Gregorio Paltrinieri, la ricerca della perfezione

Intervista al nuotatore italiano, campione in vasca e bronzo in acque libere a Tokyo 2020: come si affrontano gare così diverse, la cultura del nuoto nel nostro Paese, le prospettive in vista di Parigi 2024.

Quando le ultime bracciate si abbattono sull’acqua trasparente della piscina, il rumore può essere assordante: lo speaker del palazzetto con la sua voce metallica, l’emozione del pubblico che cresce anche nei decibel, gli ultimi metri disperati e vigorosi a percuotere la pellicola con mani e piedi. Quando la battaglia si sposta in mare, per il cosiddetto nuoto di fondo, per lo spettatore cambia tutto. Basta guardare la 10km di Tokyo in cui Gregorio Paltrinieri ha vinto la medaglia di bronzo e confrontarla con i 1500 in vasca che l’avevano visto invece trionfare a Rio, quattro anni prima: nel Parco marino di Odaiba gli splash si perdono negli spazi immensi, nel cielo aperto, nel frullare delle eliche degli elicotteri sopra e dei motoscafi a fianco. Con le inquadrature dall’alto, i nuotatori si individuano soltanto per la scia di schiuma che lasciano dietro di sé, sempre più esausti, dopo quasi due ore di gara. Gregorio Paltrinieri si è messo in testa di sfidare le acque libere un anno dopo quell’oro a Rio, debuttando alle Universiadi di Taipei nei 10 km e vincendo subito l’oro, con un tempo di un’ora e 54 secondi circa. Nel 2021, agli Europei di Budapest, aggiunge altri due ori: nei 5 km e nei 10 km. Poi, ecco Tokyo: arriva un bronzo olimpico con quello che è ancora il suo miglior tempo sui 10 km. Un’ora, quarantanove minuti, un secondo, un decimo.

Alla vigilia di Parigi, la sua terza Olimpiade, Gregorio Paltrinieri ha due obiettivi: le medaglie da vincere in quelli che potrebbero essere i suoi ultimi Giochi, naturalmente, e portare avanti il suo nuovo progetto Dominate the Water, un format itinerante di competizioni di nuoto in mare aperto, in giro per i tratti di costa più belli dell’Italia. È nato nel 2022, è passato da Taranto, Positano, Mondello, Talamone, Lignano e Stintino e Cattolica, e vuole alimentare un circolo virtuoso di sport, scoperta e sensibilizzazione ambientale. Curioso che a promuovere un’operazione così sia un ragazzo nato e cresciuto a Carpi, nel bel mezzo della Pianura padana.

Ⓤ: Iniziamo da qui. Quando si parla di Olimpiadi, spesso ci si concentra anche sul territorio in cui gli atleti si sono formati. Per te cos’è stata l’Emilia, cos’è stata Carpi?

Per me Carpi e in generale la mia zona è stato tutto quello che mi serviva per iniziare a nuotare e farlo nel modo giusto, prendendosi bene. Sono cresciuto in un contesto che mi ha stimolato tanto ma soprattutto mi ha divertito veramente tanto, e questa è stata una cosa fondamentale. Il mio desiderio di andare in piscina ogni pomeriggio era vero, era reale. Era tutto quello che serviva per iniziare a praticare questo sport volendolo davvero fare, volendo inseguire i propri sogni.

Ⓤ: La figura del padre-atleta è stata esplorata in molti modi nella letteratura sportiva. Anche tu hai avuto un padre-allenatore. Cosa ha significato?
È stato la prima persona che mi ha portato in piscina e la prima persona che mi ha allenato i primi anni, e quello a me piaceva. Ricordo ancora quei momenti in cui parlavo con lui e faticavo a chiamarlo papà, lo chiamavo per nome perché ero circondato da altri ragazzini e lo vedevo come una persona che era lì per darmi istruzioni su cosa fare in acqua. Delle volte i nostri discorsi sul nuoto si prolungavano anche a casa, dopo l’allenamento, dopo le gare, dopo qualcosa che non mi riusciva mi piaceva parlarne con lui a casa.
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Ⓤ: Il nuoto è uno sport solitario, e per questo è interessante la sua psicologia. Tu hai iniziato facendo rana, poi sei passato allo stile. Oltre alla tecnica, hai cambiato anche modo di pensare, cambiando modo di nuotare?

Il modo di pensare cambia più che altro crescendo e capendo quello che stai facendo realmente. Da piccolo è puro divertimento, non aspiri, o meglio, lo puoi sognare ma non lo stai facendo per diventare campione del mondo e campione olimpico. Andando avanti questa tua concezione cambia, perché c’è sempre qualcosa che ti fa credere che tu ci possa arrivare, sempre un po’ più in su. E quindi la mia ricerca costante di poter migliorare era alimentata dal fatto che io realmente potessi fare qualcosa di buono e di positivo. Ogni risultato che facevo mi dava una consapevolezza nuova per poter andare avanti.

Ⓤ: Invece cosa cambia tra la vasca e le acque libere?

Sono due mondi diversi. Quello che cambia non è tanto la preparazione, perché per vasca o acque libere quello che faccio in allenamento è quasi lo stesso. Cambia la gestione della gara. In vasca la gara più lunga che faccio sono i 1500 che sono poco meno di un quarto d’ora, di là faccio una gara da 10 chilometri che dura due ore. Sono quindi gestioni dello sforzo diverse, e gestioni mentali molto diverse, perché la gara in mare si sviluppa attraverso altri canali, altre situazioni. Devi essere molto attento a quello che ti succede, guardare gli avversari… Le condizioni meteo sono sempre diverse da gara a gara, invece in piscina troviamo sempre la stessa cosa. Quindi devi essere molto duttile, devi avere questa capacità di poter cambiare anche quello che stai facendo in corso d’opera, adattandoti alla situazione. Devi essere molto sveglio durante la gara.
Ⓤ: Passi attraverso diversi stati mentali?
Certo. Il fatto è che quando nuoto attraverso tutte le emozioni possibili e immaginabili, da quelle molto positive in cui mi sento invincibile, a quelle dove effettivamente ci sono momenti della gara dove sembra che tutto ti stia sfuggendo di mano. E sono momenti brutti, quelli. Quindi io parto sapendo che vivrò qualsiasi cosa. Devo sempre essere pronto a rimanere sempre un po’ neutrale, né farmi troppo prendere dall’entusiasmo quando le cose vanno bene, né troppo male quando le cose non vanno nel verso giusto. Questa capacità di rimanere concentrati, nel presente, nel momento, è fondamentale.
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Ⓤ: Tu hai vinto praticamente qualsiasi cosa in vasca dal 2012 al 2017. Poi a Taipei hai sperimentato i 10 chilometri. A un certo punto cos’è che ti ha fatto venire voglia di un cambio così grande?

L’idea di buttarmi anche nel nuoto di fondo non è stato tanto un cambio, perché alla fine la piscina ho continuato a farla, ma è stata un’aggiunta, qualcosa in più. Ero arrivato a un punto dove erano tanti anni che facevo le stesse cose, le stesse gare, e avevo bisogno di nuovi stimoli. Perché mi stava un po’ pesando tutto. E soprattutto anche il fatto di aver vinto tutto in quegli anni probabilmente ti fa venire voglia di provare qualcosa di nuovo, di testarti in qualcosa di nuovo. Quindi mi ci sono buttato, i primi anni non è stato per niente facile, ho avuto difficoltà a capire quello che realmente servisse per fare quelle gare fatte bene. Infatti le prime gare non sono andate benissimo, però poi col tempo ho capito, ho imparato, ho sbagliato tanto ed è venuto tutto molto meglio.

Ⓤ: Riccardo Piatti, ex allenatore di Jannik Sinner, aveva spiegato in un’intervista un modo microscopico di allenare Jannik: parlava di un cambio di inclinazione della racchetta, nel suo diritto, da cambiare di due, tre gradi. Nessuno spettatore può accorgersene, eppure è un dettaglio che, diceva, poteva cambiare una carriera. C’è nel nuoto qualcosa di così microscopico ma fondamentale?

Nuotare sappiamo tutti nuotare, però la differenza tra uno e l’altro sono i piccoli dettagli. Io ho lavorato tutta la mia carriera tantissimo sulle virate, proprio il giro, la capovolta e la spinta. Tutte le sezioni che non erano il mio punto di forza, e non lo sono ancora, probabilmente, però sono molto migliorato, e mi hanno permesso anche di vedere la gara in modo diverso: facendole meglio potevo fare qualcosa di diverso in gara. Sulla bracciata ci sarebbero mille accorgimenti a cui sono stato attento. Anche quando pensi che qualcosa stia funzionando bene, devi sempre mettere tutto un po’ in discussione, perché c’è sempre un modo per cui probabilmente lo puoi fare meglio, o economizzare il gesto, o farlo con meno fatica.
Ⓤ: Andiamo a Dominate the Water. Come e perché sei arrivato a questa idea?
Devo dire che all’estero ci sono tantissime nazioni dove nuotare in mare è quasi sport nazionale, lo fanno volentieri e ci vanno tantissime persone. Da noi non è ancora così, quindi in questi anni abbiamo cercato di andare un po’ in giro e visitare varie regioni italiane, anche se a dir verità in quasi tutte le regioni italiane si potrebbe nuotare in mare, ma abbiamo cercato di toccare vari punti e portare quello che sapevamo del nuoto in mare, che è divertimento, è buttarsi, fare una gara di alto livello, è insicurezza, e soprattutto è rispettare l’ambiente.
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Ⓤ: Come avete scelto le coste e le spiagge, finora?

La scelta dei posti è stata dettata più che altro dal cercare di variare. Di andare in vari punti d’Italia per provare luoghi diversi dagli altri. Ma con lo stesso fascino, perché in Italia abbiamo posti stupendi.

Ⓤ: In che modo questo tipo di nuoto può creare unione e comunità?

Io credo che il nuoto in generale è uno sport individuale però tutti i risultati, dalle Olimpiadi alle gare amatoriali, si costruiscono con il gruppo. Perché può essere uno sport molto alienante: allenarsi, stare tutto il giorno con la testa sott’acqua a fare metri. Credo che il nuoto in mare trasmetta invece la voglia di allenarsi in gruppo, di farlo insieme ma di farlo all’aria aperta, in un contesto stupendo, spesso.
 
Ⓤ: Oltre che con lo sport, la resistenza, la sfida verso te stesso, nuotare in mare ha a che fare anche con qualcosa di più magico, più profondo?

Credo di sì perché nuotare in mare è quasi un’esperienza… mi verrebbe da dire mistica. In mare succedono cose che magari nemmeno ti aspetti, mentre nuoti. E non sto parlando solo di attività agonistica, anche se ti butti in mare, fai una nuotata, vedi i pesci, sotto, vedi i coralli, vedi la corrente che ti sposta e ti porta verso certi punti. L’aspetto sensoriale è molto più stimolato nel nuotare in mare. E quindi quello è come la vivo io, è come credo che sia bello nuotare, con un’idea di libertà molto più accesa.

Ⓤ: Pensi che per essere un Paese con tutte queste regioni affacciate sul mare ci possa essere una cultura del nuoto molto maggiore in Italia? Anche per questo stai lavorando a Dominate the Water?
Ci può essere una cultura molto più accesa e molto più viva in Italia, e secondo me ci arriveremo nel corso del tempo. Ma in generale credo che capire che fare sport faccia bene è un’idea che pian piano si sta diffondendo, sempre più persone fanno sport, sempre più persone sfruttano l’attività sportiva per turismo: andare in un posto, fare una gara e visitare la zona. Quindi lo sport unito alla vita, come parte intrinseca di quello che stai facendo nella tua vita, è importante, fa bene, e ti fa sentire bene con te stesso.
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Ⓤ: In passato hai parlato di come cambia il tuo approccio alla sfida. All’inizio della carriera era tutta un’esaltazione, poi la pressione – a Rio – si è fatta sentire. Da Parigi cosa ti aspetti? Hai detto che vedrai se ritirarti o no. È vero che quando arriva la parte finale di una carriera si è più leggeri?

Io credo che crescendo impari a conoscere tante cose, impari a conoscere te stesso, come ti vuoi comportare in determinate situazioni, e inizi a prenderti meno sul serio, a prendere meno sul serio tutto quello che succede. Questo è un po’ quello che è capitato a me: sto cercando di vivere molto meglio quello che sto facendo, come puro divertimento, quando invece a un certo punto lo sentivo come lavoro, sentivo tante aspettative da parte della gente. E forse quello ti fa perdere l’entusiasmo verso quello che stai facendo. Per me adesso la vivo molto meglio, più spensierato sicuramente.
Ⓤ: Qual è, finora, la tua medaglia preferita?

Ho sempre pensato che la mia gara preferita fossero i 1500. E lo sono stata, la mia gara preferita per tantissimo tempo. Adesso il mare mi sta piacendo molto, però. Quindi pensare di fare una bella 10 chilometri a Parigi, dove il palcoscenico sarà importantissimo già solo perché è un’Olimpiade, ma la gara verrà fatta nella Senna, con l’arrivo sotto la Tour Eiffel, diciamo che se la giocano.

Foto di Arianna Genghini
Moda di Anna Carraro e Fabiana Guigli
Direttore della Fotografia Enrico Valoti
Assistenti Luci Michael James e Miltown Highcow
Producer Simona Ghinassi