Guida agli Europei – Girone C

La presentazione di Inghilterra, Slovenia, Serbia, Danimarca.

Inghilterra
Avete presente quelle grafiche social in cui viene mostrata la profondità ruolo per ruolo del roster di una squadra alla vigilia di un grande torneo internazionale? Ecco, da questo punto di vista Gareth Southgate e l’Inghilterra hanno esagerato, potendo contare fin dal Mondiale 2018 su un materiale tecnico e umano che sembrava uscito direttamente da una sessione buggata di Fifa Ultimate Team. La rosa che dovrà far dimenticare la finale persa a Wembley nel 2021 contro l’Italia non fa eccezione, se solo si pensa che la squadra che è già di Harry Kane, Jude Bellingham e Phil Foden potrebbe anche essere quella di Cole Palmer e Bukayo Saka. Questo in attesa di capire se possa essere già scoccata l’ora di Kobbie Mainoo, e come verrà risolto il rebus legato alla collocazione di Alexander-Arnold – che per un periodo è stato provato anche da mezzala atipica pur di non rinunciare alla solidità di Kyle Walker. La razionalizzazione del talento è la sfida più grande che attende Southgate, forse anche più delle partite contro Serbia, Danimarca e Slovenia e quelle della fase a eliminazione diretta. Tutto ruota intorno a Bellingham e a ciò che gli verrà richiesto in un 4-3-3 la cui fluidità si regge sul lavoro di Declan Rice nella fase di non possesso: quanto più saranno ampie le porzioni di campo che il mediano dell’Arsenal riuscirà a coprire e schermare, tanto più Bellingham potrà agire da attaccante-ombra negli spazi aperti dai movimenti e dalla tecnica di Kane, in piena continuità con quella che è stata la sua prima stagione a Madrid. Il resto è tutto nei piedi e nella testa di Foden, nominato calciatore dell’anno in Premier League, che secondo Guardiola ha completato la trasformazione da «più grande talento che abbia mai visto» a «giocatore che ora vince le partite». Vent’anni fa in Portogallo la generazione di Beckham, Scholes, Gerrard, Lampard, Owen e Rooney si accartocciò sulle proprie fragilità tattiche ed emotive nel momento in cui avrebbe dovuto mantenere le sue promesse di grandezza; ai ragazzi del 2024, visto come stanno le cose, quella grandezza toccherà raggiungerla.

Slovenia
A 24 anni di distanza dalla bella e sfortunata epopea di Zlatko Zahovic e compagni in Belgio e Olanda, la Slovenia torna alla fase finale di un campionato europeo. E se cercate un motivo per cui valga la pena seguire i ragazzi di Matjak Kek – che punta tutto sul suo 4-4-2 old school – il nome sul vostro taccuino dovrebbe essere solo uno: Benjamin Sesko, cinque gol nelle nove partite delle qualificazioni che ha disputato da titolare (compresa la decisiva doppietta alla Finlandia), 18 con il Lipsia da spalla di Openda. Poi è tutto nelle mani e nei guanti di Jan Oblak, leader di una difesa in cui la quota Serie A è assicurata dalla presenza di Jaka Bijol.

Serbia
È da diversi anni – forse è da sempre, anche quando c’era ancora la Jugoslavia – che la Serbia promette tanto e poi finisce per deluderci: anche se sembra incredibile, la squadra di Vlahovic, Tadic, Mitrovic e Milinkovic-Savic, ma anche di Milenkovic, Lukic e Kostic, non ha mai superato un girone eliminatorio di un grande torneo. Anzi, ha addirittura saltato gli ultimi cinque Europei. Quest’anno il ct Stojković e i suoi giocatori hanno una buona occasione: il girone non è impossibile e passano anche le quattro migliori terze. Il problema è che questo ciclo sembra si stia esaurendo, e il solo Samardzic potrebbe non bastare in caso finisse la benzina dei big.

Danimarca
A parte la clamorosa sconfitta in rimonta subita in Kazakistan alla seconda giornata, quando era avanti 2-0 all’intervallo grazie alla doppietta di Hojlund e poi si è fatta rimontare, la Danimarca non ha avuto problemi a qualificarsi e a vincere il proprio girone. Questo ha dato modo al ct Hjulmand di sperimentare alcune varianti del 4-3-3 e di provare anche la difesa a 3 in alcune gare in trasferta – uno schema ideale per sfruttare al massimo la fisicità di una batteria di centrali che comprende Kjaer, Christensen, Andersen e Vestergaard e la facilità di corsa con e senza palla di due quinti come Maehle e Kristensen. La sensazione, però, è che il commissario tecnico si affiderà ancora al sistema che ha portato la sua Danimarca alla semifinale degli ultimi Europei, con la propensione alla verticalità accentuata dalla presenza di Hojlund al centro dell’attacco e dall’avanzamento del raggio d’azione di Eriksen, ormai sempre più trequartista che mezzala, con Højbjerg e uno tra Morten Hjulmand (rivelazione dello Sporting campione in Portogallo) e Delaney a dargli copertura in fase di non possesso.