Ma allora quel matto di Dibu Martínez è il miglior portiere del mondo?

L'argentino sta confermando il suo livello anche in Champions League. Senza rinnegare la sua natura istrionica, i suoi comportamenti controversi.

Ci sono stati due momenti da highlights in Aston Villa-Juventus, la settimana scorsa. In entrambi, Damián Emiliano “Dibu” Martínez è riuscito a prendersi un ruolo da protagonista, anche se ha partecipato attivamente solo a uno dei due. Il primo è chiaramente il salvataggio sul colpo di testa di Conceição, la vera sliding door della partita. Una parata di posizione, di un portiere piazzato bene, che aveva seguito la traiettoria con gli occhi e con i piedi. Poi però è andato giù in una frazione di secondo, il tempo di reazione minimo per un essere umano. L’unica soluzione possibile per togliere dalla porta un gol praticamente fatto. Nei minuti di recupero, nell’altra area, c’è stato l’altro momento importante. Su un cross di Tielemans a tempo abbondantemente scaduto, Di Gregorio ha mancato il pallone in uscita e Rogers alle sue spalle ha segnato a porta vuota. Solo che l’arbitro Gil Manzano ha annullato tutto per un fallo di Diego Carlos sul portiere juventino. Anche qui Martínez è riuscito in qualche modo a prendersi la scena: durante il terzo tempo a metà campo, ha incrociato il collega e lo ha preso in giro, le mani sul petto, una smorfia di dolore, poi una risata. Una teatralità immotivata per deridere Di Gregorio, per accusarlo. Forse è un modo come un altro per stigmatizzare l’altalena emotiva vissuta per il gol e poi l’annullamento. O forse voleva dire a Di Gregorio che l’arbitro l’aveva graziato per l’errore in uscita, una cattiveria gratuita per mandarlo negli spogliatoi con una dose aggiuntiva di sensi di colpa.

Sono due diapositive perfette per raccontare il Dibu Martínez: un portiere eccezionale e un rompicoglioni insopportabile. Martínez è sempre sopra le righe, sempre in eccesso, drammatico e a volte un po’ patetico. Ma non sarebbe giusto raccontarlo solo come il teppistello del calcio, che diventa interessante solo se è cafone o spaccone o comico. Anzi, con un portiere di 32 anni ci si potrebbe sganciare da certi riferimenti, dai soliti aneddoti, a partire dal soprannome, quel “Dibu” legato a una serie tv argentina – “Mi familia es un dibujo”, metà animata e metà no – il cui protagonista è un cartone, Dibu appunto, diminutivo di dibujo (disegno), un bambino con capelli rossi, lentiggini e animo irrequieto. Un apodo è per sempre, va bene, e il suo è anche particolarmente originale. Ma non deve far perdere di vista il campo, cioè il fatto che si tratta di un portiere fortissimo, arrivato ai piani più alti del calcio europeo con i numeri per essere protagonista.

Al momento, in Champions League, Martínez ha subito un solo gol su 25 tiri, peraltro su calcio di rigore, e ha tenuto la porta inviolata anche contro una candidata al titolo come il Bayern Monaco. In Premier invece l’Aston Villa ha perso la solidità degli ultimi due anni – il 3-0 appena incassato dal Chelsea ne è una dimostrazione – ma l’argentino aiuta la squadra in molti modi. Gioca bene con entrambi i piedi, sa muoversi lontano dalla porta per seguire l’azione e comandare la difesa; alterna parate di posizione a balzi improvvisi. Due anni fa, qui su Undici, Davide Coppo lo descriveva come «un omaccione di due metri con un atletismo mostruoso». È anche uno che sa lavorare per migliorarsi, come ha fatto per tutta la vita, in una carriera con una lunghissima gavetta e molta attesa: «Lavoro per essere la versione migliore possibile di me, mi lancio 500 volte al giorno in allenamento per essere all’altezza delle aspettative dei tifosi», ha detto la scorsa estate in ritiro con la Nazionale.

Con l’Albiceleste, Martínez si è guadagnato un posto nell’Olimpo del calcio argentino. È il portiere della formazione tornata sul tetto del mondo dopo 36 anni, e poi di nuovo vincente in Copa América la scorsa estate. Detiene anche il record di imbattibilità nella storia della Nazionale, con la porta inviolata per più di otto partite, 751 minuti totali. Record che apparteneva al Mono Germán Burgos. Anche con l’Argentina gli aneddoti più rappresentativi sono sempre duplici. Prendiamo i Mondiali vinti nel 2022. Di Martínez sono rimaste nella memoria due istantanee. La prima è legata a uno dei fondamentali che padroneggia meglio, l’uscita bassa. È la parata su Kolo Muani in finale, quella che per Diário Ole ha cambiato la storia del calcio: ha chiuso una serie di finali perse dell’Argentina iniziata nel 2014 e proseguita con le Copa América del 2015 e del 2016. In un’intervista a The Athletic tre anni fa aveva detto: «Cerco di mettere fretta agli attaccanti che stanno per prendere una decisione». E ancora: «Quando alza lo sguardo sono lì vicino a lui. E una volta che aspetto lo faccio fino in fondo. Non scommetto. Quando mi vedono fermo ad aspettare non sanno dove tirare». Col senno di poi tutto sembra così perfettamente logico.

Il secondo episodio è arrivato pochi minuti più tardi, quando ha ricevuto il premio come miglior portiere del Mondiale, e lui, davanti a uno stadio pieno, sotto gli occhi dello sceicco qatariota, in mondovisione, se l’è portato tra le gambe a simulare un pene. Un portiere eccezionale e un rompicoglioni insopportabile.

Quando la scorsa estate ha rinnovato il contratto con l’Aston Villa fino al 2029, gli account social del club l’hanno presentato come il portiere migliore del mondo. Che è una forzatura ormai accettata nel linguaggio di internet. È una forzatura perché Martínez non ha le stimmate del predestinato come Donnarumma, non ha cambiato i dogmi del ruolo come Neuer, non sembra un titano insuperabile come lo sono Alisson, Courtois, Oblak o Ter Stegen in certe serate. E forse è vero che l’argentino non è ancora al loro livello in senso assoluto. Ma per continuità nelle prestazioni – soprattutto se confrontate agli infortuni e i contrattempi dei colleghi – e palmarés e leadership può entrare nella top ten con questi mostri sacri del gioco.

La parata più importante di tutti i tempi? (Buda Mendes/Getty Images)

Negli ultimi anni, Martínez ha iniziato a distinguersi dagli altri grandi portieri di questa generazione per lo stile e l’originalità nell’interpretazione del ruolo. Sembra quasi che vincere la sfida psicologica con un attaccante sia più importante del semplice gesto di fermare un tiro, di impedire un gol. Tiranneggiare gli avversari sul piano mentale, con trash talking e mezzucci di ogni tipo, è un guilty pleasure che stuzzica ogni portiere. Ma solo per Martínez sembra una ragione di vita, che lo conduce a un cinismo quasi machiavellico.

Nel tempo, l’argentino ha raffinato un’arte sottile ma subdola, irritante, che indugia sui confini sfumati di cosa è lecito e cosa no. Martínez vuole ricordarci che il calcio non è solo uno sport di atleti veloci e forti, di tecnica e talento. Somiglia più a una battaglia in un’arena con poche regole, e a volte bisogna arrangiarsi. Si vede soprattutto nei calci di rigore, dove il confronto tra portiere e attaccante si gioca su più livelli, scava nella psiche e nell’emotività. Durante la Copa América del 2021, ai calci di rigore che portavano in finale, aveva fatto una premonizione a Davinson Sánchez, primo tiratore della Colombia: «Mi dispiace ma ti mangio, fratello». E quello aveva sbagliato. Poi lo stesso con Yerri Mina: «Stai ridendo ma lo so che sei nervoso. Fai pure il matto, ti conosco, ti piace fare il matto. Ma vedi che se incroci te la paro. Guarda che ti mangio, fratello». Un altro errore. E così ogni volta, un piccolo teatro, divertente o esasperante a seconda dei punti di vista. O dei gusti.

Negli archivi video del calcio mondiale c’è “un Dibu” per ogni cattivo pensiero: Dibu che esulta sotto la curva dei tifosi avversari invece di festeggiare con i suoi compagni, Dibu che zittisce i tifosi avversari, Dibu che balla sulla linea di porta prima di parare un rigore, Dibu che stuzzica Cristiano Ronaldo mentre Bruno Fernandes va sul dischetto, Dibu che si fa ammonire anche durante i calci di rigore in Europa League, Dibu che colpisce una telecamera che gli si avvicina dopo una sconfitta. Sembra quasi che goda nel farsi odiare. Una mosca bianca in un ambiente in cui i calciatori intorno a lui si fanno icone, brand, sigle, attentissimi all’immagine e a ogni gesto, mentre lui vive secondo le sue regole. Se fosse una sceneggiatura sarebbe il villain perfetto. Anche perché sa fare benissimo il suo lavoro.