«Stavamo in una caverna e loro ci hanno detto che fuori c’era un mondo: adesso lo vogliamo vivere e abitare. Sappiamo di farne parte, una volta pareva tutto impossibile». Queste parole di Zaynab Dosso, pronunciate a fine febbraio alla Stampa, possono sembrare altisonanti, solenni, forse anche un po’ retoriche, ma spiegano bene cosa è cambiato negli ultimi anni nell’atletica leggera italiana. Mancano due giorni alla conclusione degli Europei di Roma, e la nazionale azzurra ha già superato da tempo il proprio record storico di medaglie, 12, che resisteva da Spalato 1990. Finora sono 18 – otto ori, sette argenti e tre bronzi – e l’Italia, è quasi certo, vincerà il medagliere complessivo della manifestazione. Nelle 25 edizioni precedenti degli Europei si era classificata al massimo quarta.
Ma cos’è successo a un movimento che esattamente dieci anni fa, nel 2014, agli Europei di Zurigo, faticava a contare le medaglie sulle dita di una sola mano? Ne arrivarono tre, pur con due ori, ma solo una dalla pista (la vittoria di Libania Grenot nei 400 metri piani), le altre due con Daniele Meucci e Valentina Straneo nella maratona. Come si è passati dallo zero dei Mondiali di Pechino 2015 e, soprattutto, delle Olimpiadi di Rio 2016 – il punto più basso della storia recente dell’atletica italiana – alla «nazionale più forte di sempre», come l’ha definita capitan Gianmarco Tamberi, la nazionale dei cinque ori a Tokyo 2021, dei trionfi di Roma, ma anche delle quattro medaglie agli ultimi Mondiali indoor (un altro record) e della prima Coppa Europa conquistata l’anno scorso a Chorzów, in Polonia?
La Fidal – la Federazione italiana di atletica leggera – fa risalire gran parte del cambiamento al 2018. Quell’anno il presidente era ancora Alfio Giomi, in carica dal 2012 al 2021 e poi sostituito dall’attuale presidente Stefano Mei, e alla fine di settembre Antonio La Torre fu nominato direttore tecnico delle squadre nazionali assolute. La Torre è professore associato di Metodi e didattiche delle attività sportive all’Università degli Studi di Milano, ma soprattutto è stato l’allenatore di Ivano Brugnetti, marciatore campione del mondo nella 50 chilometri a Siviglia 1999 e campione olimpico nella 20 chilometri ad Atene 2004. «Giomi, il presidente delle zero medaglie ai Mondiali di Pechino e alle Olimpiadi di Rio, lo ha voluto a tutti i costi», racconta a Undici una fonte federale. «La Torre è stato per un anno consulente del comparto lunghe distanze, poi nel 2018 è diventato direttore tecnico unico. In quel periodo si è passati da una struttura molto disomogenea, con il modello dei “poli di sviluppo” secondo cui i principali centri sportivi in Italia facevano capo all’atleta più bravo di una specialità, con tutti i benefit ma anche le comfort zone che questo comportava, a un modello per cui tanti giovani talenti hanno accettato di muoversi, di lasciare la propria casa e le proprie comodità per allenarsi e crescere con i tecnici migliori. Faccio un esempio su tutti: il lavoro svolto a Formia, in provincia di Latina, dall’allenatore cubano Santiago Antunez, maestro degli ostacoli, è stato eccezionale e ne traiamo i benefici ancora oggi».

Come in tutte le ricette, però, non è un solo ingrediente a fare la differenza. «I cinque ori di Tokyo hanno portato anche un cambio di mentalità», continua la nostra fonte federale, «perché oggi può capitare che un italiano vinca i 100 metri alle Olimpiadi». Intervistato dal Foglio, nel 2023, il presidente della Fidal Stefano Mei aveva detto: «Al settore tecnico prima si toglieva, ora si dà. Nel 2022 abbiamo aumentato gli investimenti per tecnici e atleti di 2,8 milioni di euro arrivando a un esborso di quasi 8 milioni». «Senza tecnici non si va da nessuna parte», aggiungono dalla Fidal, «e in effetti abbiamo triplicato il numero di atleti d’élite che seguiamo direttamente, da circa 30 a circa 90. Questo significa che loro sentono più sostegno e più fiducia e riescono ad allenarsi con maggiore serenità. Inoltre ora hanno tutti uno staff allargato, composto almeno da allenatore, fisioterapista e nutrizionista, e in molti casi anche un mental coach e uno strength conditioner, l’allenatore della forza. Tutti ormai lavorano con i pesi in palestra, anche i velocisti, perché un muscolo più forte recupera più in fretta e si fa meno male. Infine La Torre ha introdotto il monitoraggio del sonno attraverso un’app sul cellulare, e l’allenamento viene adattato anche in base a quello».
Ma c’è ancora dell’altro, e questa volta arriva dalle parole degli atleti stessi. «Lo avevo detto che questa squadra avrebbe fatto cose stratosferiche», ha dichiarato domenica Tamberi, «è bellissimo viverle da dentro, è una squadra affiatatissima che prende energie l’uno dall’altro. Quando sono entrato in nazionale era l’esatto opposto. C’era un’invidia continua tra compagni. Adesso no. Prima si veniva a questi campionati con la paura di fallire, ora con la voglia di stupire. Questo fa tutto la differenza del mondo». «Tokyo ci ha cambiati, questa Italia scende in pista per vincere», ha detto Marcell Jacobs dopo il secondo oro consecutivo nei 100 metri conquistato sabato sera. «Ho visto Jacobs e gli altri vincere a Tokyo e mi sono detto: anch’io voglio provare a vincere», ha confermato Lorenzo Simonelli, 22 anni, nuovo campione europeo dei 110 metri ostacoli.
Queste frasi suoneranno familiari a chi, oltre all’atletica, segue anche il nuoto. Il concetto della «nazionale più forte di sempre» ritorna spesso anche in piscina, e nel 2022 Federica Pellegrini aveva motivato il suo punto di vista utilizzando parole molto simili a quelle pronunciate da Tamberi: «Questa squadra è sicuramente più unita della nostra, noi eravamo di meno ed era più facile che si creassero rivalità, tutti volevamo essere la prima donna. Loro sono riusciti a entrare in un meccanismo molto americano, dove il mio risultato porta al miglioramento del risultato di un altro». Come il nuoto, poi, anche l’atletica italiana sta vivendo i migliori Europei della propria storia in casa, a Roma (lo stadio Olimpico e il Foro italico sono distanti poche centinaia di metri), così come l’effetto Sydney 2000 del nuoto – il triplo dei tesserati in 20 anni a partire dai tre ori e dalle sei medaglie totali di Domenico Fioravanti, Massimiliano Rosolino e Davide Rummolo – è molto simile all’effetto Tokyo 2021 dell’atletica, che secondo le prime stime ha aumentato del 36% il numero dei suoi iscritti nel solo anno dei trionfi olimpici in Giappone.
Ma è vera gloria? Questi Europei di Roma, a poco più di un mese dalle Olimpiadi di Parigi, il vero grande appuntamento dell’estate e della stagione, hanno probabilmente rappresentato una ghiotta occasione di raccolta per le numerose “seconde linee” della nazionale italiana, per tutti quegli atleti che gareggeranno in Francia senza particolari ambizioni di medaglia. Allo stesso tempo, però, l’atletica è uno sport di cronometro e di misure, e per esempio con il 13’’05 con cui Simonelli ha vinto sabato sera la medaglia d’oro nei 110 metri ostacoli si è andati a podio in tutte le precedenti edizioni dei Giochi Olimpici. Anche i 22,95 metri di Leonardo Fabbri nel getto del peso e gli 8,38 metri di Mattia Furlani nel salto in lungo sono distanze da medaglia a Parigi. Sarà difficile, quasi impossibile, ripetere i cinque ori di Tokyo, ma «la nazionale più forte di sempre» adesso ha fame di altre sfide.