Cos’è la Bike Life

Viaggio nella community di ragazzi italiani che si divertono in trick e in evoluzioni in bicicletta.

Nell’ormai lontano 2013, il regista, sceneggiatore e direttore della fotografia americano Lotfy Nathan lancia 12 O’Clock Boys, un film documentario che prende in prestito il nome da una crew di dirt bike riders di Baltimora. Pug, il protagonista, è un ragazzo di 13 anni che desidera fortemente far parte di questa crew. Ma chi sono, e cosa fanno questi ragazzi? La parola chiave è impennare: sostanzialmente questo gruppo di Baltimora non fa altro. Stare in strada, impennando a bordo di biciclette o moto. Il fenomeno viene chiamato “Bike Life” proprio perché le persone che lo praticano non scendono mai dal proprio mezzo – e per la maggior parte del tempo se ne stanno rigorosamente su una ruota sola. Impennare necessita di tantissimo allenamento, costanza e serietà: non sarebbe possibile fare trick su una ruota sola in altro modo. Questo fa capire quanto questi ragazzi siano vicini al mondo dello sport e della performance, nonostante non lo pratichino all’interno di palestre o spazi dedicati, ma tra le strade, nelle piazze, nella città. Come in altre discipline, dalla breakdance al parkour, i wheelie guys nascono e crescono nelle strade creando quel perfetto innesto tra lifestyle e performance atletica.

Il fenomeno, dagli Usa, arriva poi in UK, e diventa un linguaggio sempre più utilizzato per raccontare alcune sottoculture come il rap e il grime. Raggiunge il massimo della popolarità grazie a numerosi videoclip musicali, tra cui “Floor Seats” di A$AP Ferg, uscito nel 2019. Grazie a YouTube, i video di atleti come Little Harry, Jake 100 e Oneway Corey diventano popolari anche in Italia: da qualche anno, camminando per le strade di Milano, è possibile imbattersi in gruppi (a volte formati da centinaia di persone) di biciclette che invadono le strade, rendono pericolosamente – ma magnificamente – nota la loro presenza mentre fanno impennate e si insinuano dentro e fuori il traffico a velocità eccessive, schernendo automobili di civili e spesso delle forze dell’ordine.

È proprio durante un loro raduno a Milano che sono entrata in contatto con alcuni di loro per la prima volta. La Bike Life per questi ragazzi è in parte una specie di fuga, in parte uno sport rinnegato. La loro performance è la loro ribellione. Per capire meglio come questa “scena” si è evoluta e prende vita nelle strade, ho fatto una chiacchierata con Venia, Mattew, Luca e Fabio, quattro ragazzi che da anni fanno parte di Bike Life.

Ⓤ: Ciao! Chi sei, quanti anni hai, di dove sei?

Venia: Sono Veniamin, conosciuto come 24.7venia. Ho 17 anni, quasi 18, e sono di Pioltello, in provincia di Milano.
Mattew: Sono Matteo, ho 32 anni e vengo da Novara.
Luca: Sono Luca, ho 19 anni e sono di Seriate, in provincia di Bergamo.
Fabio: Ciao, sono Fabio, ho 17 anni e sono di Pioltello.

Ⓤ: Raccontaci quello che fai e qual è la motivazione che ti ha fatto iniziare.

Mattew: La nostra disciplina si traduce con “impennata”. Sostanzialmente ci spostiamo in bici o in moto con la ruota anteriore alzata, ma bisogna farlo con stile. Io ho iniziato come hanno iniziato penso tutti, in bicicletta e con degli amici, ma la motivazione che mi ha fatto iniziare è stata che “volevo essere uno dei migliori a farlo”.

Ⓤ: Cosa o chi ha più influenzato il modo in cui vai in bici e perché?

Luca: La cosa che mi ha influenzato di più sono i biker brasiliani/ colombiani per il loro stile di guida. Mattew: La cosa che mi ha spinto di più ad entrare in questo mondo sono i piloti di moto giapponesi che si sfidano tra le strade di montagna. Per quanto riguarda il Bike Life in bici e Dirt Bike non posso che dire onewaycorey, leader di uno dei team più forti di cui da un po’ di mesi faccio parte anche io.

Ⓤ: Come sono fatte le bici sulla quale impenni? È necessario avere bici specifiche?

Fabio: La bici con cui impenno è una semplice bici di Decathlon, chiaramente avere dei modelli specifici può aiutarti a fare dei trick più complessi. Venia: La mia bici è una c100 di collectivebikes ed è una semplice mountainbike, soltanto che non utilizzo il freno davanti ma solamente quello dietro. Poi esistono anche altre bici come le wheelie bike che sono fatte apposta per fare trick e hanno dei pegs dietro per metterci i piedi, a vederle sono delle bmx con le ruote più grandi. Per fare quello che facciamo noi non serve per forza una bici specifica ma è consigliabile una wheelie bike per spingersi oltre.

Ⓤ: Come si riesce a far parte di una crew? Come si fa a essere riconosciuti nella comunità Bike Life?

Mattew: Non sono crew, sono vere e proprie famiglie di persone che si supportano l’una con l’altra. Molti di noi sono proprio amici che escono in compagnia e non che si ritrovano soli agli eventi che ogni tanto vengono organizzati. Per essere riconosciuti nella comunità prima di tutto ci vuole dedizione e ossessione sportiva nel migliorarsi e voler essere rispettato. Da fuori chiunque nota questa voglia di voler esplodere, questa energia interna che ti contagia mentre lo vedi.
Venia: Per far parte di una crew come “oneway” bisogna impegnarsi ed essere costanti in quello che si fa, e riuscire a farsi riconoscere dai leader del team come onewaycorey e onewaytito. In generale per farsi riconoscere in questo mondo bisogna spingere molto con i social e venire ai rideout che organizzo per la maggior parte delle volte io.

Ⓤ:  Come pensi che la gente (la massa) percepisca il fenomeno Bike Life? Che visione hanno i tuoi familiari?

Luca: La massa vede tutto questo come uno spreco di tempo dove rischi solo di farti del male senza capire che dietro c’è una grande passione che ogni giorno porta i ragazzi a essere più determinati e soprattutto ad avere un sogno e un obiettivo. Io ho la sfortuna di avere una famiglia che non mi ha mai appoggiato in questo, ha spesso cercato di ostacolarmi e di evitare che praticassi questo sport. Con il tempo sono riuscito a rendermi indipendente e piano piano a realizzare ciò che volevo nonostante i tanti ostacoli.
Mattew: Le persone percepiscono tutto questo come delle cose stupide solo perché ai loro occhi sono pericolose, è come quando si ha paura delle cose che non si conoscono. Si prova a far cambiare pensiero alla gente ma mi interessa farlo fino a un certo punto. Io posso dire di essere fortunato, perché sono appoggiato pienamente dalla mia ragazza, dai miei genitori e amici, mi supportano mi incitano a essere migliore e si preoccupano se mi faccio male.

Ⓤ: Hai degli obiettivi o sogni? Quali?

Mattew: Sogni? Sì, tanti, uno l’ho realizzato entrando nei oneway (team americano, nda), è stato uno dei miei sogni non molto dopo aver iniziato in bici. Gli obiettivi sono in continuo cambiamento, perché molti li ho già raggiunti (tra sponsorizzazioni, eventi, riconoscimenti) ma non bisogna mai fermarsi.
Venia: Io ho molti sogni ma se devo proprio scegliere è quello di vivere di Bike Life. Nella vita sono molto ottimista, so che posso farcela. Voglio farmi riconoscere come la persona che rappresenti la Bike Life italiana e ci sto riuscendo.
Fabio: Il mio sogno è fare diventare questa mia passione un lavoro.

Da Undici n° 46
Foto di Giovanni Benvenuto