Digitando su Google “milan-mercato” capita di imbattersi in una serie di articoli in cui emerge quella ritrosia tipicamente italiana per tutto ciò che potrebbe cambiare il nostro modo di fare e intendere il calcio, dentro e fuori dal campo. In questo caso si parla, ovviamente, dello scontro filosofico tra le nuove frontiere dell’osservazione calcistica messe in pratica dal capo-osservatore rossonero Geoffrey Moncada e l’idea che in certe cose non si possa ancora fare a meno dell’elemento umano, che la valutazione finale su un giocatore – e, quindi, la decisione di prenderlo o meno – debba prescindere dal mero dato numerico. La trattativa per l’acquisto di Tijjani Reijnders è finita esattamente al centro di questo dibattito ideologico che poi, inevitabilmente, ha finito con il riguardare le differenze tra vecchi e nuovi media nell’approccio alla questione nel suo complesso, con le posizioni favorevoli o contrarie dei singoli articolisti che risultano connesse al proprio background e alla propria formazione; anche per questo sembra difficile, oggi, riuscire a trovare un punto d’incontro tra due visioni (del calcio, ma non solo) in cui le argomentazioni alla base di tesi, antitesi e sintesi si bilanciano al punto tale da risultare in assoluto equilibrio.
Il quasi 25enne centrocampista dell’AZ Alkmaar, a guardarlo attraverso la lente dei dati numerici, si può considerare come una specie di alieno, visto che è stato in grado di alterare, da solo, gli standard delle rilevazioni relative alla Eredivisie: come si legge su Eurosport, infatti, Reijnders è nella top-10 praticamente in tutte le categorie delle statistiche avanzate raccolta da Fbref. Allo stesso tempo, però, stiamo parlando di di un giocatore vero, di un giocatore che è da Milan anche dal punto di vista “analogico” e dell’osservazione di campo pura e semplice. Per esempio, ciò che emerge guardando il suo linguaggio del corpo, il suo atteggiamento, la sua prossemica, il modo in cui si muove sul terreno di gioco alla ricerca costante dello spazio migliore da occupare per ricevere il pallone nel più breve tempo possibile, è che Reijnders è un giocatore già pronto, un centrocampista che riesce ad avere impatto all’interno di un sistema pochi minuti dopo averlo iniziato a giocare.
È la sua stessa storia calcistica a raccontarlo: la prima formazione avviene nel settore giovanile del PEC Zwolle, poi nel 2017 viene acquistato dall’AZ che lo parcheggia in seconda squadra per completare il suo apprendistato. Ci vogliono tre stagioni e un prestito di sei mesi (otto presenze) al RKC Waalwijk prima di vederlo aggregarlo più o meno stabilmente alla rosa a disposizione di Pascal Jansen. In quel momento Reijnders ha 20 anni e sembra già in ritardo sulla tabella di marcia, soprattutto nell’ambito di un’era calcistica in cui il rapporto tra età e curva di apprendimento si assottiglia sempre di più, in cui di spazio per i late bloomer ce n’è sempre di meno. E invece poche settimane fa lo stesso Pascal Jansen, ancora sulla panchina dell’AZ, ha detto che «quello che mi auguro è di poter lavorare ancora a lungo con Tijjani, ma non sono nato ieri e so perfettamente che i giocatori bravi prima o poi finiscono con l’attirare le attenzioni dei grandi club».
Com’è cambiato Reijnders in questi tre anni? Cos’è cambiato in lui? Intanto, per prima cosa, ha disputato un totale di 69 partite (59 da titolare) tra il 2020 e il 2022. Poi, nella stagione finita un mese e mezzo fa, l’Olanda e l’Europa intera si sono accorte di lui come dell’insostituibile per eccellenza, di un giocatore a cui Jansen non ha rinunciato letteralmente mai dopo averne fatto il perno del suo 4-3-3 che all’occorrenza si trasforma in un 4-2-3-1: 54 gare stagionali tutte disputate dall’inizio, appena cinque sostituzioni subite, sette gol e 12 assist in oltre 4,800 minuti di impiego. Ciò che lo rende così inossidabile e imprescindibile, anche lungo una stagione da quasi 60 partite, è il modo in cui traduce sul campo l’idea di multidimensionalità intesa come capacità di interpretare allo stesso modo – e con uguale efficacia – i compiti che gli sono richiesti a prescindere dalla sua collocazione tattica. In pratica, Reijnders può ricoprire tutti gli slot di un classico centrocampo a tre all’olandese, ma allo stesso tempo può agire come trequartista e/o come mediano di costruzione in un 4-2-3-1.
In tutti questi ruoli, il filo conduttore del gioco di Reijnders è il suo modo di pensare, prima ancora che il modo di giocare, guardando sempre in avanti e sempre con l’intento di ribaltare l’azione nel più breve tempo possibile, magari risalendo il campo palla al piede per vie centrali dopo l’esecuzione della salida lavolpiana. Si tratta probabilmente della sua signature move per eccellenza, resa possibile da un campionario di finte di corpo che gli permettono di superare di slancio l’avversario che esce in prima pressione su di lui e, talvolta, anche di spezzare il raddoppio; in questo modo Reijnders riesce ad attaccare l’ultimo terzo di campo quasi sempre fronte porta massimizzando sia gli effetti di un’eventuale conclusione da fuori area – in questa stagione provata quasi due volte a partita di media – sia del passaggio filtrante tra il centrale e terzino degli avversari, quello che serve a premiare il taglio del compagno che lo ha seguito sulla transizione.
Dal punto di vista della rifinitura, Reijnders non è un passatore visionario che sa creare dal nulla l’occasione con una giocata di prima: è invece un ragionatore in velocità che ha bisogno di toccare tanti palloni – quasi 60 passaggi di media ogni 90 minuti, con una precisione che sfiora il 90% – e di entrare dinamicamente nell’azione con il corpo già proteso in avanti per il passaggio, oltre che di un compagno che gli detti la traccia da seguire in modo che il pallone venga toccato quasi esclusivamente con l’esterno del piede, in corsa e all’ultimo momento utile. Quando deve consolidare il possesso, Reijnders cerca sempre di associarsi con i due esterni della catena di riferimento, o di creare superiorità in mezzo al campo attraverso la triangolazione con la punta che arretra sulla trequarti.
Una grande stagione, in pillole
Per quello che riguarda la fase di non possesso, Reijnders cerca sempre di giocare d’anticipo, di leggere prima le linee di passaggio da occupare – quasi 1,8 palloni intercettati di media. Ma è anche in grado di contrastare efficacemente il portatore di palla avversario in ripiegamento difensivo, affondando il tackle quel tanto che basta per sottrargli la disponibilità della sfera, o facendo valere la sua superiore dimensione fisica (1,85 per 75 chili) frapponendosi fra il giocatore e la palla. Più in generale il centrocampista dell’AZ sembra più a suo agio a quando può coprire il campo in ampiezza e non in profondità, e quando può uscire in pressione alta poco oltre la linea di metà campo per avviare immediatamente la contro-transizione.
In chiave Milan, Reijnders può essere tutto: quello che è stato Bennacer fino al momento dell’infortunio; quello che non potrà più essere Tonali; e quello che è stato Kessié nel biennio in cui è stato costruito lo scudetto, quindi un giocatore in grado di fare il mediano, la mezzala, il trequartista anche all’interno della stessa partita, garantendo intensità e dinamismo in entrambe le fasi e restituendo una fisicità e un atletismo che è mancato nei momenti chiave della scorsa stagione. Tutto questo forse l’ha detto un algoritmo prima di uno scouting report vecchia maniera, o forse acquistare Reijnders sarebbe il risultato di una prima e felice commistione tra i due metodi. Comunque è il caso di provare. Di fidarsi.