L’Europeo di chi vuol essere europeo

Sta per iniziare un torneo a cui non ci saranno solo le Nazionali, ma anche tensioni, rivendicazioni, complessità: Euro 2024 intreccerà come mai prima d’ora il calcio con le questioni politiche.

«Siamo andati all’Europeo, ora andiamo anche in Europa». Questa scritta su un cartello mostrato per le strade di Tbilisi in rivolta a inizio maggio diceva tanto sulla complicata situazione della Georgia, dove la questione della legge governativa sulla registrazione degli agenti stranieri ha ancora una volta spalancato il conflitto tra le due sfere di influenza verso cui tende il Paese caucasico, quella europea e quella russa. La scritta mostrata nei cortei georgiani, però, raccontava anche bene come si prepara il continente agli Europei in Germania, forse i più politicamente complicati della sua storia. Lo erano anche già prima dei playoff, con tutte le tensioni che conosciamo e l’esclusione della Russia dalle qualificazioni. Lo sono diventati ancora di più con gli ingressi al torneo, proprio sul rettilineo finale e negli ultimi minuti delle rispettive partite, di Ucraina e Georgia. Il gol di Mudryk all’Islanda, i tesissimi rigori della Georgia contro la Grecia, insomma, gli eventi del gioco e del campo, hanno ultimato la caotica confezione: agli Europei in Germania, per usare il celebre motto di José Mourinho, chi saprà solo di calcio non capirà molto di calcio.

Euro 2024 non sarà una questione esistenziale solo per Ucraina e Georgia, sarà un momento di autocoscienza per tutto il continente. Come scrive il politologo francese Pascal Boniface, le squadre nazionali sono diventate la quarta dimensione della forma di uno Stato, ormai imprescindibili come avere un territorio, un popolo e una forma di governo. Ci siamo abituati, succede in ogni manifestazione sportiva, la novità è che l’Europeo di calcio non è più immune come un tempo a queste complessità.

Di solito spettava ai Mondiali di calcio o alle manifestazioni continentali di aree più variegate e turbolente il discutibile ma affascinante privilegio di dover essere seguite integrando la conoscenza degli stili di gioco con letture da Foreign Policy o Limes. L’Europeo si era illuso di essere il torneo dei simili con i loro simili, dove al massimo si scontavano antiche ruggini gastronomiche, antipatie culturali o diffidenze linguistiche, ma senza le questioni ultime di uno Stati Uniti-Iran, per dire, o dell’incredibile girone geopolitico dell’ultima Coppa d’Asia: Emirati Arabi Uniti, Palestina, Qatar e Hong Kong. Invece ora, se guardiamo l’Europeo di Germania, è tutto, come dire, molto più complicato di un tempo. Delle 24 squadre che si sono qualificate in Germania, ci sono 15 Nazionali che rappresentano Paesi dell’Unione Europea, due che ne sono uscite più o meno a malincuore (Inghilterra e Scozia), e tutte le altre, esclusa la Svizzera, che vorrebbero a vario titolo entrarci, comprese Ucraina e Georgia, che da questa prospettiva sono letteralmente dilaniate.

Sono passati 12 anni da quando Polonia e Ucraina organizzavano insieme un Europeo, come se tra i due Paesi non ci fossero confini. Nel 2012 i due Paesi potevano fare lo stesso sforzo organizzativo congiunto che un decennio prima avevano compiuto due Stati quasi gemelli come Belgio e Paesi Bassi, senza che sembrasse assurdo. Forse un po’ scomodo, ma non assurdo. Ora entrambe le Nazionali si sono qualificate agli spareggi giocando in Polonia, dove peraltro vivono anche due milioni di profughi ucraini. In Ucraina non si giocano gare internazionali da oltre due anni. All’Europeo del 2012 c’era anche la Russia. Nel girone, per prudenza, la Nazionale russa aveva giocato solo a Breslavia e Varsavia e non andò avanti, quindi non giocò mai in Ucraina.

Nel 2012 il problema della Russia su suolo Nato era al massimo la differenza reti con cui era stata eliminata dal girone. Mancavano due anni alle sue Olimpiadi invernali di Sochi e sei alla sua Coppa del mondo di calcio. Era un altro mondo. Entrambe le manifestazioni si giocarono a Donbass già occupato, ma non sembrava, allora, un ostacolo insormontabile. Nel 2021 la Russia si infuriò perché sulla maglia della Nazionale ucraina c’era scritto “Gloria agli eroi” e sui confini di una piccola mappa disegnata sulla maglia era inclusa anche anche la Crimea, occupata nel 2014. I russi dicevano che il tono era troppo militaristico. L’ambasciata americana a Kiev twittò la maglia: «Love the new look», ci piace la nuova maglia. Schermaglie quasi innocenti. Otto mesi dopo, la Russa invase l’Ucraina. Tra l’ingenuità di quell’Euro 2021 scanzonato e paneuropeo, nonostante il Covid fosse ancora in giro a fare vittime, e la fatica politica di Euro 2024 c’è un abisso.

Il 21 giugno alla Düsseldorf Arena si giocherà Ucraina-Slovacchia: non avrà la croccantezza di certi derby mondiali tra i grandi Satana, ma sarà la partita più delicata di tutta la manifestazione da un punto di vista politico. Per la prima volta dai tempi dell’invasione, gli ucraini giocheranno contro un Paese che potremmo definire apertamente ostile. Dopo le elezioni di aprile, la Slovacchia ha un presidente (Peter Pellegrini) e un primo ministro (Robert Fico) contrari agli aiuti militari all’Ucraina. «La guerra è cominciata nel 2014, non nel 2024. La guerra è iniziata perché i nazisti e i fascisti ucraini ammazzavano civili russi», parole di Fico, premier slovacco vittima di un attentato, che aleggeranno sulla partita, gli scontri di gioco, le marcature, il nervosismo dell’arbitro, lo spirito con cui gli ucraini a casa o profughi nel mondo tiferanno davanti alla televisione. E poi, una partita meno discussa ma altrettanto suggestiva, quella del 26 giugno a Stoccarda, Ucraina contro Belgio, il paese che ospita le sedi delle istituzioni europee, così invocate a Kiev. Una partita contro i fantasmi e una di fronte ai sogni: comunque vada per la squadra allenata da Sergiy Rebrov sarà un Europeo intenso. Per non farsi mancare niente, la terza partita della sua Ucraina sarà contro la vicina Romania, uno di quei confini lungo i quali danza la possibilità di una guerra atomica della Nato con la Russia.

A marzo l’Ucraina si è qualificata per Euro 2024 giocando in campo neutro, a Breslavia (Polonia), grazie a un gol di Mudryk all’84° contro l’Islanda (Rafal Oleksiewicz/Getty Images)

La piccola Georgia di Khvicha Kvaratskhelia sarà l’altra squadra-mondo di questi Europei. Nel suo girone con Turchia (una delle gare più orientali di sempre della manifestazione), Portogallo e Repubblica Ceca, la Georgia può anche coltivare progetti ambiziosi di superamento del girone e oltre, come l’Islanda otto anni fa. A differenza dei nordici, però, i georgiani difficilmente potranno pensare solo a giocare. A vario titolo e con toni più o meno espliciti, i calciatori hanno espresso sostegno ai manifestanti pro-Europa, finendo esaltati, criticati o strumentalizzati a seconda del punto di osservazione interno o esterno. La stessa élite storica del calcio georgiano è divisa, il calciatore più famoso dell’era recente pre-Kvara, l’ex milanista Kakhaber Kaladze, oggi è entrato in politica, è sindaco della capitale, segretario generale del partito al potere Sogno georgiano e sostenitore delle leggi volute della Russia (che per Kaladze ovviamente sono solo leggi al 100% georgiane). Non sarà mai solo calcio, insomma.

E solo la legge del campo e dei suoi incroci ha fermato la partecipazione di Israele a Euro 2024. Se l’ex Palermo Eran Zahavi non avesse sbagliato un rigore a dieci minuti dalla fine nel playoff contro l’Islanda, saremmo qui a raccontare di una manifestazione ancora più complessa, anche per l’approccio repressivo della Germania al dissenso pro-palestinese. Come scritto in un’analisi di EconPol del 2018, «l’identità europea non può essere prescritta, può essere solo sperimentata». Non si parlava di calcio in quello studio ma, in fondo, nemmeno in questo articolo stiamo parlando di calcio. L’Europeo comincia esattamente una settimana dopo le elezioni europee, in entrambi i casi non potremo dire in partenza cosa vuol dire Europa, cos’è e cosa non è l’Europa, con la sua Unione e i suoi turbolenti confini. Non possiamo prescriverlo, possiamo solo sperimentarlo. Dalle urne come dal torneo usciranno un Europarlamento e un continente diversi. Il voto potrebbe amplificare e moltiplicare la complessità di partite come Slovacchia-Ucraina: siamo davvero tutti dalla parte dell’esercito di Kiev? Fin dove ci spingeremo? E perché? Sarà una delle tante storie che legheranno il filo tra le elezioni e le partite.

Ci siamo raccontati per decenni, contro ogni evidenza, la bugia di un continente sonnolento e tranquillo circondato da un mondo in fiamme. Ora le fiamme sono qui, appena fuori i confini e ben dentro il suo torneo di calcio, nonostante l’esclusione d’ufficio della Russia e l’eliminazione sul campo di Israele. Sarà un’estate di autocoscienza e ricerca di sé, che passerà anche attraverso l’Olimpiade di Parigi, altro evento globale ma, per la prima volta da decenni, nuovamente in europeo, incaricato di portare un messaggio europeo al mondo. Difficile oggi capire come sarà quel messaggio. Forse un indizio è nelle origini della manifestazione. Quasi un secolo e mezzo prima dell’inizio di Euro 2024 nasceva a Parigi un uomo chiamato Henri Delaunay, francese, ex arbitro che rinunciò a quella carriera per un incidente di gioco (secondo la leggenda una pallonata gli fece saltare due denti e ingoiare il fischietto). È stato uno dei primi architetti del calcio moderno, è tra gli inventori della Fifa, dell’Uefa, della Coppa dei Campioni e dell’Europeo di calcio, un torneo immaginato quando ancora il massimo delle istituzioni continentali era la Ceca, la comunità del carbone e dell’acciaio. Delle creature di Delaunay, l’unica che lui non vide realizzata fu proprio quella a cui teneva di più: l’Europeo, un progetto di identità e integrazione quando la seconda guerra mondiale era finita da dieci anni. La comunità europea e l’Europeo nacquero in scia allo stesso pensiero di pace. La prima edizione si svolse nel 1960, cinque anni dopo la morte di Delaunay. Nemmeno quello era uno dei periodi più sereni della storia dell’umanità, la pace sembrava ancora più remota di quanto sembri oggi. Il muro di Berlino doveva ancora essere costruito, la Guerra fredda era in pieno svolgimento, c’era appena stata la rivoluzione di Cuba, erano tempi di spionaggio, controspionaggio e test nucleari. La fase finale di quell’Europeo fu giocata a Parigi, vinse l’Unione Sovietica, in finale contro la Jugoslavia. Il gol del vantaggio lo segnò una leggenda del calcio georgiano, Slava Metreveli.

Sessantaquattro anni dopo, molta integrazione ma anche molte divisioni dopo, il motto scelto dagli eredi di Delaunay per Euro 2024 è “United by Football – United in the Heart of Europe”, uniti dal calcio, uniti nel cuore dell’Europa. Una formula generica e conviviale, più adatta a un affollato pub di Strasburgo per vedere le partite che alle partite stesse. Quel motto, nella sua ingenuità plasticosa, è la reiterazione del tentativo da parte delle istituzioni del calcio, allo stesso tempo comprensibile e velleitario, di tenere la politica fuori dagli stadi. Ma la politica, con tutte le sue tensioni, non ha bisogno né di essere invitata né di essere invocata alle partite, è già lì ad aspettare i giocatori. E questo, alla fine, è anche il senso del calcio. Non è un bug, è uno dei motivi per cui ci piace così tanto.

Questo articolo è tratto dal numero 56 di Undici, in edicola da lunedì 10 giugno 2024.