Ricordiamoci cos’era Jadon Sancho

L'attaccante inglese è tornato al Borussia, dove si era affermato come uno dei migliori giocatori al mondo. E no, non è un'esagerazione.

Il calcio è fatto essenzialmente di uomini. E a volte questi uomini sono molto giovani, sono praticamente dei ragazzi. Bisognerebbe ricordarsene, anche se parliamo di uno sport dall’anima capitalistica, di un comparto dell’industria dell’intrattenimento che produce e brucia tantissimi soldi. Solo così potremmo comprendere e accettare come un’operazione di mercato, per quanto promettente, alla fine possa deludere le aspettative. Prendiamo il caso di Jadon Sancho, attaccante classe 2000: lanciato dal Borussia Dortmund quando era ancora un adolescente (il giorno dell’esordio tra i pro aveva 17 anni), a Sancho sono bastate pochissime partite per imporsi non solo come titolare del BVB, ma come uno dei giocatori più forti e più decisivi al mondo. Dopo quattro anni di magie, quando i tempi sembravano maturi per lui e per tutti, è arrivata l’offerta irrinunciabile del Manchester United: era l’estate del 2021, il BVB incassò 85 milioni di euro e tutto sembrava essersi compiuto nel modo giusto, infatti Jadon tornava in Inghilterra come una star pronta a prendersi una lega di star – ovviamente stiamo parlando della Premier League. Oggi, due anni e mezzo dopo, sia Sancho che il Manchester United sono stati costretti a rimettere indietro gli orologi, come fanno i ritardatari incalliti per non perdersi gli appuntamenti: Jadon si è trasferito in prestito al Borussia Dortmund, lo United ha deciso di avallare l’affare per cercare di recuperare, almeno in parte, un giocatore che è letteralmente scomparso, un asset che si è completamente svalutato.

Ora dovremmo metterci qui a ragionare, a cercare di capire cos’è andato storto tra Sancho e il Manchester United. Ma perderemmo diverse ore e sicuramente non arriveremmo a costruire una verità che vada bene a tutti. Per questo aspetto della vicenda, quindi, tanto vale avvalerci di consulenze esterne: se amate la cronaca secca degli eventi, vi consigliamo due articoli di The Athletic (questo e questo) in cui vengono ricostruiti minuziosamente gli ultimi due anni e mezzo, le incomprensioni, gli equivoci, i litigi, l’addio; se invece preferite i commenti non banali e anche un po’ aspri, vi esortiamo a leggere Barney Ronay, che sul Guardian ha spiegato come Sancho, al Manchester United, «forse è stato ucciso dal modo malato in cui funziona il calcio di oggi».

Ecco, si torna inevitabilmente al punto di partenza: il calcio è diventato un tritacarne di talento, quindi di uomini se non addirittura di ragazzi. Ed è su questo che vogliamo concentrarci, adesso, parlando di Sancho. Perché siamo dentro una storia in cui si percepisce forte, molto forte, il sospetto della sopravvalutazione. A pensarci bene, i top club corrono proprio questo grande rischio, sul calciomercato: devono comprare le migliori promesse prima di tutti gli altri, e allora chi vende si mette a praticare dei prezzi altissimi per giocatori che si sono appena affacciati tra i professionisti, che hanno fatto vedere poco e niente. Ecco, gli ultimi due anni dicono che Sancho potrebbe appartenere a questa categoria, a quella dei calciatori sopravvalutati, quella dei fenomeni in divenire che non sono diventati fenomeni ma sono stati venduti comunque a cifre insensate. Ebbene, vogliamo dirlo subito: non è proprio così. Anzi, non è per niente così. Quando si è manifestato nel grande calcio, infatti, Sancho è esploso come una supernova, come il ritornello di “Highway to Hell” nei vecchi live degli AC/DC. La detonazione di Sancho è stata la risposta immediata a quella di Kylian Mbappé, nella precocità come nella potenza. Ma forse è fuorviante parlare in questi termini, è più giusto dire che l’affermazione istantanea e accecante di Sancho ha certificato l’inizio di una nuova era calcistica: quella dei fuoriclasse teenager. Non a caso, viene da dire, era passato soltanto un anno dal suo arrivo in Germania e Jonathan Wilson aveva già scritto – su Sports Illustrated – che «l’ascesa di Sancho ha un significato che va ben oltre la sua velocità». Era tutto vero: nel frattempo, infatti, molti giocatori britannici avevano già scelto di trasferirsi in Bundesliga per cercare di dare una svolta alle loro carriere. Proprio come aveva fatto lui.

Oggi, col senno di poi, tutte queste parole e certe definizioni suonano come delle iperboli. Non è così, non lasciatevi travolgere dalla sfiducia, per quanto motivata da ciò che è successo negli ultimi due anni e mezzo. Ci sono tante altre testimonianze scritte che rendono giustizia alla realtà, alla verità, ma prima di tutto ci sono i numeri: nelle quattro stagioni che ha vissuto al Borussia Dortmund, una squadra costantemente impegnata nel duello al vertice della Bundes e sempre qualificata in Champions League, Sancho ha messo insieme 50 gol e 65 assist in 137 partite ufficiali; nell’annata a cavallo tra i 18 e i 19 anni, quella in cui gli studenti italiani preparano l’esame di maturità, Sancho è arrivato a quota 20 reti e 20 passaggi decisivi in 44 presenze complessive, 36 da titolare e otto da subentrato; nel 2020/21, vale a dire l’ultima stagione prima di trasferirsi allo United, Sancho è stato è stato il miglior giocatore nella rosa del BVB per occasioni da gol create, passaggi chiave, passaggi in area di rigore, dribbling tentati e riusciti, ma soprattutto ha segnato un gol e/o ha servito un assist decisivo ogni 77 minuti di gioco. E in quella stessa rosa, vale la pena ricordarlo, c’erano anche Erling Haaland e Jude Bellingham.

Siete tra quelli che non si fanno abbindolare dai numeri e dalle statistiche avanzate? Nessun problema, per voi ci sono i video in alta definizione, ci sono dei reperti digitali, non analogici e non archeologici, che raccontano quanto fosse forte Jadon Sancho. Basta andare su YouTube per intercettare delle immagini in cui Sancho sembra dominare la Bundes e la Champions League in modo imbarazzante, in cui Sancho da l’impressione essere più forte di qualsiasi avversario provi a fermarlo. È una questione tecnica e fisica, insieme: nei suoi anni al Borussia Dortmund, Sancho era un calciatore di strappo e di controllo, nel senso che era praticamente incontenibile quando partiva in progressione, grazie a uno scatto bruciante e a una muscolatura d’acciaio, ma aveva anche una sensibilità tecnica straordinaria, un tocco sempre delicato e preciso anche se rapidissimo. Insomma, aveva tutti gli strumenti per essere decisivo in ogni zona di campo, in ogni situazione di gioco, indipendentemente da dove fosse e da come lo affrontasse il suo avversario.

E poi, altra cosa piuttosto importante, le sue capacità apparentemente sovrannaturali erano sempre al servizio di una chiara predisposizione all’efficacia: le sterzate fulminanti, i colpi di tacco, le scucchiaiate, i doppi passi vorticosi, le rulete alla Zidane, i tiri a giro e quelli al volo, i filtranti e le aperture panoramiche, i velocissimi flip-flap che fanno passare la palla tra i due piedi, tutte queste giocate erano finalizzate al raggiungimento di uno scopo, ovvero a creare un’azione potenzialmente pericolosa, a generare superiorità numerica, ad aprire spazio ai compagni e/o un corridoio per puntare la porta avversaria.

Ci sono delle pillole video in cui Jadon Sancho dà la sensazione di poter reclamare un posto al tavolo esclusivo dei fuoriclasse, che le rivedi oggi e non è blasfemo accostare il suo talento a quello di Messi, Mbappé, Neymar. Qui per esempio potete vedere Sancho che prende palla sulla trequarti tutto spostato a destra, Sancho che supera quattro difensori del Bayern prima di servire Paco Alcácer al limite dell’area, e tutti i suoi avversari sembrano quasi terrorizzati dall’idea di intervenire su di lui, di toccarlo, di farsi umiliare in velocità. Qui invece vediamo Sancho che trotterella in posizione di regista, Sancho che guarda come si sviluppa l’azione, Sancho che va a prendersi il pallone dopo una respinta dei difensori dello Schalke e poi lo mette sulla testa di Mario Götze, per altro con un assist che sta esattamente a metà tra una pallonetto e un cross a giro. Qui, infine, vediamo Sancho che segna il suo primo gol in gare ufficiali con il Dortmund, Sancho che nella ripresa addomestica la palla di tacco dopo un lancio lunghissimo dalla difesa, Sancho che sembra quasi ci sia del nastro adesivo sul suo scarpino, Sancho che infine mette Philipp solo davanti alla porta. E poi c’è anche Sancho che serve un altro assist perfetto, solo un po’ meno scintillante, per Marco Reus. Così, per non farsi mancare niente.

Qui invece c’è una compilation un po’ più ampia

Ecco, ora prendetevi un attimo per riguardare le giocate di cui abbiamo parlato, oppure godetevi il video che trovate appena sopra. Fateci caso: le grandi azioni di Sancho sono tutte diverse tra loro, sono tutte azioni in cui Sancho parte da posizioni e condizioni differenti, eppure riesce a fare qualcosa di speciale, qualcosa di spettacolare ma al tempo stesso funzionale. Era questo a renderlo un calciatore raro, prezioso, praticamente unico: solo i più grandi, infatti, riescono a coniugare così bene bellezza e praticità. A lui questa cosa veniva semplice, veniva naturale. Anche se era ancora un diciottenne, un diciannovenne, al massimo un fresco ventunenne.

Certo, nelle ultime tre stagioni le cose e le percezioni sono cambiate. Sancho ha dimostrato che non era e non è Messi, che non era e non è Mbappé, che non era e non è Neymar. A dirlo sono i fatti: il Borussia di Sancho non è andato oltre una Coppa di Germania e i quarti di finale di Champions League; ripensandoci un attimo, Jadon ha vissuto dei periodi di intermittenza, a volte di buio totale, anche quando era a Dortmund; agli Europei 2021 e a Manchester, poi, tutto è andato in malora. Il punto, però, è che Sancho ha dimostrato di possedere delle qualità enormi, di poter essere un campione generazionale, di saper decidere qualsiasi partita di qualsiasi competizione, contro qualsiasi avversario. E ha fatto tutto questo per anni. Un talento del genere può essere appassito un po’, ed è appassito sicuramente, ma non può ancora essere svanito del tutto. E allora è bello pensare che Sancho abbia scelto proprio Dortmund per cercare di ritrovarsi, come tanti ex del BVB hanno fatto prima di lui. È bello pensare che a fermarlo siano stati davvero il calcio di oggi e l’ambiente tossico del Manchester United, che lui abbia delle colpe minori, limitate, rispetto ai professionisti che non hanno saputo valorizzarlo. Ma soprattutto è bello pensare che abbia ancora un’occasione per dimostrare di essere un campione. In fondo lo è stato per davvero, altro che sopravvalutato.