Tenere a freno la domanda, perché lui ha già risposto. «Diventare un’icona del Paris? Sinceramente non lo so. Penso solo a dare il meglio ogni giorno, per essere il migliore il più spesso possibile”» A furia di tenere i fari spenti, Bradley Barcola è arrivato nel club più glamour del mondo ad appena vent’anni. Se l’è preso a suon di sprint, giocate, gol – già otto nella stagione in corso – e ora ne illumina il nuovo ciclo tecnico. Nonostante il fardello di chi è chiamato a colmare il vuoto più grande. «Può arrivare al livello di Mbappé», confida in questi giorni Javier Pastore, capostipite del genio offensivo nel Psg a trazione qatariota. E l’ultimo di una lunga serie di personaggi che hanno scommesso su Barcola. Dopo che a lungo non ci aveva scommesso nessuno: due anni fa a quest’ora, il classe 2002 era ai margini del Lione. Destinato a una cessione al San Gallo, nel periferico campionato svizzero. Pochi mesi dopo, invece, le fulminee scuse del mercato: paga Al-Khelaifi, 45 milioni più cinque di bonus. Potrebbe perfino rivelarsi un affare.
All’epoca delle giovanili, Bradley veniva chiamato la sauterelle: cavalletta. E non era certo per profetizzare quest’acrobatico salto nel calcio. Anzi: è un epiteto che ne legittima l’agilità palla al piede, i repentini cambi di passo. Ma al contempo predica attenzione: giocatore fragile, effimero. I numerosi scout passati per Lione, dove Barcola è cresciuto sin dal 2010, preferivano segnarsi il nome dei suoi compagni. Oggi si mangiano tutti le mani. Lo stesso Olympique ci ha messo parecchio a rendersi conto del suo futuro talento. Si deve in parte al carattere del ragazzo: discreto, riservato, poco incline a mettersi in mostra in un’età in cui saper farsi vedere è tutto. «Nessuno l’avrebbe mai immaginato», racconta a The Athletic Franck Passi, il secondo di Laurent Blanc in prima squadra durante il debutto di Barcola. «Quando abbiamo saputo dell’interesse del Psg, credevamo tutti che fosse per fare panchina: un’evoluzione del genere non si era mai vista».
La svolta risale ai Mondiali del 2022. Per la Francia la più cocente delusione, per Bradley una manna dal cielo. Perché mentre i Bleus soccombono a Doha, il Lione a Dubai gioca una serie di amichevoli d’alto rango. Lì l’esterno con le treccine fa vedere grandi cose, partendo da sinistra per poi irrompere in area sul piede destro: la specialità della casa. Ma al ritorno in patria viene rispedito tra le riserve. Soffre, sente di meritare di più. Finisce per non giocare nemmeno col Lione B. Valigie già fatte. Poi però Karl Toko Ekambi parte prima di lui: Blanc si ritrova con le carte sparigliate e un buco in attacco. Barcola, che fino ad allora aveva assaggiato soltanto scampoli di professionismo, si ritrova titolare e segna contro il Metz in Coupe de France. Da lì in poi è un treno. Dice che «trovarsi al fianco di Lacazette è un onore, avevo il suo poster in camera mia». E quando gli serve l’assist per il 150esimo gol in maglia Lyonnais, il veterano lo ringrazia così: «Per mesi interi è rimasto in panchina senza fiatare. Era triste: glielo si leggeva negli occhi. Questa è la sua rivincita e ora ce la godiamo insieme». Il resto è storia nota.
Creatività e velocità non mancano di certo
Quasi più dei colpi di classe, di Barcola stupisce la precoce capacità di ascoltare. A partire dai suoi punti di riferimento in campo: Lacazette a Lione, Mbappé e Dembélé a Parigi. È figlio di una cultura mista, franco-togolese, e di una famiglia semplice che non gli ha mai montato la testa. Il fratello maggiore Malcolm è portiere nel Paços de Ferreira, il passato calcistico della mamma ha ispirato entrambi: «Devo tutto al loro supporto», dice Bradley. Negli anni si è ispirato a Aubameyang, a cui sentiva di somigliare tecnicamente, e soprattutto a Cristiano Ronaldo. «Per la sua mentalità, la sua qualità di competere e allenarsi duramente: l’ho adorato con tutto me stesso». Non è un caso se alla fine ha scelto il suo procuratore, e se Jorge Mendes ha scelto lui. Di CR7, Barcola condivide l’etica del lavoro. E l’inclinazione ad autoisolarsi dalla pressione esterna.
Non bastasse il metodo, a fargli da scudo ci pensa Luis Enrique. Forse il nome più decisivo per l’esplosione del fantasista. Dopo pochi mesi al PSG, l’allenatore dice di «amare tutto di lui. È un giocatore con enormi margini di miglioramento, che apporta ai suoi strappi straripanti un prezioso lavoro difensivo: è magnifico averlo con noi». Più Barcola sfavilla, più incombono le etichette scomode. Mbappé al Real, eredità da raccogliere: scontata suggestione mediatica. «Non lo so e non mi preoccupa», risponde l’allenatore. «Quando non è lui a decidere le partite, ci pensa qualcun altro: è così che funziona una squadra. Non esiste alcuna responsabilità extra, dobbiamo proteggerci a vicenda e nessuno dei miei ragazzi deve subire il peso delle aspettative». Questo è l’ambiente di cui Bradley ha bisogno.
Il problema è che l’enfant prodige persevera: soltanto a settembre viene eletto calciatore del mese in Ligue 1 – di cui è tuttora capocannoniere – e realizza il gol più veloce nella storia della Nazionale francese. 12 secondi, un fulmine su Di Lorenzo prima della rimonta azzurra. Più incoronazione di Kylian: «Si merita tutto questo. È un grande valore per la Francia e il PSG: mi auguro però che mi farete le stesse domande su di lui anche quando non segna». Tattica Luis Enrique. Viene da osservare che Barcola, a tutt’oggi, non ha ancora trovato la sua prima rete in Champions League: su gentile invito di Mbappé, noi ne scriviamo prima.