Il City Football Group ci indica dove andrà il calcio nel futuro

Storia ed evoluzione di un impero calcistico senza precedenti. Che ha radici economiche negli Emirati Arabi, ma che guarda all’Europa come punto d’arrivo. E di ulteriore conquista.

Ci sono voluti quindici anni, un decennio e mezzo per raggiungere l’obiettivo della Champions League. Solo la scorsa primavera il Manchester City ha messo in bacheca la sua prima coppa europea dai tempi della Coppa delle Coppe del 1970 e ha raggiunto l’unico traguardo che autorizza e legittima la definizione di squadra migliore d’Europa. Non era bastato egemonizzare il campionato più competitivo del mondo, costruire una formazione che sembra venuta dal futuro e portare al massimo rendimento due generazioni di talenti – da Agüero e David Silva a Julián Álvarez e Haaland. Serviva quella coppa lì, e la squadra di Mansour bin Zayed Al Nahyan, vice primo ministro degli Emirati Arabi Uniti, ha impiegato tre lustri per completare questo percorso, uno step necessario e indispensabile per portare al massimo livello possibile il progetto più ambizioso che il calcio abbia mai visto.

Da quando lo sceicco emiratino lo ha rilevato nel 2008, il club inglese ha seguito un percorso di crescita non così lineare: ci sono voluti investimenti che solo una monarchia del Golfo Persico può permettersi, uno sviluppo societario graduale, con incidenti di percorso, sconfitte, delusioni. Ha faticato più di quanto avrebbe immaginato per vincere una sola Champions. Quindici anni ma devono essere sembrati un secolo. Eppure da un po’ sembrava solo questione di tempo. Perché il calcio è uno sport ma è anche business. E se in quindici anni puoi mettere sul tavolo due miliardi di euro prima o poi i risultati arrivano. Solo che la Champions League non era l’unico traguardo da raggiungere. O meglio, era l’obiettivo ultimo del Manchester City, ma non quello del City Football Group (CFG), la multinazionale che controlla il club e che sta costruendo un impero calcistico globale, di cui la squadra inglese è solo un tassello, certamente il più importante, ma pur sempre un tassello.

Come tutti gli imperi, anche quelli calcistici cercano l’espansione, la conquista di territori, quindi una diffusione a livello globale del brand, la distribuzione dei prodotti ufficiali sui mercati esteri, l’organizzazione di tour estivi, la valorizzazione dei diritti di broadcasting, la nascita di nuove community di tifosi in ogni territorio. Il modello del CFG è ormai conosciuto e qui basterà tratteggiarne brevemente i contorni: è un’idea di calcio e di impresa geograficamente trasversale, con un playbook applicato a 14 club sparpagliati su tutti i continenti. Tra proprietà e partecipazioni minoritarie, l’impero del City Football Group va dall’Europa all’Oceania, dall’America all’Asia: oltre al Manchester City ci sono Troyes, Girona, Lommel, Palermo e Vannes in Europa, poi New York City (Stati Uniti), Melbourne City (Australia), Yokohama Marinos (Giappone), Torque (Uruguay), Sichuan Jiuniu (Cina), Mumbai City (India), più Bolívar (Bolivia) e Bahia (Brasile). L’integrazione tra questi club è prima di tutto sportiva: gli allenatori delle prime squadre fanno riferimento – con le dovute necessità e possibilità – al gioco di posizione di Guardiola e all’idea di calcio che il tecnico catalano porta in campo fin da inizio carriera.

Ma si va oltre il campo. Ogni squadra ha una persona responsabile per la parte commerciale (il Coo) e una che cura tutti i dettagli della parte sportiva (il direttore sportivo), sempre in contatto con Manchester, vero centro di comando di tutta l’organizzazione. «Smontiamo e rimontiamo la macchina in maniera profonda, dettagliata», ha spiegato in passato Brian Marwood, managing director of global football del gruppo. Tutti i segmenti delle diverse società devono essere in costante dialogo per funzionare come un sistema unico: dagli allenatori ai magazzinieri, tutti hanno compiti standardizzati, come in fabbrica; i medici dei club condividono informazioni e ricerche sugli infortuni e sulle tecniche di recupero, gli scout hanno parametri di riferimento per il tipo di giocatore su cui investire. Per organizzare un sistema di questo tipo, il CFG ha individuato dei criteri universali condivisi da tutte le parti: creare una sinergia interna porta una maggiore uniformità della strategia tecnica ed economica, consente di ridurre i costi e aiuta a generare vantaggi di scala che le altre società, quelle che non appartengono a una galassia così grande, non possono avere.

Il network del City Football Group è davvero globale: tra Europa, Asia, America e Oceania sono ben quattro i continenti in cui è presente, tramite vari club, la holding. Oltre al Manchester City, i club detenuti dal gruppo, con varie quote, sono: New York City, Melbourne City, Yokohama Marinos, Montevideo City Torque, Girona, Sichuan Jiuniu, Mumbai City, Lommel, Troyes, Palermo, Bahia. In più, c’è una partnership con Vannes e Club Bolívar. (Photo by Mike Hewitt/Getty Images)

I metodi di lavoro del City Football Group riprendono le linee guida di una grande squadra dell’aristocrazia europea. Lo schema somiglia a quello del Barcellona, in tante cose: l’integrazione tra squadre di diverse categorie, l’adozione di una filosofia tattica condivisa, la capacità di individuare e sviluppare il talento giovane da lanciare in prima squadra, l’idea di costruire più di un semplice club di calcio forte, fortissimo, che può vincere qualsiasi cosa. Non a caso i vertici del Manchester City e del City Football Group hanno tutti radici in Catalogna: in cima alla piramide siedono l’amministratore delegato Ferran Soriano e il direttore sportivo Txiki Begiristain, entrambi ex Barça. Omar Berrada ha trascorso sette anni nello staff dirigenziale dei blaugrana e ora è il responsabile delle operazioni calcistiche del City, Jorge Chumillas (direttore finanziario), Ana Gil (responsabile dei progetti di marketing globale) ed Esteve Calzada (direttore commerciale) ricoprono tutti posizioni di comando all’interno del City Football Group. La grande differenza tra le due strutture societarie sta nel fatto che l’integrazione del Barcellona è verticale tra la prima squadra e le categorie giovanili – a cui aggiunge un legame filosofico e simbolico con le divisioni degli altri sport –, mentre la sinergia tra i club dell’impero Citizen è più trasversale, cammina sul planisfero intrecciando legami tra squadre di quattro continenti.

Negli ultimi mesi del 2023 si è parlato del passaggio di giocatori tra squadre con la stessa proprietà. Se n’è parlato in termini giurisprudenziali, di regolamento, e poi come di un bug del calciomercato da riparare. Se n’è parlato soprattutto in merito al Newcastle e ai suoi legami con le quattro principali squadre del campionato dell’Arabia Saudita, tutte, Newcastle compreso, di proprietà del fondo saudita PIF. La squalifica di Sandro Tonali ha lasciato un vuoto nel centrocampo dei Magpies. L’idea di colmare quel vuoto prendendo in prestito Rúben Neves – trasferitosi in estate a Riad per giocare nell’Al-Hilal – non è così peregrina. Almeno da un punto di vista sportivo. Ma in fondo la dinamica non è molto diversa da quel che fa da anni il City Football Group. Solo che il Newcastle si è mosso con metodo emergenziale, solo per un’urgenza specifica, facendo sembrare tutto uno stratagemma per ovviare a problemi imprevisti. Le operazioni del CFG invece sono sempre programmatiche, di sistema, più razionali, in un certo senso. E questo le rende più digeribili per l’opinione pubblica, che interpreta i trasferimenti interni, se così si possono definire, un normale spostamento di calciatori da una squadra all’altra.

Dall’ingresso dell’Abu Dhabi United Group, si stima che siano stati spesi circa due miliardi di dollari per rinforzare il Manchester City. L’acquisto più costoso nella storia del club è stato Jack Grealish, arrivato nel 2021 per quasi 120 milioni di euro. Sul podio ci sono anche Gvardiol (90 milioni) e De Bruyne (76 milioni). (Photo by Michael Regan/Getty Images)

La storia da citare è di un giocatore che oggi è in Serie A, Valentín “Taty” Castellanos. La sua carriera è un saggio breve sull’enorme potenziale calcistico del City Football Group. Castellanos ha girato per un po’ alla periferia dell’impero, poi si è avvicinato lentamente al centro e man mano che le sue prestazioni salivano di livello, lui staccava un biglietto per un avanzamento di carriera, senza mai cambiare datore di lavoro. Prima il Torque, in Uruguay, per giocare il più possibile e fare esperienza, poi i New York City FC dove diventare grande, fare gol, conquistare trofei e visibilità. A un certo punto era chiaro che fosse pronto per misurarsi con l’Europa e allora il prestito al Girona era la soluzione migliore, sia per lui sia per il City Football Group. Mancava solo l’ultimo passaggio per completare il percorso, il trasferimento al Manchester City. Ma si è messa di mezzo la Lazio, ha piazzato un’offerta da quasi venti milioni e l’ha portato in Serie A. Il giro è quello: Liga, Serie A, Premier League, il gotha del calcio mondiale. Allora la parabola di Taty Castellanos rivela l’anima fortemente europea del CFG. Un dettaglio non marginale, ma non così facile da notare. L’impero calcistico del gruppo ha iniziato la sua espansione nel 2012: nove mesi dopo l’arrivo di Soriano a Manchester è stato fondato ufficialmente il New York City Football Club, che avrebbe esordito in Mls nel 2015. Poi sono arrivati altri progetti: l’Australia, il Giappone, un giro intorno al mondo che porta ha nell’Europa la destinazione finale. Perché questa è la capitale del calcio.

La proprietà emiratina, come poi avrebbe fatto anche la famiglia reale qatariota e ancora dopo quella saudita, ha scelto l’Europa perché è qui che si fanno affari con il calcio. In fondo, avrebbero potuto portare il loro progetto ovunque, costruire una bolla calcistica in qualsiasi parte del mondo come – con estrema sintesi, e quindi un po’ di fisiologico margine d’errore – sta facendo adesso l’Arabia Saudita nel suo campionato nazionale. Avrebbero potuto farlo in Cina, in Australia, negli Stati Uniti o in qualsiasi altro continente. Ma è l’Europa, ancora, e lo sarà ancora a lungo, il centro del mondo. È qui che si fanno affari intorno al pallone. Non solo in maniera esplicita e visibile, quindi con i proventi dei diritti tv, degli sponsor e del calciomercato. Molto spesso gli interessi sono meno intuitivi, meno leggibili: per i Paesi del Golfo, quindi per i loro politici e i dirigenti delle loro imprese statali, i grandi appuntamenti sportivi sono ottime piattaforme per avere contatti e un dialogo privilegiato con persone di prestigio, che sono presidenti di altre aziende, leader politici, un parterre di persone con cui è più facile iniziare una conversazione dalla tribuna d’onore di uno stadio. Ecco perché non incide solo il livello calcistico delle partite, ma anche la realtà economica e politica delle antiche liberaldemocrazie europee. Qui si possono fare affari con maggiore libertà: da trent’anni l’Europa è terra di libera circolazione di uomini, merci, servizi, capitali; qui si possono spostare asset calcistici o economici facilmente. L’Europa è il luogo dove chi può costruire un impero calcistico stratificato può beneficiare di un quadro legislativo e politico più trasparente di qualunque altro quadrante di mondo, seppur non privo di difetti.

Il “visionario” del progetto è Ferran Soriano, ceo dei primi tre club che fanno riferimento al network – Manchester, New York, Melbourne. Lo spirito del gruppo è quello di portare un modello di riferimento per ogni club controllato, grazie a competenze di use, scouting e crescita dei calciatori, condivisione di strumenti di lavoro, sul campo e non. (Photo by Christopher Furlong/Getty Images)

È grazie all’Europa, in un certo senso, che sono cresciuti tutti i satelliti del Manchester City. Finora nessuna delle squadre minori è riuscita a brillare particolarmente. Ma potrebbe essere solo questione di tempo. Il Girona sta facendo una stagione da protagonista assoluto ai vertici della Liga. Potrebbe essere l’embrione di una nuova fase del progetto, quella in cui anche i satelliti devono iniziare a crescere, alzare ancora il livello per affiancare il Manchester City tra le squadre di vertice dei migliori campionati europei. Dopotutto, con le sinergie e le risorse del City Football Group, l’egemonia che i Citizens hanno costruito in Premier League si può replicare ovunque. Gli avamposti sono già piazzati in giro per l’Europa, magari è davvero solo questione di tempo.

 

Da Undici #54