Oltre i confini, la maglia azzurra come simbolo di comunità

La Nazionale è in grado di unire e di rappresentare, di creare un sentimento che va oltre i risultati e oltre la geografia.

Dietro al colletto della maglia della Nazionale, oggi c’è l’ultimo verso dell’inno di Mameli: “L’Italia chiamò”. Non è rivolto solo ai calciatori che quella maglia la indossano, è un invito che unisce chi va in campo con chi vive la partita allo stadio o in televisione. L’Italia unisce. La maglia unisce. L’azzurro unisce. Sempre. Dal 2017 a oggi, abbiamo vissuto uno dei periodi più complessi della storia della Nazionale italiana di calcio: la mancata qualificazione ai Mondiali di Russia, poi lo straordinario successo all’Europeo 2020 (giocato nel 2021), la seconda mancata qualificazione ai Mondiali, quelli in Qatar, oggi la partecipazione a Euro 2024 in Germania. Alti e bassi, gioie e delusioni, un’oscillazione inconsueta che all’apparenza avrebbe dovuto portare a un’altrettanta mutevolezza della passione per la maglia azzurra da parte degli italiani e dei non italiani. E invece no, è successo l’opposto. La Figc è cresciuta indipendentemente dai risultati sportivi, l’attenzione del pubblico verso le Nazionali (maggiore, femminili, Under 21 e giovanili varie) è in aumento e il giro di affari legato all’azzurro è nel momento più florido di sempre.

Qualche numero per capire: nel 2023, all’estero, la Nazionale ha avuto un’audience televisiva complessiva di circa 200 milioni di spettatori, la fan base social è cresciuta fino a raggiungere un dato cumulato di 16 milioni. Italiani? Non necessariamente, anzi. Il 60 per cento dei follower dei profili della Figc legati alla Nazionale è straniero. Nella tournée negli Stati Uniti, l’ultima prima di buttarsi nel finale di stagione che si tuffa nell’Europeo tedesco, l’entusiasmo generato dalla presenza degli Azzurri è stato incredibile: stadi pieni sia in Florida sia in New Jersey, Times Square a New York gremita per la presenza dei calciatori e della campagna adidas con la maglia dell’Italia protagonista. L’azzurro unisce sempre, appunto. Perché ad avvolgere tutto questo c’è un colore che è simbolo e significato. Paolo Rossi ne parlava così: «La prima volta che ho indossato la maglia è stato il più bel momento della mia carriera sportiva. In quel momento ti rendi conto di rappresentare il Paese. Non ci sono divisioni, quella maglia mette d’accordo tutti». Mette d’accordo tutti, ecco. È quel potere mitologico di simbiosi tra un Paese e i suoi rappresentanti, quel senso di appartenenza che tiene insieme anche coloro che in Italia magari non vivono più o non hanno mai vissuto, ma ne hanno assorbito lo spirito da parentele lontane nel tempo.

Su questa rivista Simon Kuper una volta ha scritto una cosa memorabile: «La Nazionale italiana – come la Ferrari, Gucci o un affascinante caffè all’angolo di un palazzo – è sempre riuscita a raggiungere qualcosa di estremamente difficile: rimanere una nicchia di qualità unica in un Paese in decadenza». Una prospettiva antropologica interessante perché ciò non è direttamente proporzionale ai successi. Kuper scriveva queste parole dopo la mancata qualificazione a Russia 2018, in quello che all’epoca sembrava il momento più basso della storia della nostra Nazionale. Aveva ragione, perché il calcio non è solo calcio e dunque quel risultato negativo non era tutto, così come non erano tutti i successi (i Mondiali dell’82 e del 2006, per esempio).

Il senso gioioso di tifare Italia nel corso del tempo ha assunto il valore di un legame indissolubile tra il pubblico e i giocatori e le giocatrici, così come con i commissari tecnici che nel corso dei decenni hanno svolto il ruolo di condottieri delle spedizioni negli eventi internazionali. Esiste un valore storico, quindi. Quello che affonda le radici nel passato di un rapporto con la Nazionale, di quell’epica spinta dai grandi appuntamenti che si trasformavano in feste popolari. Ed esiste un valore più contemporaneo che è legato alla positività che trasmette la maglia azzurra. Anche in questo caso, indipendentemente dai risultati ottenuti sul campo, la Federazione ha visto legami sempre più stretti con i suoi partner: si è passati da una logica più elementare di sponsorizzazione funzionale all’esposizione mediatica, e dunque alla visibilità, a un rapporto più stretto, una partnership in cui le aziende si legano alla Federazione, alle Nazionali, per i valori che la maglia azzurra rappresenta e diventano a loro volta portatori di messaggi che si uniscono alla progettualità della Figc. Questo ha portato una crescita importante nel giro d’affari dell’azzurro, che ha consentito oggi di avere un processo virtuoso di rapporto tra costo e beneficio generato dalla Federazione.

Anche in questo caso a fare da sfondo a tutto c’è quella maglia che non è una divisa da gioco, o quantomeno non è soltanto questo. È più di una bandiera, un vessillo riconoscibile: azzurro è sostantivo, ma è anche serenamente un aggettivo perché equivale a dire passionale, popolare, inclusivo. Nell’azzurro ci riconosciamo in quanto italiani, certo. E anche in quanto cittadini di un non luogo che è fatto di unicità. D’altronde anche la nascita di quel colore come simbolo del calcio nazionale italiano ha a che fare con la bellezza e, appunto, l’unicità del nostro Paese: era la tonalità dello scudo della famiglia Savoia presente nella galleria Vittorio Emanuele II a Milano. Ma quella tinta non era soltanto questo: era anche un richiamo al cielo e al mare e, dunque, proprio all’Italia.

Ricostruendo la storia della maglia, Matteo Marani, giornalista e oggi presidente della Lega Pro, ricorda: «La prima volta della Nazionale in maglia azzurra fu una Befana assai povera per i bambini. Era il 6 gennaio 1911. Pochi regali, pochissime le lire nelle famiglie italiane. Il Paese stentava, la Nazionale era in realtà sorta una domenica di otto mesi prima, il 15 maggio 1910, all’Arena civica di Milano, in un match vinto per 6-2 contro la Francia». La prima partita in azzurro fu con maglie rigorosamente in lana, com’era uso allora e come sarebbe stato per molti anni ancora. Oggi le maglie hanno tessuti tecnologici, fibre che consentono performance migliori e un look perfetto. Perché anche lo stile dell’Italia ha un senso e lo ha sempre avuto. Il fascino per chi la guarda, quella maglia, è intatto, indipendentemente dal materiale di cui è fatto l’oggetto. Prima la Nazionale sprigionava gioia solo quando giocava un grande evento. Poi qualcosa è cambiato ed è merito di ciò che il sistema federale ha creato nel tempo: un rapporto con la Nazionale continuativo rappresentato da un luogo, come Coverciano, che vive tutto l’anno, con una quantità di attività che vanno dallo sport in sé al sociale, all’arte, alla contaminazione dei linguaggi, delle esperienze.

Ciò che è successo è un fenomeno molto simile a quello che solitamente accade per i club: un allungamento della presenza della squadra e di ciò che rappresenta nella vita degli appassionati. Come a dire: ci siamo, ci siamo sempre, ci siamo anche quando in campo non scende nessuno. È in questa logica che è nata Vivo Azzurro TV, l’app di contenuti video che partendo dalle Nazionali e da quello che ruota attorno all’azzurro riesce a parlare di molte altre cose. Si completa un percorso avviato negli ultimi quattro anni attraverso la costituzione di una vera media company. Dai contenuti video realizzati per i profili social delle Nazionali, che guardano proprio agli oltre 16 milioni di follower, ad alcuni format di intrattenimento come Vivo Azzurro Live e Casa Azzurri Live, trasmissioni in diretta sui profili social che accompagnano il pre-partita e le gare della Nazionale.

Allo stesso modo e nello stesso filone sono le tante iniziative in giro per il Paese e per l’estero, come le attività nelle Case Azzurri dove potersi ritrovare per vedere i match, ma soprattutto vivere una o più giornate con i partner della Federazione che fanno nascere attivazioni, divertimento, spirito di comunità. È così che si è superato un modello, quello del passato. Non ci sono le partite della Nazionale. C’è la vita delle Nazionali, al plurale, perché è un sistema che parte della giovanili (dall’Under 15 all’Under 21), che passa per il futsal, il beach soccer, le ragazze del femminile, entra ed esce dai luoghi in cui prima il calcio azzurro non entrava, le scuole, i centri rifugiati, le carceri, poi entra nei negozi dove le maglie della Nazionale si vendono, in Italia e all’estero: Cina, Stati Uniti, Francia, Regno Unito e Messico i Paesi con i volumi di vendite più alti. Anziani, adulti, giovani, bambini. Uomini e donne. L’Italia è ovunque. L’Italia è comunque. Con il verde, il bianco e il rosso. Soprattutto con l’azzurro.

Da Undici n° 56
Foto di Luca Masarà