo in Europa League dell’Atalanta, come dire, deve essere considerata come la conseguenza di un processo che va avanti da tempo, che riguarda il progetto di Percassi e Gasperini, naturalmente, ma che in realtà coinvolge anche altre realtà del nostro calcio. Sì, magari il campionato italiano non riesce più (o ancora?) a esprimere top club in grado di lottare ogni anno per vincere la Champions, ma intanto qui da noi è fiorita un’enorme competitività di secondo livello: subito dopo le big del nostro tempo – Manchester City, Real Madrid, Bayern Monaco, ecc – ci sono proprio le nostre squadre.

A conferma di queste letture, ecco un po’ di dati significativi: stando al Ranking Uefa degli ultimi due anni, la Serie A ha guadagnato più di otto punti sulla Bundesliga e addirittura dieci sulla Liga, consolidando il secondo posto generale alle spalle della Premier League; secondo gli indicatori statistici dell’IFFHS, istituto di storia e statistica del calcio, la Serie A è stata la miglior lega del mondo dell’anno solare 2023; infine, ma non in ordine di importanza, anche il dato sul pubblico allo stadio conferma un’inequivocabile crescita dell’interesse interno verso il nostro campionato: nonostante non ci siano stati grossi cambiamenti dal punto di vista delle infrastrutture, l’indice di riempimento degli stadi di Serie A per la stagione 2023/24 si è attestato al 92,5%. Dieci anni fa, nel 2015, eravamo al 55%.

Insomma, la Serie A offre uno spettacolo di buonissimo livello e ha ritrovato, nell’ordine, competitività internazionale e appeal sul fronte interno. Soprattutto se guardiamo ai tifosi che frequentano gli stadi. Certo, bisogna anche tener conto del fatto che i numeri relativi al riempimento degli stadi possano risentire un po’ dall’effetto-rimbalzo post-pandemia, cioè dalla voglia di tornare a vivere eventi dal vivo dopo due anni di chiusure, ma in ogni caso vanno inquadrati per quello che sono: le testimonianze di una crescita reale del prodotto. E che diventa ancor più netta se, paradossalmente, andiamo a indagare laddove si manifesta più nitidamente la disparità economica con la Premier League: mentre i club inglesi vivono e operano su un altro universo, la Serie A resta il secondo mercato calcistico a livello globale, sia per denaro movimentato in uscita – cioè per acquistare nuovi giocatori – che per quello in entrata; e poi, proprio guardando al flusso dei trasferimenti dall’Italia verso l’Inghilterra, è evidente come le squadre di Serie A siano diventate un serbatoio importante per le società più ricche del mondo: nelle ultime tre estati, i vari Romero, Kiwior, Scamacca, Udogie, Hojlund, Tonali, Onana, Kulusevski, Okoli, Calafiori, Zirkzee e tanti altri hanno generato un introito complessivo superiore ai 750 milioni di euro. E basta scorrere di nuovo questa lista per rendersi conto che si tratta di profili con caratteristiche e background differenti: ci sono italiani e stranieri, ci sono giocatori allevati nei nostri vivai così come ci sono ragazzi presi dall’estero e valorizzati. C’è una sola caratteristica che accomuna tutti questi giocatori: si tratta di talenti non ancora maturi, con un ampio margine di sviluppo e di affermazione.

Ecco, forse il punto centrale dell’analisi è proprio questo: nel mezzo di un’era caratterizzata da enormi squilibri economici e quindi competitivi, la Serie A ha saputo ritagliarsi un ruolo di primo piano, per quanto subordinato alla Premier League, nella filiera di scoperta e valorizzazione dei giocatori. L’ha fatto attraverso la competenza degli scout e dei dirigenti, alimentando l’idea ormai storicizzata per cui il nostro campionato sia un grande laboratorio tattico, un contesto in cui i calciatori possono crescere in alcuni aspetti essenziali, per esempio nella comprensione del gioco. In questo senso, il passaggio – lungo, complicato ma inevitabile – da un sistema localistico e mecenatistico a uno più orientato al business puro, quindi aperto anche a investitori stranieri, ha avuto un impatto significativo. Allo stesso tempo, però, si deve sottolineare come le nostre eccellenze secolari – il lavoro creativo degli allenatori, lo sviluppo di nuovi modelli di gioco, la convinzione per cui un giocatore sia completo e maturo solo se lo è dal punto di vista tattico e fisico – si siano evolute nel modo giusto.

E infatti oggi i tecnici, ma anche i direttori sportivi, i coach, gli scout di Serie A, e in generale quelli che si sono formati in Italia, appartengono all’élite: Simone Inzaghi, Gasperini e Conte sono considerati dei top manager a livello internazionale, Ancelotti e Maresca continuano la grande e ininterrotta tradizione dei tecnici italiani nei campionati esteri più importanti, De Zerbi e Farioli sono il nuovo che avanza; la figura del direttore sportivo all’italiana è diventata comune in tutto il mondo, e oggi come oggi basterebbe citare solo Giovanni Sartori (Bologna), Tony D’Amico (Atalanta) e Andrea Berta (che ha appena lasciato l’Atlético Madrid dopo undici anni) per comprendere l’impatto che hanno queste figure.

Alla fine di tutto questo discorso, ma non per importanza, c’è il campo. Dal punto di vista del gioco, la Serie A degli anni Venti è un campionato avvincente, stimolante da guardare, che magari può essere dominato da una squadra (il Napoli 2022/23, l’Inter 2023/24) ma su cui è difficile imporre una dittatura totalitaria. Lo dimostra la classifica di quest’anno, lo dimostra il fatto che gli ultimi cinque scudetti sono andati a quattro squadre diverse. Inoltre, e anche questo è un aspetto fondamentale, questo livellamento economico e le idee che circolano, che fervono a tutte le latitudini di classifica, hanno creato un ascensore di status che funziona bene, per chi sa investire nelle giuste professionalità: lo scudetto del Napoli, l’esplosione dell’Atalanta e poi del Bologna, la stabilizzazione di squadre con modelli virtuosi – si pensi alla Fiorentina, al Sassuolo prima della retrocessione, al Lecce, all’Empoli e al Como – nascono da progetti fondati sul talento e su un’identità di gioco ricercata, non esclusivamente di sopravvivenza, non puramente speculativa. Per dirla in parole semplici: oggi anche le piccole della Serie A credono in un calcio che possa valorizzare e non mortificare le qualità dei giocatori, non a caso in questa stagione la media gol per partita è pari a 2,73, una quota ancora più alta rispetto all’annata 2023/24 (2,61). Nel 1984/85,  giusto per fare un confronto, il campionato più bello del mondo produceva 2,1 gol per match. Forse, come dire, è arrivato il momento di rivedere certi giudizi, certe posizioni, certi aggettivi: la Serie A contemporanea non sarà la lega più ricca e più bella in assoluto, ma di certo è una delle più divertenti.