Se la Premier League finisse oggi, il Nottingham Forest festeggerebbe il ritorno in Champions League dopo 45 anni di assenza dal massimo torneo europeo. Detta così sembra una barzelletta, o comunque una cosa assurda: fino a qualche anno fa, infatti, si trattava di una squadra che dava l’impressione di voler annegare nella sfortuna, destinata a soffrire o comunque a non emergere mai più dalla mediocrità. Neanche il ritorno in Premier League, datato estate 2022, aveva cambiato molto questa percezione: il Forest si è salvato per due stagioni consecutive, è vero, ma l’ha fatto in modo sofferto o comunque anonimo, senza mai alzare l’asticella delle ambizioni. Eppure al City Ground sono passati dei giocatori importanti (e costosi) come Keylor Navas, Renan Lodi, Jesse Lingard, Divock Origi e Nuno Tavares prima che esplodesse alla Lazio, poi è arrivato anche un tecnico di buon livello come Nuno Espírito Santo. Ma niente, non c’era verso di rispolverare la storia gloriosa di una grande storica del calcio inglese. Poi è iniziata la stagione 2024/25, e finalmente le cose sono cambiate. In modo radicale.
Il terzo posto a sei punti dal Liverpool è un capolavoro in itinere costruito in modo diverso rispetto al passato: gli sforzi del club sul mercato si sono concentrati soprattutto su giocatori Under-25 ancora da valorizzare (Anderson è arrivato per 41 milioni, Ramón Sosa per 12, Morato e David Carmo per 11), ma non sono mancati anche dei colpi un po’ più a effetto, per esempio l’acquisto di Milenkovic dalla Fiorentina e quelli di Ward-Prowse e Álex Moreno. Nel frattempo Espírito Santo ha lavorato soprattutto sulla compattezza difensiva, e i risultati sono davanti agli occhi di tutti: al momento il Nottingham Forest ha la seconda miglior difesa della Premier League (sette gol subiti, l’Arsenal è a quota sei) e ha lasciato la porta inviolata in quattro partite su dieci. L’espressione offensiva non sarà spumeggiante, ma le ripartenze in campo aperto funzionano piuttosto bene: è così che si sono materializzate le vittorie contro Liverpool e West Ham, le più significative in questo inizio di stagione.
Secondo Espírito Santo, il Forest «ha ancora dei margini di miglioramento». In effetti finora il tecnico portoghese ha dovuto fare a meno di Gibbs-White, Sangaré e di Danilo, e non è ancora riuscito a lanciare definitivamente Morato e Ward-Prowse. Al tempo stesso, però, ha trovato gli appunti strepitosi di Chris Wood, tornato per la prima volta ai livelli del Burnley, di Ola Aina e di Callum Hudson-Odoi, esterni creativi ma anche di gamba che hanno trovato l’ambiente giusto per rivitalizzare la loro carriera. Insomma, il Nottingham Forest è una squadra di buona qualità, assemblata bene e allenata ancora meglio. In questo senso, il Telegraph ha scritto che «i meriti di questa rinascita vanno attribuiti soprattutto al lavoro di Espírito Santo, su cui aleggiava un certo scetticismo dopo l’esperienza negativa al Tottenham. Non va sottovalutata nemmeno l’importanza di una pre-season organizzata bene, sia a livello di tempi che di spazi: in questo modo, il manager portoghese è riuscito a costruire un gruppo coeso e in sintonia con le sue idee».
Per la prima volta dopo tanti anni, al City Ground si respira un entusiasmo vivo, pulsante: in occasione dell’ultima gara contro il Newcastle, i tifosi di Nottingham hanno intonato il coro “Forest are back” per celebrare un grande inizio di stagione. È un modo anche per prepararsi a un eventuale ritorno in Europa, che a questo punto è diventato un obiettivo realistico. Tra l’altro c’è anche un dato statistico piuttosto significativo: sono passati trent’anni esatti dall’ultima gara internazionale del club, dal gran percorso fatto dal Forest nella Coppa UEFA 1995/96, quando i Reds eliminarono Malmö, Auxerre e Lione prima di perdere ai quarti contro il Bayern Monaco. Fu l’ultimissimo colpo di coda di tre lustri gloriosi, di un’era irripetibile iniziata ai tempi di Brian Clough, all’alba degli anni Ottanta. Oggi forse non è il caso di citare o anche solo immaginare quei successi, ma un Forest così competitivo autorizza a pensare a qualcosa di più che a un’anonima salvezza. Finalmente, viene da dire.