La notizia dell’acquisizione del Torino da parte di Red Bull non è ancora una notizia vera e propria. Senza fonti dirette è troppo difficile capire a che punto sia davvero la trattativa, ammesso che ne esista una. Tra le tante dichiarazioni uscite sui giornali è difficile distinguere la verità dalle bugie, o il grado di veridicità di una singola affermazione. Secondo alcune voci, l’amministratore delegato dell’azienda di energy drink, Mark Mateschitz, avrebbe un piano di ingresso biennale nel club: prima come main sponsor, poi come proprietario della maggioranza. Dall’altro lato il presidente del Torino, Urbano Cairo, si è limitato a smentire tutto, a dire che non ha intenzione di vendere. Di certo degli incontri tra Cairo e i vertici dell’azienda ci sono stati, anche perché – questa non è una notizia – Red Bull è Official Energy Drink Partner della squadra granata da questa stagione. La partnership è stata annunciata a settembre ed è già sul sito ufficiale del club, con tanto di foto di Che Adams che si fa un sorso dalla lattina con il toro disegnato sopra.
La prospettiva di avere un club marchiato Red Bull in Serie A è in ogni caso molto interessante, se non altro perché sarebbe un investimento diverso da tutti quelli fatti dal brand nel calcio fin qui. Il network Red Bull è stato costruito con interventi mirati e graduali, sempre con un impegno a lungo termine. Al vertice della piramide c’è il Lipsia, un gradino più giù il Salisburgo, più in basso ancora le formazioni extraeuropee, New York e Bragantino (Brasile). Poi ci sarebbero gli investimenti nel Paris FC e nel Leeds United, ma per ora Red Bull possiede solo quote di minoranza e non è ancora chiaro che ruolo avrà nei prossimi anni.
Il Lipsia, come detto, è la formazione ammiraglia della flotta. È l’unica presente in uno dei grandi campionati europei, la Bundesliga, e da anni è ai vertici della classifica. Ma sembra anche aver raggiunto un soffitto di cristallo, lo stesso di tutte le altre squadre tedesche: il dominio del Bayern Monaco sul campionato ha otturato le ambizioni di crescita a lungo termine delle rivali. Ed è proprio qui, in questo punto che un’eventuale acquisizione del Torino si fa piuttosto intrigante. Perché Red Bull prenderebbe un club con margine di crescita, numeri (stadio, città, tifosi) e storia per costruire un percorso ambizioso, da vertice della classifica. E lo farebbe in Italia, dove l’ascensore che porta ai piani alti del campionato funziona molto bene per chi ha pazienza e risorse, per chi può progettare, investire, aspettare – Napoli, Atalanta, Bologna e Fiorentina sono ottimi modelli da cui partire.
A differenza delle altre grandi leghe europee, in Italia non ci sono superteam egemoni come Real Madrid e Barcellona, come Manchester City e Liverpool, come Bayern Monaco e Paris Saint-Germain. Se in Premier League anche una squadra gestita dal fondo saudita Pif come il Newcastle – cioè il club più ricco del mondo – fatica a stare più stagioni al vertice, dovendo competere con una decina di squadre ricchissime per l’Europa, in Serie A stabilirsi ai primi posti del campionato sembra un’operazione sensibilmente più facile. Nel portafogli Red Bull il Torino avrebbe solo il Lipsia davanti a sé, per importanza. Almeno in partenza. Sarebbe quindi in una posizione simile a quella del Girona nel City Football Group. Il parallelismo dovrebbe essere una buona notizia per i tifosi granata: il club catalano raccoglie i migliori giocatori del gruppo dopo quelli del Manchester City, da anni non smette di crescere in tutti i parametri societari e la scorsa primavera è arrivata anche una storica qualificazione in Champions League. Si potrebbe immaginare anche un paragone anche con il Palermo, dove il City Football Group sta facendo le cose in grande. Solo che il Torino è già molto più avanti dei rosanero, in ogni aspetto.
In tutti i luoghi in cui è arrivata, Red Bull ha voluto cambiare colori e simbolo del club che rilevava. Ha cancellato i loghi vecchi per sostituirli con i tori e i colori del brand, a costo di far sembrare tutto un po’ artificiale e posticcio. Con il Torino, molto probabilmente, sarebbe diverso. Intanto perché è una società con un’identità fortissima, radicata sul territorio, con una storia gloriosa. E poi ci sarebbe il grande vantaggio di avere già il toro come simbolo: non è chiaro come verrebbe gestito questo aspetto, ma di sicuro Red Bull per la prima volta avrebbe un vissuto e un’immagine societaria su cui costruire. Non dovrebbe inventarsi cattedrali nel deserto come a Lipsia, oppure costruire una nuova legacy come fatto a Salisburgo – dove la progressiva sparizione dell’Austria non è stata molto apprezzata dal tifo locale, d’accordo, ma non si trattava di una squadra appartenente all’élite europea.
Il legame del Torino con storia e territorio sembra la prima preoccupazione del popolo granata. Eppure è lo stesso leitmotiv della gestione Cairo. I tifosi da tempo lo chiamano “Presiniente” e lui non ha fatto molto per farsi amici in città. Come ha già scritto Andrea Ebana su Sportellate, Cairo si è fatto odiare spostando la sede operativa del club a Milano, ricostruendo male il Filadelfia e chiudendolo al pubblico, considerando i giovani solo potenziali plusvalenze, abbandonando al degrado i luoghi di culto granata come la lapide di Superga o quella di Gigi Meroni. Chi teme che una corporation come la Red Bull possa comportarsi in maniera fredda, cinica e non rispettare l’identità del Torino noterà che è già così con Cairo.
Dall’altro lato, per il Torino entrare in una multi-club ownership come quella dell’energy drink significherebbe soprattutto godere di grandezze di scala altrimenti inaccessibili. L’esempio migliore è quello dello scouting: i granata avrebbero a disposizione i database Red Bull, potrebbero arrivare in anticipo e per nuove rotte a quei talenti che stanno emergendo a Salisburgo, in Brasile o in MLS, e anche in Africa (Red Bull ha portato in Europa Patson Daka, Amadou Haidara, Diadie Samassekou, Sekou Koita e molti altri). Ci sarebbe poi da attingere a know how, metodi e idee di mercato già rodate, elementi che in Italia spesso mancano in sede di mercato. Queste conoscenze condivise hanno portato le squadre Red Bull a fare grandi plusvalenze negli ultimi anni, con Christopher Nkunku (venduto a 66 milioni), Joško Gvardiol (90), Dominik Szoboszlai (70), Dani Olmo (55), solo per citare gli ultimi. Se il Torino negli ultimi anni ha provato a crescere con il player trading, acquistando per rivendere a cifre più alte, come fatto con Bremer e Bellanova, con Red Bull alle spalle potrebbe fare lo stesso elevando a potenza tutta l’equazione.

Ci sono anche i lati negativi, ovviamente. Qualche settimana fa Sebastian Stafford-Bloor su The Athletic faceva il punto sulle difficoltà del Lipsia nell’ultimo salto di scala verso le big del calcio europeo. Spiegava che in questo gioco di ricambio frenetico di giocatori, il club tedesco ci rimette in termini di identità e di coesione del gruppo: «Le rose del Lipsia non stanno mai insieme abbastanza a lungo per maturare e acquisire l’esperienza necessaria a gestire una stagione di altissimo livello. Il Lipsia è progettato per migliorare i giocatori, il che significa che deve far fronte alle difficoltà di ogni percorso di crescita e agli errori che i giocatori inesperti inevitabilmente commetteranno». Ma per il Torino già arrivare fino a questo punto, considerando la situazione attuale, sarebbe un grande segnale di crescita.
C’è poi da considerare l’importanza che potrebbe assumere nel network in una prospettiva di lungo periodo. Torino potenzialmente potrebbe offrire più margini di crescita di Lipsia, per questioni ambientali, di prestigio del campionato e di immagine del club a livello mondiale. Inoltre un’eventuale acquisizione del Torino potrebbe essere letta come un’evoluzione dell’intero progetto calcistico di Red Bull, che entrerebbe in una nuova dimensione. In questo senso anche l’ingresso in società di Jürgen Klopp, dopo un corteggiamento di almeno due anni, è un segnale significativo: dopo aver perso il suo padre nobile Ralf Rangnick, e soprattutto dopo la morte di Dietrich Mateschitz, fondatore dell’azienda di energy drink, la macchina Red Bull sembrava essersi ingolfata. E forse proprio per questo il brand ha bisogno di rilanciarsi. Klopp e Torino potrebbero essere i nomi giusti. Per ridare energia a tutto il progetto.