L’Austria è una Nazionale che gioca come un club

È la perfetta creature di Rangnick, una squadra completamente ispirata al sistema Red Bull: aggressività estrema, disciplina e qualità.

L’Austria è arrivata prima nel girone D degli Europei davanti a Francia, Olanda e Polonia, quindi è stata la squadra migliore del gruppo più complicato di tutto il torneo, almeno stando ai punteggi del Ranking Uefa. Alla base di questo successo c’è Ralf Rangnick, ct della Nazionale austriaca dal settembre 2022, architetto dell’impero Red Bull nel calcio. Si tratta di un allenatore – ma allenatore è un termine riduttivo, visto che è stato anche dirigente – dalla personalità ciclonica, alla quale si sfugge o si cede, che ha costruito un’intera carriera su un modello estremamente pratico e funzionale, su un calcio fatto di disciplina e di obbedienza, quasi un riadattamento della realpolitik nello sport. In una competizione in cui poche squadre hanno un modo di giocare ben definito e delle tattiche strutturate, la sua Austria ha invece tutte le sembianze di un club. Ed è così che si è imposta come la grande sorpresa di Euro 2024. 

Il quotidiano olandese AD, dopo la partita tra Austria e Olanda, ha scritto che la squadra di Rangnick «tormenta i sentimenti degli avversari colpendoli nelle loro insicurezze». Traduzione: l’Austria scende in campo per stritolare chiunque si ritrovi davanti, grazie a rapide riaggressioni e a un’intensità di gioco davvero altissima. Dunque, piuttosto che mantenere il controllo del pallone, considerati i propri limiti tecnici, preferisce gestire le partite emotivamente, attaccando le debolezze di chi li affronta. In questo Europeo, e nelle amichevoli che lo hanno avvicinato, la squadra di Rangnick ha dimostrato di poter cambiare forma, adattarsi, e poi intrappolare le sue avversarie. 

Come avviene tutto questo? Semplice, almeno a dirsi: tutti i giocatori dell’Austria si muovono insieme, nello stesso momento, sanno quando attuare una pressione sfrenata e quando aspettare. Così trascinano i propri avversari in un buco nero e presidiano il campo con ferocia: non a caso, viene da dire, la squadra di Rangnick ha messo insieme dieci falli solo nel primo tempo della sfida contro i Paesi Bassi. Tant’è che Ronald Koeman, l’allenatore degli Oranje, ha passato i primi 45 minuti della partita contro l’Austria come se fosse caduto in uno stato di smarrimento, sbracciando e sbuffando verso i propri calciatori. E ha sostituito Veerman già al 35esimo, come se fosse obnubilato dalla rabbia e dalla frustrazione.

I primi sei minuti della sfida contro i Paesi Bassi sono una specie di radiografia telegrafica dell’Austria: la squadra di Rangnick non ha lasciato mai respirare i suoi avversari, ha letteralmente dominato il campo attraverso l’occupazione e l’aggressione degli spazi, ogni passaggio fuori misura e ogni controllo errato dei giocatori in campo è coinciso con un intercetto o un recupero da parte degli austriaci. La partita ha subito raggiunto un ritmo che gli Oranje non potevano sostenere, grazie al gegenpressing – il tentativo di recuperare palla nei primi attimi dell’azione di transizione, un concetto tattico di cui Rangnick è praticamente l’iniziatore – e alla ricerca istantanea della verticalità. Così al sesto minuto è arrivato l’autogol di Malen, un giocatore offensivo mandato in affanno e in confusione dal gioco iper-aggressivo dei suoi avversari. 

La gara, terminata con uno spettacolare 3 a 2 per l’Austria, ha visto l’Olanda in perenne inseguimento, in pratica è stato un replay, ovviamente in termini calcistici, del paradosso di Achille e della tartaruga. Eppure, l’Austria è scesa in campo senza Baumgartner e Laimer, due tra i giocatori più importanti dell’organico di Rangnick, entrambi messi a riposo perché ammoniti nelle sfide precedenti. E non solo: gli austriaci si sono presentati a Euro 2024 senza il portiere titolare Alexander Schlager, senza un uomo-chiave del centrocampo come Xaver Schlager e senza David Alaba, capitano e uomo-copertina di questa generazione, tutti bloccati da infortuni. Ma Rangnick ha costruito un sistema che va oltre gli individui, che funziona bene a livello collettivo. Altrimenti non si spiegherebbero certi risultati, in fondo parliamo di una squadra composta in maggioranza da giocatori che militano in squadre piccolo-borghesi della Bundesliga. «Sono passati quasi due anni da quando è arrivato il mister», ha detto Marcel Sabitzer dopo aver vinto la partita contro i Paesi Bassi. «Da quel momento si sono visti dei chiari miglioramenti. Prima eravamo una squadra passiva. Ora siamo cambiati: tutti sappiamo che, quando gli avversari prendono il possesso, dobbiamo andare subito alla caccia del pallone».

La vittoria che ha proiettato l’Austria al primo posto del girone più complicato degli Europei

L’Austria si dispone in campo secondo un modulo fluido, un modulo che oscilla tra 4-2-3-1, 4-3-3, e 4-2-2-2 senza soluzione di continuità. Ma c’è tanto altro, al di là dell’aggressività e delle transizioni veloci che caratterizzano il sistema di Rangnick: il primo comandamento di questa squadra, tanto per dire, è la compattezza centrale, ovvero la costruzione di un blocco solido in mezzo al campo, sia in fase difensiva che in fase offensiva. In questo modo, i giocatori austriaci non concedono spazi alle imbucate degli avversari e tengono distanze corte in caso di palla persa. I dati, in questo senso, sono eloquenti: se guardiamo all’intero Europeo, l’Austria è la prima squadra in assoluto per scivolate tentate e tiri bloccati, mentre invece è al secondo posto per contrasti vinti e per PPDA, ovvero i passaggi concessi agli avversari per ogni azione difensiva (dati Sofascore.com).

Questa densità in mezzo al campo determina anche l’apertura di ampi varchi sugli esterni, come si è visto nella partita contro l’Olanda – con Geertruida portato verso il centro da Wieffer, l’esterno sinistro, mentre Prass, il terzino, ha avuto strada spianata per essere protagonista di tutti e tre i gol realizzati dall’Austria. La qualità in rifinitura che serve per sfruttare questi varchi è garantita da Marko Arnautović, uomo di riferimento della rosa, punto d’inflessione creativa e d’imprevedibilità, sui cui prima degli Europei c’era molto scetticismo. «Dicevano che sono troppo vecchio, che non posso giocare il calcio di Rangnick. Invece sono ancora qui. E mi sto divertendo», ha detto il giocatore interista.

Ma ciò che rende unica l’Austria è un’evidente e profondissima affinità tra i giocatori. Tutti conoscono alla perfezione il sistema, in molti giocano o hanno giocato in una squadra che ha subito l’influenza di Rangnick. Ecco qualche numero: contro la Francia, l’Austria ha messo in campo ben otto giocatori che sono passati dal mondo Red Bull o dall’Hoffenheim, i club in cui il ct ha inciso di più – come allenatore, ma anche come dirigente. In questo modo, nella sua nuova vita da ct, Rangnick ha potuto concentrarsi sui dettagli, più che sull’implementazione da zero del suo modello di gioco. Ecco due esempi pratici: in fase di pressing, ha sviluppato delle scalate così complesse da sembrare scientifiche, che stressano il possesso avversario su un lato, creando densità, e poi determinano degli scontri individuali. Allo stesso tempo, ha reso Sabitzer il cuore pulsante dell’Austria, affidandogli un ruolo ibrido tra attacco e centrocampo: a seconda dei momenti e della posizioni dei compagni, il giocatore del Borussia Dortmund attacca la profondità oppure aiuta a costruire la manovra. 

Rangnick, fin dall’inizio del suo lavoro da commissario tecnico, ha trasformato l’Austria a partire dai propri principi. Ha riportato ambizione in una Nazionale che sembrava condannata alla mediocrità dopo la mancata qualificazione ai Mondiali 2022. Ma non solo: ha anche iniziato a far viaggiare la squadra per l’intero Paese, giocando amichevoli e qualificazioni in diversi stadi. Ed è così che ha riacceso l’entusiasmo. A dirlo sono i numeri: nell’ottobre del 2022, in occasione della partita contro l’Italia giocata all’Happel Stadion di Vienna, c’erano solo 18mila spettatori; contro il Belgio, meno di un anno dopo, i tifosi accorsi nello stesso stadio erano 47mila. 

È come se Rangnick fosse riuscito a trasformare l’Austria in un club, però senza rinunciare a quella forza emotiva che caratterizza il calcio delle Nazionali. Per farlo ha deciso di proporre un gioco fatto di rischi e intensità, un gioco che quindi necessita di interpreti determinati, pronti a prendersi delle responsabilità importanti. In pratica si è affidato a quel sentimento che gli anglofoni chiamano intangibles of the game. E così ha creato un rapporto molto profondo con i suoi uomini, fondato su un compromesso tra estrema serietà e libertà. Ma non solo: fin dalla sua assunzione, Rangnick ha riempito il centro sportivo della Nazionale con professionisti di ogni tipo, da analisti a consulenti per la comunicazione. Ma, poco prima dell’Europeo, è apparso in trasmissioni comiche, ha trascinato la squadra a bere in un bar e l’ha portata a correre nei parchi di Berlino. Tutto questo, però, senza derogare ad alcuni dei suoi principi: a marzo 2024, per dire, non ha convocato Grüll, Burgstaller e Hedl in seguito a un caso di omofobia che li vedeva coinvolti. «Non posso tollerare una cosa del genere nella mia squadra», aveva detto il ct dell’Austria. Forse anche per questo «l’assunzione di Rangnick è la migliore cosa che sia mai successa al calcio austriaco». Parola di Christoph Baumgartner, centrocampista del RB Lipsia

A 65 anni, Ralf Rangnick ha dunque trovato una nuova dimensione: quella di commissario tecnico, per quanto sui generis. Una posizione in cui ha pieno potere decisionale, conferitogli da Peter Schöttel – il DS della Federazione austriaca. E così sta attuando una riforma, sta alimentando l’importanza ai settori giovanili, sta creando una nuova identità di calcio in cui l’Austria possa riflettersi. Come se fosse una squadra della Red Bull. Durante questi Europei, il suo profilo glaciale, quello di un uomo che ha rinunciato per una vita a malizia e a irrazionalità per raggiungere una radicale perfezione, sta cambiando forma: l’alone di tenebre e dubbi che lo aveva circondato quando era stato accostato al Milan e nel corso della sua disastrosa esperienza al Manchester United si è trasformato nella passione di migliaia di tifosi austriaci che oggi saltano e danzano per le città tedesche. Fino a essere diventato l’uomo più amato d’Austria, pur essendo nato e cresciuto in Germania. 

Eppure, dopo il periodo a Manchester sembrava che la sua carriera da allenatore fosse terminata. Anche perché addirittura Cristiano Ronaldo, nel corso dell’ormai storica intervista a Piers Morgan, si era chiesto come Rangnick potesse credere di poter allenare lo United visto che «non è nemmeno un tecnico» – una chiara allusione al suo passato come coordinatore Red Bull. Ma oggi, invece, Rangnick sta guidando l’Austria verso una nuova era, verso una grandezza senza precedenti, almeno se guardiamo agli ultimi settant’anni. E infatti gli eventuali quarti di finale a un Europeo sarebbero un apice mai toccato prima. Per toccarlo servirà battere la Turchia, già stracciata a marzo in un’amichevole finita 6-1. Quando Rangnick aveva già messo le ali all’Austria.