Quando si pensa al Brasile, la prima associazione di idee è quella con il calcio. E soprattutto a un certo tipo di calcio, che per i brasiliani è una vera e propria estensione della loro stessa identità: il cosiddetto joga bonito, ovvero un gioco fatto di fantasia, dribbling, imprevedibilità. Il Palmeiras, in questo senso, ha fatto e sta facendo una scelta piuttosto significativa: come raccontato dal quotidiano spagnolo As, la società di San Paolo, quella con il palmarés più ricco di tutto il calcio brasiliano, ha deciso di far allenare almeno una volta alla settimana i propri giocatori su un campo in terra battuta. Lo scopo è quello di recuperare e migliorare la tecnica individuale, con particolare attenzione al dribbling.
Come spiegato dal direttore sportivo del club, João Paulo Sampaio, l’obiettivo di questo particolare tipo di allenamento (oltre a riconettere i calciatori con l’essenza stessa del calcio brasiliano) è quello di incoraggiare la creatività nell’uno contro uno, ricreando le stesse difficili condizioni dei campetti improvvisati che si trovano all’interno delle favelas. Sempre per questa ragione, per non perdere la cultura del calcio privo di schemi e di costrizioni tattiche, all’interno del campetto sterrato non possono entrare né l’allenatore, né alcun membro dello staff tecnico — ad eccezione del solo Sampaio, che di fatto è solo un dirigente accompagnatore. Non a caso, sul cancelletto di accesso al terreno di gioco campeggia un cartello dove c’è scritto “questo è uno spazio per la libertà, l’improvvisazione e l’autonomia”. Solo i formatori delle squadre giovanili possono seguire ciò che succede in campo.
?️?? El Palmeiras hace entrenar a sus inferiores UNA VEZ a la semana en Peladeiros, canchas de polvo con piedras como las de las favelas.
¿El objetivo? Volver a los orígenes para rescatar el Jogo Bonito.
Espectacular. ?
— Ataque Futbolero (@AtaqueFutbolero) April 22, 2024
Nell’ultimo decennio il numero dei dribbling a partita si è praticamente dimezzato: Neymar, uno dei più grandi “dribblomani” del 21esimo secolo, negli anni al Psg completava più di sette dribbling a partita, una cifra che giocatori come Vinícius, Rodrygo, Anthony e Raphinha, giusto per citare un po’ di fantasisti brasiliani di questa generazione, non riescono a raggiungere nemmeno se combiniamo i loro dati. Il tentativo del Palmeiras è quello di invertire questa tendenza, di far rivivere un po’ di quest’arte che sembra scomparsa: «Al giorno d’oggi i ragazzini stanno perdendo l’abitudine di giocare in strada: l’insicurezza delle città, gli smartphone e la Playstation hanno cambiato le cose», ha spiegato Sampaio ad As. Lo stesso Sampaio è anche il promotore del Favela Day, un’iniziativa che porta i calciatori delle giovanili del Verdão – storico nickname del Palmeiras – a girare le favelas, cioè a sfidare dei ragazzi che giocano nei quartieri più densamente popolati e più difficili di San Paolo: «È una giornata dedicata al dribbling, non al passare il pallone», ha detto il dirigente del Palmeiras.