L’improvvisa invasione dei calciatori europei in Brasile

L'arrivo di Depay e Payet (e non solo) sta cambiando la percezione del Brasilerão sul mercato.

Nella sua prima conferenza stampa come giocatore del Corinthains, Memphis Depay ha detto che «diversi calciatori dovrebbero seguire il mio esempio e trasferirsi in Brasile». L’ex attaccante dell’Atlético Madrid è stato il grande colpo del mercato brasiliano: a 31 anni da compiere nel febbraio 2025, si trattava – e si tratta – di un giocatore ancora spendibile nel calcio europeo. E invece ha deciso di accettare l’offerta arrivata dal club paulista, sostenuto – per quanto riguarda le spese relative all’ingaggio – da uno dei suoi sponsor, vale a dire un’agenzia di scommesse. Al di là del caso specifico, però, l’arrivo di Depay va inquadrato nell’ambito di un vero e proprio trend: a tutt’oggi, nelle 20 società del Brasilerão ci sono otto giocatori che sono nati e cresciuti in Europa, che prima di trasferirsi in Brasile non hanno avuto niente a che fare con quel Paese, nel senso che non sono naturalizzati o comunque non hanno discendenze brasiliane. Si tratta di Depay, appunto, e poi di Dimitri Payet (Francia, Vasco da Gama), Martin Braithwaite (Danimarca, Gremio), Maxime Dominguez (Svizzera, Vasco da Gama), Jamal Lewis (Irlanda del Nord, São Paulo), Yannick Bolasie (congolese nato in Francia e cresciuto in Inghilterra, Criciúma), Héctor Hérnandez (Spagna, Corinthians), Tobias Figueiredo (Portogallo, Criciúma) e Mohamed El Arouch (Francia, Botafogo).

Per un Paese come il Brasile, tutto questo rappresenta un’enorme novità. Una novità recente, per altro, visto che la maggior parte di questi calciatori sono arrivati negli ultimi mesi. Ma a cosa si deve questa invasione ancora piccola ma già significativa? Intanto è una questione regolamentare ed economica: i club del Brasilerão, negli ultimi anni, hanno richiesto (votandolo all’unanimità) l’aumento del limite dei giocatori stranieri ammessi in ogni squadra, limite salito a sette nel 2023 e poi a nove nello scorso mese di marzo; inoltre, la trasformazione dei club in SAF (acronimo di Sociedade Anônima do Futebol, praticamente delle public company a scopo di lucro) e la grande crescita corporativa – che ha portato il Brasilerão a diventare la Premier del Sudamerica, cioè a “rubare” tanti giovani talenti agli altri Paesi del sub-continente – hanno dato un grande impulso a questo tipo di operazioni. Poi, come detto, anche gli sponsor stanno facendo la loro parte.

Come scrive The Athletic in questo articolo che analizza il trend, la migrazione dei calciatori europei è il seguito ideale di quella – già in corso da qualche anno – da parte degli allenatori. E ha generato un bel po’ di eccitazione, soprattutto tra i tifosi di Corinthians e Vasco da Gama – in effetti una cosa è prendere Depay e Payet, un’altra è acquistare Bolasie e Figuereido. Dal punto di vista dello sviluppo del movimento, però, non tutti condividono questo sentimento di entusiasmo: se da una parte, infatti, l’arrivo di certi giocatori è inevitabilmente legato alla possibilità di fare certi investimenti, dall’altra c’è chi teme che si tratti semplicemente di un modo per buttare fumo negli occhi a chi segue il Brasilerão. Un sostenitore di questa tesi catastrofista è Rodrigo Capelo, esperto brasiliano di finanza calcistica: «L’arrivo di diversi giocatori europei», ha detto Capelo a The Athletic, «non nasce da un cambiamento strutturale del calcio brasiliano. Semplicemente, si sono presentate delle opportunità e i proprietari dei club hanno intuito che sarebbero andate a genio ai tifosi. Il punto è che si tratta di atleti che non hanno più un grande mercato in Europa: è interessante che abbiano visto il Brasile come un’alternativa, ma questo non cambia la nostra immagine sulla scena mondiale. E poi i club stanno spendendo soldi che in realtà non hanno».

Il riferimento di Capelo è allo stipendio che percepisce/percepirà Depay, stimato tra i cinque e i sei milioni di euro a stagione: «Qui in Brasile non siamo diventati più ricchi, ma più irresponsabili». In questo senso, quanto avvenuto dieci anni fa, ai tempi di Seedorf («il Botafogo lo prese grazie all’aiuto degli sponsor, poi dopo il suo addio quel flusso di denaro si interruppe e la squadra si ritrovò al collasso finanziario, nonché retrocessa in Série B»), è quello più significativo. Basterà aspettare qualche mese per capire se le cose, stavolta, andranno in maniera diversa.