Marcus Thuram è diventato grande

L'attaccante francese si è preso l'Inter e sta dominando la Serie A alla fine di un percorso tortuoso.

Il primo gol di Marcus Thuram contro il Torino è da vero numero nove, quello che aspetta il cross dal lato, stacca in mezzo ai difensori e poi segna di testa. Solo che lui sta in aria una vita, ha una levitazione cristianoronaldesca e il colpo di testa sembra avere il power up di un videogioco: forte e preciso, piazzato col joypad. Non è solo il gol di un centravanti, ma il gesto atletico di un uomo molto elastico, esplosivo, al passo con la contemporaneità del calcio. Anche il secondo gol al Torino è da centravanti d’area, ma in questo caso Thuram sta su pochissimo. La differenza la fa con il balzo con cui si stacca all’indietro. Mentre il terzo è un po’ più fortunato perché, dopo la respinta di Milinkovic-Savic, non ha lo spazio per colpire pulito il pallone: una coordinazione sufficiente per calciare in fretta e verso la porta, quanto basta per portarsi il pallone a casa.

La partita di Thuram era iniziata con un intervento criminale di Guillermo Maripán sulla sua caviglia e si è chiusa con la sua prima tripletta italiana. Uno statement fortissimo da parte di uno degli attaccanti più forti e decisivi del campionato. Lo dimostra anche la classifica marcatori: Thuram è primo a sette gol, come Mateo Retegui. E anche questa coabitazione dice qualcosa. Perché, proprio come Retegui, Thuram sa segnare con tagli sul primo e sul secondo palo, sa trovare lo spazio in area, aspettare l’attimo buono. Nel suo campionato ci sono anche gol segnati frugando nella spazzatura della partita, come la doppietta all’Atalanta, alla terza giornata, in entrambi i casi su un pallone rimasto un po’ troppo in area e in aria, colpendolo male, d’istinto, senza pensarci troppo. Solo che a Retegui – come molti attaccanti di quel quel tipo – si chiede il gol e poco più, mentre Thuram fa anche altre cose. Fa più o meno tutto.

A 27 anni, Thuram è nel prime della sua carriera. Ed è un giocatore irrinunciabile nella squadra campione d’Italia, la squadra di Lautaro Martínez, Hakan Calhanoglu, Nicolò Barella e Alessandro Bastoni.  Prima che lo comprasse l’Inter, The Athletic gli aveva dedicato un profilo sintetico, fatto di domande e risposte. Ecco la prima: «Cosa lo rende un giocatore eccitante?» Risposta: «In una parola, potenza». Le doti fisiche sono il primo pilastro delle sue prestazioni, ma nell’ultimo anno abbiamo scoperto che c’è molto di più: Thuram non è un freak atletico che carica a testa bassa, ha più tecnica e comprensione del gioco di quel che credevamo quand’è arrivato in Italia, fa una quantità di cose che non ci aspettavamo, e probabilmente sono tutte queste cose insieme a renderlo speciale.

Forse c’entra anche la sua carriera, il suo vissuto, nel senso più romantico, retorico e stucchevole di questa espressione. Perché Thuram ha sempre fatto la differenza per le sue squadre, fin dall’inizio. Come quando ha portato il Guingamp in semifinale di Coppa di Lega, per altro eliminando ai quarti il Paris Saint-Germain. O alla sua prima stagione in Germania, al Borussia Mönchengladbach, chiusa con dieci gol e la qualificazione in Champions League giocando da esterno offensivo. Poi è arrivata l’estate del 2021, l’Inter l’aveva praticamente acquistato già allora, ma Thuram si è rotto il collaterale mediale e la sua carriera è cambiata, è rallentata. Quando è tornato ha dovuto adattarsi a un corpo ancora sensazionale ma diverso, più massiccio, forse meno fulmineo. E ci ha messo un po’. A un certo punto è sembrato anche uno di quei what if di cui il calcio è pieno. Per tornare a prendersi la scena ha dovuto imparare a fare più spesso la punta, cucendosi addosso il ruolo alla sua maniera. Ha dovuto perfezionare tante cose, lavorando sui suoi difetti per aggiungere nuove feature, come un software che si aggiorna per stare al passo con i tempi, finché può.

Nel frattempo ha modellato la sua immagine fuori dal campo, sulla scena francese e mondiale. Una presenza scenica che ricorda a tutti, ogni volta che parla, che lui è il figlio di Lilian Thuram, e da lui ha ereditato anche una forte consapevolezza del suo ruolo pubblico. Non poteva essere altrimenti per un calciatore che prende il nome da Marcus Garvey, il politico giamaicano, leader sindacale all’inizio del Novecento che ha lottato tutta la vita, anche negli Stati Uniti, per migliorare le condizioni di lavoro inumane delle persone afrodiscendenti. Thuram è stato tra i primi in Europa a inginocchiarsi a sostegno del movimento Black Lives Matter. E la scorsa primavera è stato tra i leader vocali della Nazionale francese che, prima degli Europei, sensibilizzava i cittadini al voto e all’importanza del processo democratico contro populismi e razzismi. Quando gli hanno chiesto dell’ascesa dell’estrema destra in Francia alle elezioni del Parlamento europeo e della prospettiva che il Rassemblement National di Marine Le Pen – partito di estrema destra, sovranista, populista – potesse prendere la maggioranza alle elezioni di luglio, ha detto: «Dobbiamo tutti combattere ogni giorno affinché questo non accada e affinché RN non abbia successo». È difficile stabilire quanto fosse una risposta di pancia e quanto riuscisse a essere lucido e freddo, di sicuro Thuram ha quel pregio di non sembrare mai fuori luogo anche quando va oltre la sua figura di uomo di campo.

L’anno scorso ha stappato la stagione dell’Inter in un derby che è sembrato un’opa sul campionato. Una partita che Thuram ha dominato dal primo all’ultimo minuto. Nel gol del 2-0 ha seguito la transizione guidata da Dumfries, ha inseguito un passaggio troppo lungo con le sue falcate ampie. L’uno contro uno successivo con Thiaw è diventato una specie di manifesto di superiorità di un attaccante su un difensore: dopo un attimo di stallo si è creato lo spazio per andare sul destro, lasciar andare la gamba come una mazza da baseball per un tiro secco all’incrocio dei pali. Con quella prestazione si è rivelato soprattutto un giocatore perfetto per Inzaghi. Per questo non ci ha messo molto ad abituarsi alla sua nuova squadra.

Effettivamente è un gol che merita di essere rivisto da ogni posizione

Quella partita ha dimostrato che Thuram avrebbe potuto dare tantissimo all’Inter, portandola su nuove rotte rispetto ai predecessori Dzeko e Lukaku. Per esempio con il suo apporto in costruzione, situazione in cui il francese – pur non avendo la tecnica di Dzeko o il corpo possente di Lukaku – ha ampliato le soluzioni perché ha dilatato gli spazi, quindi i tempi, per una squadra che aveva meccanismi già oliati. Ma non solo, perché lo stesso Thuram ha trovato nell’Inter, quindi nel calcio di Simone Inzaghi, il contesto perfetto per esaltarsi, per scoprire la miglior versione possibile di sé in questa fase della carriera.

La capacità dell’Inter di ribaltare il fronte velocemente, di sfruttare il campo lasciato dagli avversari, quindi di arrivare in area con pochi tocchi e tanti uomini è una specie di eldorado per uno specimen fisico come Thuram. Il suo dinamismo in certe partite sembra semplicemente fuori scala. Forse anche più di quanto non lo sia sulla carta, in astratto. Perché, per l’Inter e per Inzaghi, Thuram ha tutto ciò che serve per leggere e interpretare al meglio azioni verticali, rapide. E poi ci sono quelle caratteristiche da attaccante descritte all’inizio, le doti di un calciatore che sa rendere bene anche in situazioni di gioco più statiche, più fisiche, frequenti anche in un calcio fatto di combinazioni meccaniche come quello dei nerazzurri.

Ciò che ha fatto Inzaghi non è necessariamente guidato da uno spirito maieutico. Si può leggere un certo pragmatismo nel lavoro dell’allenatore dell’Inter, sublime nel creare intorno ai suoi giocatori pattern perfetti per esaltarne le doti migliori. Tutto il resto viene nascosto, polvere da mandare sotto il tappeto. Forse è per questo che Thuram è ancora un attaccante che fatica a trovare continuità sotto porta: se quest’anno è a sette gol in sette partite, prodotti da soli 2,6 xG (un dato inevitabilmente destinato a normalizzarsi sul lungo periodo), l’anno scorso in Serie A ha fatto 13 gol da circa 15 xG (Fbref ne segna poco più di 14, Understat almeno 1 in più). Non è ancora mai stato uno di quelli che buca le previsioni degli expected goal, forse non lo sarà mai.

Le sue difficoltà si sono sublimate in quell’errore al 75esimo contro l’Atlético Madrid, al Wanda Metropolitano, nella partita di ritorno degli ottavi della scorsa Champions League. Lautaro l’aveva mandato in porta con un filtrante verticale, non gli serviva nient’altro per fare gol. E lui l’ha sparata alta. Non sono solo un errore o una carenza, per quanto significativa, a cambiare la percezione su Thuram, sul suo impatto sulle partite, sull’Inter, sulla Serie A. Questo può dirci quali sono i suoi limiti, quello che dovrebbe migliorare e su cui dovrà lavorare di più. Ma intanto sta dimostrando di essere uno dei giocatori più forti e determinanti del calcio italiano. Anche questo è un ruolo che ha saputo cucirsi addosso da solo, e gli sta benissimo.