Cosa prova un calciatore a rappresentare un Paese in cui non è cresciuto e che, forse, non conosce nemmeno?

Una volta erano gli oriundi, ma ora le Nazionali sono piene di giocatori nati in altri Paesi.

Rispetto a qualche anno fa, la FIFA ha varato diverse modifiche per regolare il reclutamento delle rappresentative nazionali. Al punto che oggi non è così esagerato parlare di un vero e proprio calciomercato anche per quanto riguarda le Federazioni. Eppure non possiamo e non dobbiamo cadere nella trappola del nostalgismo: dagli anni Trenta fino ai Sessanta, infatti, tutte le Nazionali del mondo erano piene di calciatori nati in altri Paesi, convocati grazie a naturalizzazioni di comodo e talvolta all’invenzione vera e propria di avi. Basti pensare a tutti i vari oriundi che hanno giocato in azzurro, o anche al caso limite di Alfredo Di Stéfano: argentino di origini chiaramente italiane, ha giocato con la rappresentativa del suo Paese, poi con la Colombia – quattro convocazioni in gare non riconosciute dalla FIFA – e infine con la Spagna, dopo il passaggio al Real Madrid.

Oggi non siamo di nuovo a questa legge della giungla: c’è una regolamentazione che viene attuata e rispettata in modo scrupoloso, ma che permette a diversi giocatori di scegliere con una certa libertà la propria squadra nazionale. È anche un segnale dei cambiamenti geopolitici: oggi, rispetto a qualche anno fa, ci sono molte più persone che hanno passaporto e/o cittadinanza di Paesi diversi, e che quindi sarebbero eleggibili per più di una rappresentativa. Come Jamal Musiala, per esempio: ha fatto la trafile giovanile con l’Inghilterra, poi alla fine ha deciso di giocare per la Germania a livello senior. Intervistato da The Athletic, il giovane attaccante del Bayern ha detto di avere «un cuore per la Germania e uno per l’Inghilterra, ed entrambi continueranno a battere. Alla fine ho semplicemente ascoltato ciò che sentivo dentro: dovevo giocare per la Germania, il Paese in cui sono nato. Era la decisione giusta, ma non è stato facile».

Il caso di Mateo Retegui è ancora più particolare: nato e cresciuto in Argentina, i suoi avi italiani gli hanno aperto le porte della Nazionale azzurra. E così, prima Mancini e poi Spalletti lo hanno inserito nelle loro convocazioni. Per lui, l’ha detto in un’intervista alla CBS, la chiamata nell’Italia «è stata una meravigliosa sorpresa. Fin da quando sono piccolo lavoro per giocare in Europa e con gli Azzurri. Per me è un onore e un privilegio rappresentare un Paese così importante». Ecco, la parte sul voler rappresentare gli Azzurri fin da piccolo potrebbe anche non essere vera. Ma il punto, almeno oggi, non è questo: per i calciatori le Nazionali sono una vetrina. Come i club, se non di più. Non a caso, lo stesso Retegui ha detto che «giocare e segnare contro l’Inghilterra ha cambiato la mia carriera». Visto che siamo a questo punto, allora è giusto chiedersi: cosa prova, un calciatore, quando rappresenta un Paese in cui non è cresciuto? E che, forse, non conosce nemmeno?

The Athletic ha indagato un po’ in questo senso, raccogliendo le voci di diversi calciatori che hanno cambiato la loro Nazionale. Per esempio Steven Caulker, difensore inglese (ex Tottenham) che ha accettato la convocazione della Sierra Leone prima della Coppa d’Africa 2021: «Per me non era giocare a calcio: era qualcosa di più». Il riferimento era a suo nonno, che era arrivato nel Regno Unito direttamente da Bonthe, una città della Sierra Leone. Anche Gavin Hoyte, cresciuto nelle giovanili dell’Arsenal, ha rappresentato l’Inghilterra a livello giovanile e poi è stato chiamato dal ct di Trinidad & Tobago, la nazione da cui provenivano suo padre e suo nonno: «Quando sono arrivato per la prima volta a Trinidad, alcuni miei compagni mi hanno portato in giro, così ho potuto conoscere le strade dove è cresciuta la mia famiglia. Avrebbero potuto pensare: “È uno straniero, non è veramente uno di noi”. E invece sono stati gentilissimi con me, mi hanno accolto alla grande».

Nella Nigeria che ha giocato la finale dell’ultima Coppa d’Africa, a inizio 2024, c’erano da sei calciatori nati in Europa. Tra cui Calvin Bassey, nato e cresciuto in Italia e poi trasferitosi in Inghilterra. Anche Bassey ha parlato a The Athletic: «Anche se io e alcuni miei compagni di Nazionale non abbiamo mai vissuto in Nigeria, molti dei nostri genitori sono immigrati di prima generazione. E quindi siamo cresciuti in famiglie che mantenevano un certo legame con le tradizioni africane, per esempio quelle legate al cibo. Questo ci ha permesso di creare legami anche con chi è cresciuto effettivamente in Nigeria». È (anche) così che si creano le Nazionali, oggi.