E adesso come si ferma Jannik Sinner?

Il primo posto nel Ranking ATP era solo questione di tempo. E all'orizzonte sembra che non ci sia nessuno in grado di batterlo.

Quando Novak Djokovic andava sotto – quando si disarticolava in quello strano modo dopo il servizio, mandava un colpo su tre fuori di metri, e avviava una delle sue garbate conversazioni in lingua col box –, be’, lì veniva il bello. Poteva essere che l’avversario vincesse un set, o e che il match sembrasse indirizzato: ma alla prima indecisione del supposto vincente, al primo punto giocato con sufficienza, il vero Nole sbucava dal nulla, nelle sua più sontuosa pulsione omicida: e dal quel momento in poi bisognava solo aspettare, in genere neanche troppo, la stretta di mano a rete.

Era un meccanismo molto preciso, che non a caso gli avversari di Nole – come peraltro quelli di Rafa, a cominciare da Andy Roddick – hanno sempre descritto nello stesso modo: prima ti ruba le gambe, poi ti ruba l’anima. Jannik Sinner appartiene alla stessa categoria di quei due, quindi ha incorporato lo stesso template, che tuttavia applica in una versione semplificata, partendo direttamente dall’anima. Lo ha fatto in quasi tutti i suoi match importanti, anche se l’altra sera, nel memorabile ottavo del Roland Garros contro Corentin Moutet, ha deciso di darne una specie di dimostrazione pubblica. Riassumo, a uso dei ventotto italiani all’estero che per ragioni di fuso si fossero persi l’incontro. 

In sostanza, la serata ha offerto due incontri al prezzo di uno. Il primo è durato poco meno di un set, e, courtesy of Corentin, è stato una specie di vetrina di tutto quanto il tennis potrebbe offrire, con interpreti all’altezza: non solo un impressionante assortimento di drop shot, lob, colpi al volo, recuperi, accelerazioni, ma l’impossibilità di prevedere cosa avrebbe preceduto, o sarebbe seguito, a cosa. Risultato, per una mezz’ora buona il pretendente al trono del tennis mondiale è sembrato un raccattapalle dello Chatrier cui avessero messo in mano racchetta e palline senza spiegargli bene le regole del gioco – del resto nessuno avrebbe potuto farlo, dal momento che a quel gioco gioca solo Moutet. Molto rapidamente, di fatto questo irreale spettacolo di arte varia si è tradotto in un punteggio che non so quante altre volte Sinner abbia dovuto mettere – o metterà – a referto: 5/0, 40-15, due set point contro. Peccato che in quel preciso momento il baccanale Moutet si sia di colpo trasformato nella festicciola Sinner, con le sue consuete modalità: pizzette e Coca a piacimento, e alle undici tutti a letto. È cioè cominciata la seconda partita, quella che tutti ci aspettavamo di vedere: e subito dopo è anche finita, nel modo più rapido e indolore. Ma come mai? Cos’era successo?

Quello che dicevamo più sopra, all’incirca. Jannik aveva piantato i canini nel cranio di Corentin, succhiandogli via tutto quello che conteneva. Per dirla in modo meno cruento, visto che non riusciva a giocare come Sinner aveva deciso, dopo uno studio molto veloce ma molto attento, di giocare come Moutet – una palla corta, poi un pallonetto, poi un agguato a rete, nel caso che quel geniale squilibrato riuscisse comunque a rimettere la palla in gioco: e così via. Questo mentre Corentin – vistosi scoperto, come si sarebbe detto nei romanzi di un tempo – si rassegnava a giocare come Sinner, cioè faceva esattamente quello che Sinner desiderava facesse. O forse quello che, in un modo piuttosto misterioso, Sinner lo aveva costretto a fare. Stupefacente, e per certi versi sinistro. Ma il tennis nei casi migliori lo è.

Quarantott’ore dopo, mentre in campo Sinner stava sgretolando quel sublime perdente di Griga Dimitrov – pur sempre il 10 al mondo, e in forma strepitosa –, dalle tribune dello Chatrier il solito informato dei fatti gli ha urlato che poteva anche prendersela comoda, tanto ormai il numero 1 era lui. Non che Jannik si stesse agitando, figurarsi, ma l’annuncio è stato comunque una specie di anticlimax. La partita là sotto ha perso interesse per tutti, a cominciare da Dimitrov, che come ogni collega in circostanze analoghe sembrava ormai pensare una cosa sola – prima mi cavo via da ‘sto strazio, meglio è. Sinner lo ha agevolato, quindi poco dopo gli è toccata l’intervista in campo, dove pur girandoci intorno quanto basta, alla fine Fabrice Santoro ha dovuto comunicargli il segreto di Pulcinella. Essendo attesa da anni, poi da mesi, poi – febbrilmente – da giorni, la notizia ha strappato ai presenti un applauso poco più che di circostanza. Quanto all’interessato, che notoriamente non ha un carattere impressionabile, è parso considerarla, come tutto ciò che lo riguarda, una cosa normale. Oddio, nessuno si aspettava che Jannik desse in scalmane, però nel tono malinconico con cui ha vissuto l’incoronazione c’era probabilmente qualcos’altro, oltre al rammarico di doverla all’infortunio che salvo miracoli chiuderà la carriera del GOAT più o meno indiscusso.

Probabilmente, a intristire il giovane imperatore dev’essere stata la consapevolezza delle deplorevoli condizioni in cui versa il suo regno, che in effetti sembra un kinderheim dove il personale si sia dato alla macchia tutto insieme e senza preavviso, lasciando gli ospiti liberi di vagare per i padiglioni – per i tabelloni, se preferite – senza una guida. E non si direbbero in grado. Qualcuno di loro soffre l’assenza dei tre mostri alla cui ombra è cresciuto, qualcun altro la presenza di mamma e papà all’angolo, e per un miscuglio di questi fattori tutti quanti denotano un preoccupante arresto di sviluppo, non solo tennistico. Come un tempo nel femminile, oggi nel maschile è tutto possibile, e le mattane sono all’ordine del giorno. Per restare al Roland Garros 2024, prima Rublev per due dei tre set giocati contro Arnaldi ha usato la racchetta per flagellarsi come un mistico delle sue latitudini, poi un ragazzo in genere anche troppo composto come Hubert Hurkacz ha debuttato nella recita a soggetto, chiedendo al suo avversario, un allibito Griga, se per caso non gli andasse di cambiare giudice di sedia – un siparietto senza precedenti, che ha lasciato a bocca aperta persino quel noto proboviro di Mac.

Fin qui il folclore. Poi ci sarebbe l’altra parte dello spettacolo, cioè il gioco, e sul quel piano al momento nessun tennista in attività sembra in grado non dico di battere, ma anche solo di molestare Sinner. Il che come ovvio è un problema. Ci sarebbe Alcaraz, naturalmente, ma negli ultimi, ormai lunghi mesi il suo comportamento è stato, per usare un eufemismo, erratico: sprazzi magnifici, pause sconcertanti, e a tratti addirittura la sensazione di un comportamento non troppo, o comunque non abbastanza, serio. Certo tutto può cambiare in qualsiasi momento, e magari anche nello Slam ancora in corso, ma in ogni caso sarebbe auspicabile che Sinner non si ritrovasse a interpretare il ruolo, per cui è particolarmente portato, di unico adulto nella stanza. Un campione ha bisogno di vittorie esaltanti, come no, ma anche di una quantità – possibilmente modica – di sconfitte altrettanto memorabili. Non che uno se le auguri, però all’esaltazione della gloria a portata di mano è bene si accompagni sempre il terrore di vedersela sfuggire, altrimenti è difficile entrare nella leggenda dalla porta principale. È vero o no, Roger Federer?