Federico Dimarco sta diventando un’icona pop

In pochissimi calciano come il laterale dell'Inter, forse nessuno, e anche la sua storia fuori dal campo è davvero unica.

Secondo Osvaldo Soriano, esistono tre tipi di calciatori. Ci sono quelli che vedono gli spazi liberi, gli spazi che chiunque vedrebbe persino dalla tribuna. Poi ci sono quelli che ti mostrano uno spazio libero, uno spazio che avresti notato soltanto osservando attentamente. Ci sono infine i calciatori che ti colgono di sorpresa, quelli che creano un nuovo spazio dove non avrebbe dovuto esserci nessuno spazio. È difficile stabilire quanto suoni audace, oggi, inserire Federico Dimarco tra gli appartenenti a quest’ultima categoria, una sorta di élite quasi inaccessibile. Quando si parla di certi giocatori, d’istinto viene da pensare a un trequartista creativo, magari a una mezzala offensiva, oppure a un esterno d’attacco dal dribbling avvolgente, non certo a un esterno a tutta fascia. Basta però prendere in esame le ultime partite di Nations League, e si ottiene un manifesto delle qualità abbaglianti di Dimarco, che sembra essere entrato in un nuovo – e definitivo – stadio evolutivo della sua carriera: oggi è un giocatore che sa creare un nuovo spazio dove non avrebbe dovuto esserci. 

Il dibattito, nelle ultime settimane, si è acceso con prepotenza su un tema divisivo: Federico Dimarco è il miglior giocatore di piede mancino attualmente in Europa? Si noti: non il miglior esterno di piede mancino, proprio il miglior giocatore. Due giocate, entrambe contro il Belgio, danno spessore alla tesi di chi pensa che sì, nessuno calcia il pallone col sinistro come fa Dimarco. L’assist per l’1-0 segnato da Andrea Cambiaso è un emblema della pulizia tecnica dell’esterno della Nazionale: non un normale cross da un quinto all’altro, come potrebbe sembrare a una prima e superficiale visione. È la perfezione formale del gesto, per tempismo e anche estetica, a renderlo fuori dal comune. Poi l’apertura immaginifica di collo esterno, e di prima, a tagliare il campo, una genialata che ha fatto letteralmente saltare dalla sedia e gridare di estasi il duo Rimedio-Adani in telecronaca (e noi a casa) qualche istante prima del 2-0 degli Azzurri.

Il momento di grazia di Dimarco trova riscontro nei numeri clamorosi della sua stagione, almeno finora. Parliamo infatti del miglior crossatore in Europa, con 64 cross scodellati dentro l’area. Più di chiunque nel suo ruolo, più di Grimaldo del Bayer Leverkusen (50), più del rivale nei derby Theo Hernández (21). Ma non è tutto: Dimarco migliorato soprattutto nella precisione dei cross (dal 27 al 33%). Insomma, quest’anno Dimash sbaglia meno. E gioca più alto, più da ala che da laterale a tutta fascia. Infatti vince meno contrasti (circa il 7% in meno) perché ha meno compiti difensivi.

È sempre complicato inquadrare una rivoluzione tattica e culturale mentre questa è in corso. È più facile farlo a posteriori. È stato così nel caso dei terzini diventati playmaker (Joshua Kimmich e Alexander-Arnold) e anche, più recentemente, nel caso dell’ultima stregoneria di Guardiola nel suo City, ovvero i centrali adattati al posto dei terzini (il famoso 3+2 con Stones terzino/regista). Lo stesso discorso si può fare con Dimarco, che sembra fare paradigma a sé nel ruolo inedito di esterno-rifinitore, un giocatore di fascia che non fa però del dribbling e dell’esplosività le sue armi canoniche. No. Dimarco fa la differenza con la sua tecnica di calcio, con gli stop di velluto e con la sua creatività nell’ultimo terzo di campo. Un qualcosa di unico

C’è un altro dato che inquadra l’importanza sempre maggiore rivestita da Dimarco. L’anno scorso, allo stesso punto della stagione, l’esterno dell’Inter non aveva mai giocato 90 minuti per intero. Nel 2024/25 è successo in quattro delle prime sette gare di campionato. Dimarco è l’esterno che in rosa ha collezionato più minuti, più di Darmian, Carlos Augusto e Dumfries. Per Simone Inzaghi, i cui meriti nella consacrazione di Dimarco sono palesi e forse esclusivi, è diventato praticamente insostituibile. È come se l’Inter pendesse dalla sua parte, verso sinistra Non è un caso che in due delle partite meno positive della stagione nerazzurra, quella a Monza e il derby contro il Milan, Dimarco sia stato il migliore dei nerazzurri. La stessa influenza l’ha avuta nell’Italia di Spalletti, una Nazionale in fase di ricostruzione dopo gli Europei. Abbiamo già detto delle magie contro il Belgio, non del golazo alla Francia o dell’assist cattedratico per Frattesi contro Israele. Il Dimarco visto in azzurro, insomma, è un déjà vu di quello nerazzurro. Come a dire: puoi togliere il ragazzo da Inzaghi, ma non puoi togliere Inzaghi dal ragazzo. 

Detto del Dimarco calciatore, ora vale la pena raccontare anche il Dimarco personaggio. Qualche giorno fa, durante la trasmissione Fontana di Trevi, trasmessa in diretta da Cronache di Spogliatoio, Riccardo Trevisani ha azzardato un paragone tra l’esterno nerazzurro e David Beckham: «Pare brutto dirlo, ma le traiettorie che fa fare al pallone sono di quel livello lì. È quasi sconveniente averlo in campo, non si può avere uno con quel piede lì». Volendo stare al gioco, ci domandiamo: ma in che senso Dimarco ricorda Beckham? Forse non sono tanto e solo le traiettorie effettate, il modo che ha di “tagliare” la palla (da qui il titolo del famoso film Bend it like Beckham, letteralmente tagliala come Beckham), e forse neppure la testa ossigenata che fa tendenza. C’è da fare un passo più in là: Beckham è stato un grande calciatore ma è stato anche qualcosa di diverso, di altro. Un precursore, un uomo che ha esteso la propria influenza ben oltre il pallone e l’ha fatto prima di chiunque. Ecco, si può dire che, naturalmente a modo suo, anche Dimarco si stia trasformando in un’icona pop?

L’anno scorso, l’interista è entrato a far parte di Roc Nation, l’agenzia sportiva e commerciale di Jay-Z. Si tratta di un’azienda che cura gli interessi sportivi degli atleti, ma anche e soprattutto il loro posizionamento culturale fuori dal campo. La scelta di integrare il proprio roster – che conta già nomi illustri come Vinícius e De Bruyne – con Dimarco è indicativa del valore di mercato (in termini di rendimento, ma anche guardando al potenziale extracampo) del laterale dell’Inter. Dimarco, peraltro, incarna perfettamente i valori dello sportivo moderno. Si guardi alla sua storia, un vero e proprio romanzo di formazione, anche edificante: nato e cresciuto a Milano, passato dalle giovanili dell’Inter (di cui è da sempre tifoso), esordisce in prima squadra a 17 anni, poi vive l’ascesa e infine la consacrazione, tutto in maglia nerazzurra. Dal secondo anello alla seconda stella, come recita il titolo del minifilm che ha pubblicato sui propri social media nei mesi scorsi, alludendo ai tempi in cui da bambino andava in curva. 

Un viaggio, un sogno

Le atmosfere evocative del cortometraggio – ambientato tra Milano città e San Siro stadio – e il riassunto emozionale del suo intimo viaggio dell’eroe lasciano intravedere un lato profondamente umano. E restituiscono l’immagine di un calciatore responsabile, intelligente, di un uomo che conosce il suo posto nel mondo e che in questo mondo sa starci. Poi, l’ultimo take del minifilm lo immortala nella sua posa ormai celebre, quella della sua esultanza. Un emoji inconfondibile, questa: ¯\_()_/¯. Il suo modo iconico di festeggiare i gol è un altro elemento chiave del brand-Dimarco, un altro segno di riconoscibilità e originalità. Dimarco ha persino una sua catchphrase, cioè una frase caratteristica, neanche fosse una superstar WWE. Il suo “Ciao grandi” con cui chiude quasi tutti i suoi post social è un messaggio inclusivo, un modo di dire che sono uno di voi, sono ancora il bambino che va al secondo anello.

Dimarco è un ragazzo della Z4, la Zona 4 di Milano Est, la stessa della crew dei vari Rkomi, Tedua. Si potrebbe definire “Dima”, come lo chiamavano dalle parti di Porta Romana, un calciatore-trapper, per lo stile e per l’attitudine. E perché il calcio che da bambino praticava nei campi di periferia di Calvairate ha gli stessi tratti di genuinità che vediamo oggi. Un calcio street, si potrebbe dire anche un calcio tamarro.  Insomma, siamo nella fase in cui la trasformazione dell’interista da campione a icona si sta effettivamente verificando. Forse il compimento definitivo lo avremo quando, tra qualche anno al cinema, tra uno sbadiglio e una manciata di popcorn, ci metteremo comodi e guarderemo un film dal titolo Bend it like Dimash. Però magari il titolo italiano sarà Sognando Dimarco, chissà.