Endrick, diciottenne sfrontato

Un po' fenomeno un po' bulletto: a Madrid, in un modo o nell'altro, si sono già innamorati del brasiliano.

Tutti avete già sentito parlare di Endrick. Tuttavia è molto più probabile che negli ultimi mesi vi siate imbattuti in uno spot pubblicitario in cui c’era lui, o magari in un video social dal titolo sensazionale tipo “Il nuovo fenomeno del Real non sbaglia un gol in allenamento!”, piuttosto che averlo visto effettivamente all’opera in un campo di calcio per più di una manciata di minuti consecutivi. La storia di Endrick, prodigio 18enne preso dal Real Madrid per una cifra complessiva di 72 milioni quando di anni ne aveva ancora 16, assomiglia alla storia di tanti: c’è un ragazzino precoce e tremendamente talentuoso, c’è una famiglia umile in un contesto sociale ed economico ostile nel Sud del mondo (nel caso di Endrick, la periferia di Brasilia). E c’è un sogno comune, la trasposizione calcistica del Sogno Americano: partire dal niente per arrivare al successo, e farlo attraverso il pallone. Ciò che distingue Endrick dagli altri come lui, da chi è nato e si è consacrato partendo dalla condizione naturale di underdog, sta nell’attitudine ostentata nei suoi primi mesi a Madrid. Qualcosa che, lo diciamo già, prescinde in parte da quello che concretamente sta facendo e ha fatto in campo nei soli 107 minuti complessivi rimediati in stagione.

Prima, comunque, vale la pena menzionare i record che Endrick, maggiorenne dal 21 luglio scorso (ah, a proposito: è nato lo stesso giorno di Haaland), ha già stabilito dal suo approdo in Europa in estate. Ecco i più significativi: è diventato lo straniero più giovane a segnare con la maglia del Real Madrid in Liga, a 18 anni e 35 giorni; è diventato il marcatore più giovane della storia dei Blancos in Champions League, grazie al gol realizzato contro lo Stoccarda, aggiornando il primato di Raúl e portandolo a 18 anni, 1 mese e 27 giorni; contro l’Alavés, il 24 settembre, ha già toccato le 100 (cento!) presenze da professionista (82 con il Palmeiras, undici con il Brasile, sette con il Madrid). Prima di compiere 18 anni, con la Nazionale maggiore, aveva già segnato al Bernabéu contro la Spagna e a Wembley contro l’Inghilterra. E la prima rete è arrivata quando aveva ancora 17 anni, come Pelé. In poche parole: Endrick va veloce. Ed è sempre andato veloce. Sin dalle giovanili del Palmeiras. Sempre tra quelli più grandi, sempre tra quelli più forti.

Sì, ma che giocatore è? La definizione più appropriata (e colorita) l’ha data Ancelotti dopo il gol all’esordio in Champions League: «Tiene huevos», cioè “ha le palle”. Okay, non proprio un ritratto tecnico-tattico esaustivo. Ma in qualche modo rende l’idea. Basta andare a riguardare quel gol per capire in che senso “tiene huevos”: 40 metri di contropiede solitario, poi, a ridosso dell’area avversaria la possibilità di servire da un lato Vinicius e dall’altro Mbappé. E invece: mancino potente dal limite e gol. Una locura, l’hanno definita in Spagna. Un’esibizione di arroganza da campetto di periferia, però fatta al Santiago Bernabéu.

È arrivato il momento di rivederlo

Endrick sembra un giocatore primordiale. Non per forza nel senso di grezzo. Prendete i suoi due predecessori più illustri, Neymar e Vinícius, e arrivate fino a lui: è chiaro come si registri una progressiva e graduale semplificazione del repertorio tecnico. Quello di O’ Ney, estro allo stato puro, è forse l’ultima espressione del Joga Bonito. Più “misto” il bagaglio di VIni: trick a volontà, sì, ma anche forza nei piedi e nei muscoli, un altro livello di atletismo. E poi c’è Endrick, col suo calcio meno spettacolare, più essenziale. Un calcio vorace più che fantasioso, estremamente efficace. L’ha sintetizzato lui stesso, qualche anno fa, parlando a Marca: «Sono un giocatore di carattere, che cerca sempre di fare le cose più difficili. Cerco di risolvere le partite, di giocare molto di squadra, che è la cosa più importante. Non mi fermo mai, voglio sempre di più. Se segno un gol, ne voglio due; se ne segno due, ne voglio tre. A chi non mi conosce, direi che sono molto tenace».

L’accento, insomma, l’ha messo lui stesso sulla testa, più che sui piedi. Perché Endrick non è il più classico dei baller brasiliani. Non dovete immaginarvelo così né aspettarvi che vi rubi l’occhio da un momento all’altro. Anche perché, prima di tutto, non parliamo di un esterno d’attacco. Anche se Ancelotti lo ha schierato più volte in fascia, per motivi tattici più che altro, Endrick è un attaccante centrale. Brevilineo (173 centimetri), esplosivo, col motorino nei piedi. E con un mancino niente male (ma sa usare anche il destro). Per caratteristiche, è stato associato a due giocatori come Romário e Agüero. È velocissimo, scaltro. Per l’applicazione al ruolo, non sembra di vedere giocare un diciottenne. Per non dire del fisico: due quadricipiti così, a Valdebebas, non li vedevano forse dai tempi di Roberto Carlos.

La vera differenza con tutti i suoi coetanei, però, sta nell’aura che emana. Si pensi alla definizione di aura: è quell’atmosfera distintiva o quella qualità che sembra circondare o essere generata da una persona, cosa, posto. Poi si pensi a un’immagine specifica. Dopo la vittoria di un torneo Under 16 nel 2021 col Palmeiras, diventa virale uno scatto in cui Endrick viene portato in spalla dai compagni, ai suoi piedi una folla in festa, una foto praticamente identica a quella iconica di Pelé dopo la vittoria del Mondiale del 1970.

Endrick è l’incarnazione finale del calciatore della Gen Z. E ne è una prova la costruzione scientifica che c’è alla base della sua immagine. Parte dei meriti dei suoi 13,6 milioni di follower su Instagram è di Roc Nation, l’agenzia commerciale fondata da Jay-Z (la stessa che cura gli interessi di Vinícius, De Bruyne, Dimarco), che trasforma i giocatori in autentici brand e influenza il loro posizionamento sociale e culturale. L’agenzia ha il controllo creativo e “morale” dell’atleta ed è responsabile dell’immagine che quest’ultimo restituisce al mondo attraverso i social media. Basta farsi un giro sul profilo Instagram di Endrick, in cui si alternano scatti di campo intrisi di aura (appunto), video-challenge in allenamento, trailer pubblicitari di cui il 18enne è già testimonial, per accorgersi di quanto maniacale sia la cura dell’etica e dell’estetica del personaggio-calciatore. Un’esposizione mediatica forse non così compatibile con l’età e la fase della vita di chi è pur sempre un ragazzino. “E” di Endrick, ma anche di Entertainment. Calcio come intrattenimento, spettacolo e non più soltanto sport.

Insomma, tutto ciò che circonda Endrick ha già dei contorni iconici. A partire dal suo soprannome, Bobby, coniato dai suoi compagni di nazionale dopo un’intervista rilasciata dal giocatore al termine della vittoria con l’Inghilterra, in cui rivelava il suo idolo inaspettato, Bobby Charlton. Un po’ come se Timothée Chalamet confessasse di ispirarsi a Gary Cooper. Ma ci sono tanti altri esempi da cui partire per raccontare il personaggio-Endrick. Eccone due, uno di campo e uno extra campo. Il primo, lo scorso 24 settembre contro l’Alavés al Bernabéu: sul risultato di 3-0 per i Blancos, al minuto 82, il brasiliano rifila un calcione a palla lontana all’inguine del difensore Mourino, rimediando solo il giallo. Un colpo proibito (e non è la prima volta che gli accade), un gesto da bulletto che evidenzia una certa sfacciataggine nonostante l’età. Poi l’episodio durante la presentazione del videogioco FC25, quando ha ripreso il compagno Bellingham che aveva iniziato a parlare al pubblico in inglese, dicendogli: «Siamo in Spagna, devi parlare in spagnolo». Una gag, ovviamente, che però delinea ancora una volta la personalità esuberante dell’attaccante del Madrid. Parliamo di un ragazzo che a 18 anni si è già sposato, dimostrandosi precoce non solo in campo. L’ha fatto in estate, con Gabriely Miranda, 21enne modella brasiliana, quando i due erano già noti per aver firmato una sorta di contratto prematrimoniale che li obbligava, tra le altre cose, a dirsi “ti amo” e vietava altre parole. La storia di Endrick, come detto, ricorda la storia di tanti. L’infanzia difficile, poi l’ascesa bruciante. C’è giusto una differenza. In quanti, come lui, si sono già messi a fare la storia?