È ricominciata la storia d’amore tra Lukaku e Conte, ed è più forte che mai

Il Napoli è costruito intorno al centravanti belga. Che si sta confermando l'interprete perfetto per le idee del suo allenatore, quelle vecchie e quelle nuove.

Quello tra Antonio Conte e Romelu Lukaku non si può confinare semplicemente in un rapporto speciale tra allenatore e giocatore. Penso a José Mourinho che si portò Ricardo Carvalho dal Porto al Chelsea, a Simone Inzaghi con Acerbi, a Mihajlovic che volle De Silvestri in tre club diversi, a Sarri con Hysaj, oppure mi viene in mente Spalletti con Nainggolan e potranno dimenticarne molti. Ma vi chiedo: ricordate un calciatore che è rimasto fermo tutta un’estate, e che si è allenato sulla base delle indicazioni di un allenatore che non era ancora il suo? Ricordate un calciatore che ha rinunciato due volte alla Nazionale per restare con il club e per raggiungere il livello di condizione che richiede il suo allenatore? Ricordate un calciatore che viene sostituito e quando va in panchina sembra un membro dello staff per come partecipa, soffre, esulta?

Certo: quando le cose vanno bene è tutto più facile. Ma se le cose vanno bene è anche per via di questa relazione che definirei un matrimonio, un rapporto di complicità come quello che si ha in una coppia. Marco Bucciantini ha detto, nel corso di uno dei suoi interventi a Sky Sport: «Dove c’è Lukaku si pesca sempre». È una brillantissima metafora, ma vale la pena chiedersi: perché all’Inter con Inzaghi non era così? E alla Roma? Dove sta la differenza? Semplice: Antonio Conte, il suo matrimonio con Lukaku.

Insomma, la storia si ripete. La coppia si ritrova per provare a vincere ancora. Ma come e perché Lukaku è così impattante nel calcio proposto da Conte? Partiamo da un dato posizionale, su dove orbitano Lukaku e chi gli sta attorno.

Per comprendere al meglio il senso di queste mappe, affidiamoci a due statistiche significative: il Napoli è 11esimo in Serie A per possesso palla ed è quartultimo per possesso palla nella propria metà campo. La squadra di Conte, in generale, non ricerca un possesso palla esasperato, ma ha una strategia chiara: nella propria metà campo, il pallone deve stare pochissimo, serve la giocata veloce e verticale alla ricerca di Lukaku. L’obiettivo è guadagnare un tempo di gioco e trovare Romelu. Che, in una situazione del genere, è il giocatore ideale, visto che quasi nessuno è in grado di anticiparlo. Il Napoli esegue questo meccanismo in automatico, nel minor tempo possibile, con Lukaku posizionato sul centro-destra che attira a sé i difensori avversari.

Attorno a Lukaku orbitano giocatori con funzioni specifiche, che danno al centravanti diverse, ma chiare, opzioni di scelta: l’ampiezza con Politano o Di Lorenzo, il sostegno con Lobotka, la profondità con Neres o Kvara, l’appoggio interno nello spazio sempre passando Kvara oppure da Mc Tominay, che vengono dentro al campo quando il belga si defila. Riprendendo Bucciantini: dove c’è Lukaku, si pesca sempre. Nell’ultima sfida contro il Como, per esempio, Lukaku ha fatto il 30% dei passaggi in ampiezza, verso Politano, il 20% a Lobotka, il 25% a Mc Tominay, il 15% a Kvara e il 10% in profondità, verso David Neres. Insomma, tutti i giocatori sanno cosa fare, hanno diverse opzioni, possono fare diversi movimenti automatici. Il minimo comun denominatore, l’uomo-chiave per lo sviluppo offensivo del Napoli, è però sempre lo stesso: Romelu Lukaku.

E allora non sorprende che il centravanti belga, specializzato nel passaggio in profondità, abbia già servito quattro assist. I gol a referto sono tre, uno ogni 116 minuti di gioco: c’è una leggera overperformance, a confronto con il dato degli Expected Goal (2,17). Lukaku fa solo il 12% dei suoi tocchi in area, a riprova della richiesta di Conte: allargarsi e abbassarsi per ricevere palla sulla prima costruzione azzurra. Il dato in cui può ancora crescere? La pulizia delle giocate: la sua percentuale di passaggi riusciti è di 67%, mentre gli altri centravanti di Serie A hanno una media di 77%.

Ma cos’è cambiato rispetto a quando Lukaku era alla Roma e, naturalmente, non era allenato da Conte?  Confrontando i dati, molti valori sono diversi: Lukaku a Roma ha messo insieme solo tre assist, e segnava in media un gol ogni 203 minuti. Era migliore la sua precisione di passaggi, pari al 73%, così come la percentuale di palloni giocati in area di rigore (18%). In questa stagione Lukaku è meno presente in area, ha la posizione media simile a quella dell’anno scorso ma i compiti sono diversi: il da riferimento offensivo per far risalire la squadra, si è trasformato quasi in un “regista” spalle alla porta, in un fulcro, posizionato nella metà campo avversaria, attorno al quale ruotano i compagni, con mansioni specifiche e complementari.

Antonio Conte si è calato in modo fantastico nella sua nuova avventura a Napoli. Chi sospettava dei conflitti tra lui e De Laurentiis dimenticava una cosa: il presidente del Napoli lascia lavorare i suoi allenatori, come dimostrato con Spalletti, Benitez, Mazzarri e Ancelotti. Gli mette a disposizione del materiale tecnico di buona qualità e interviene solo quando necessario. Ovvio, se ci saranno problemi lui e Conte potranno cozzare, ma questo vale sempre quando ci sono in campo due personalità così forte, così complesse.

Ma Conte, a certe condizioni, sa diventare devastante, un imperatore. Un numero uno per impatto immediato nel club in cui arriva. Sa entrare nella testa dei giocatori, sa farsi seguire mentalmente e tatticamente. Questa energia trasuda dal televisore quando si vede una partita del Napoli. E tutto ciò è possibile grazie allo Shaquille O’Neal azzurro, Romelu Lukaku, il centravanti-pivot che rende realtà le idee del suo allenatore. La relazione è evoluta, ormai è un matrimonio.