La rivelazione di Houssem Aouar

Rudi Garcia ha costruito il Lione intorno a lui, che si sta rivelando uno dei centrocampisti più fantasiosi e completi della nuova generazione.

Il 10 dicembre 2017, allo Stade de La Licorne di Amiens, il Lione è sotto 1-0 contro i padroni di casa; siamo a dieci minuti dalla fine di una partita che, dal punto di vista tattico, si stava rivelando molto complicata per l’OL. Quando Houssem Aouar riceve un passaggio di Tanguy Ndombele sulla trequarti sinistra, l’Amiens è riuscito per l’ennesima volta a creare densità nell’ultimo terzo di campo: in venti metri ci sono 11 giocatori, di cui solo quattro in maglia bianca. Dopo aver controllato il pallone, Aouar sfrutta il movimento di Ndombele a portare via l’uomo che potrebbe arrivare a raddoppiarlo, entra dentro il campo come una lama e premia la corsa del compagno con un filtrante che taglia fuori tre giocatori dell’Amiens: Ndombele, a quel punto, va a memoria e la mette in mezzo sapendo che Aouar sarà lì pronto ad aggredire lo spazio senza palla. Circostanza che si verifica puntuale quasi come il piatto sinistro “ozillesco” che al 90′, e dopo 70 metri di corsa a perdifiato per premiare gli sforzi di Mariano Díaz, regala i tre punti all’OL: Aouar non ha ancora compiuto vent’anni ma ha appena disputato la sua statement game, la gara che rivela alla Ligue 1 e al mondo chi sia e che intenzioni abbia quel ragazzo di origini algerini, il punto di partenza di un potenziale racconto di predestinazione.

Il 21enne Aouar appartiene a quel gruppo di giocatori, cresciuti nel florido vivaio dell’OL, che si affermano giovanissimi in prima squadra e sembrano destinati, o meglio predestinati, a una grande carriera. “La Pépite”, segna il suo primo gol – il sesto dei sette che il Lione rifila all’AZ Alkmaar il 23 febbraio 2017, nel ritorno dei sedicesimi di Europa League – alla seconda gara ufficiale; diventa titolare fisso alla sua seconda stagione da professionista (44 presenze, sette reti e sei assist nel 2017/2018); e soprattutto si vede costretto a sopportare fin da subito paragoni scomodi tra cui quelli con Iniesta e Juninho.

Tuttavia, provare a descrivere Aouar unicamente attraverso il filtro del confronto con i centrocampisti di riferimento delle generazioni precedenti sarebbe un errore: parliamo di un giocatore ugualmente elegante e cerebrale, ma che deve ancora imparare a sfruttare al meglio tutte le sue potenzialità, lontano dal raggiungimento dei picchi tecnici, fisici e psicologici necessari per interpretare ad altissimo livello quel ruolo di “universale” che gli è stato cucito addosso fin da quando, a undici anni, è entrato a far parte della scuola calcio dell’OL.

Da questo punto di vista il suo percorso evolutivo è stato scandito da una multidimensionalità rara tra i pari età, accentuata dalla lungimiranza del suo primo allenatore, Bruno Génésio, quando si è trattato di inserirlo in pianta stabile nelle rotazioni senza che patisse il salto di categoria. Coerentemente con quello che era stato il leitmotiv della sua trafila nelle giovanili, infatti, il tecnico ha inizialmente impiegato Aouar come “tuttocampista” offensivo con compiti di rifinitura e finalizzazione, sfruttandolo nelle zone più avanzate del centro-sinistra per massimizzare le sue qualità, sia da un punto di vista individuale che da quello delle interazioni tecniche con i compagni.

La qualità delle intuizioni con e senza palla, la naturale associatività e la capacità di interpretare al meglio il ruolo in ogni contesto grazie alla sua eccellente tecnica di base, però, convincono l’allenatore ad aumentarne influenza e raggio d’azione, trasformandolo in un centrocampista in grado di fare tutto e di farlo bene. La rapidità con cui tutto questo è avvenuto è solo la diretta conseguenza di un talento sviluppato assecondandone le inclinazioni: «È uno di quei giocatori che si impongono naturalmente senza far rumore. In Houssem c’è un po’ di tutto, è un cocktail delle migliori qualità dei grandi giocatori che l’hanno preceduto» dirà qualche tempo dopo a France Football il suo ex allenatore nell’Under-17, Armand Garrido.

Le caratteristiche fisiche e le qualità di Aouar si esprimono e sono utilissime in tutte le zone di campo, in tantissime situazioni differenti

La stagione successiva è quella della consacrazione definitiva, in cui Aouar si dimostra per distacco il centrocampista francese più completo della Ligue 1, in grado di ricoprire indifferentemente sia lo slot di mezzala sinistra di un centrocampo a tre che quello di mediano classico di un centrocampo a due con il compito di far progredire l’azione in avanti. Aouar, tuttavia, è un giocatore ancora molto istintivo, che esprime la propria creatività attraverso i due fondamentali che caratterizzano la nuova generazione dei centrocampisti offensivi trasformati in mezzali di costruzione: il dribbling, usato per spezzare il raddoppio e uscire dalle situazioni più complicate, e la conduzione palla al piede in campo aperto in condizioni di parità o superiorità numerica.

Difensivamente, invece, preferisce concentrarsi sulle linee di passaggio da “sporcare” piuttosto che su un’interpretazione più fisica e muscolare del ruolo: i tre cartellini gialli rimediati nelle prime due stagioni e il numero relativamente basso di contrasti effettuati a partita raccontano di un giocatore che si trova più a suo agio quando si tratta di difendere sfruttando le sue doti nell’anticipo delle intenzioni dell’avversario.

Nell’assist servito per questo gol di Depay c’è l’essenza del gioco di Aouar

È però con l’arrivo di Rudi Garcia, all’inizio di questa stagione, che il progetto di “all around player” prende concretamente forma. Come già accaduto a Marsiglia con Payet, l’ex allenatore della Roma decide di mettere il miglior giocatore della rosa al centro del suo progetto tattico: Aouar diventa il leader tecnico ed emotivo della squadra, gode della più ampia autonomia possibile nella ricerca della posizione migliore in campo e risulta molto più coinvolto in fase di prima costruzione. In coppia con uno tra Tousart e Thiago Mendes in una mediana a due, o trequartista “spurio” nel tridente alle spalle dell’unica punta, l’Aouar che abbiamo visto fino all’inizio del lockdown è un giocatore che agisce prevalentemente lungo la fascia centrale del campo e che canalizza i flussi di gioco dell’OL. Dai suoi piedi passano praticamente tutte le azioni di quella che ormai è diventata la sua squadra: «L’allenatore mi ha dato grande libertà di movimento in campo: giocare sulla sinistra mi permette di fare la differenza dal punto di vista individuale ma sto imparando che posso influire di più sulle partite quando gioco in mezzo» ha detto a dicembre in un’intervista.

Ancora una volta, i numeri sono indicativi fino a un certo punto: nell’annata in cui ha già battuto il record personale di gol (nove) con una decina di presenze in meno, Aouar tocca praticamente lo stesso numero di palloni e genera lo stesso numero di occasioni del 2018/2019. La differenza sta nel suo trovarsi sempre nella zona in cui si trova il pallone, nella capacità di influenzare le partite muovendosi nel cuore del gioco offensivo. E se in Ligue 1 tutto questo si è tradotto in una sorta di “ordinaria amministrazione”, in giocate più scolastiche e meno brillanti dal punto di vista estetico, è in Champions League che si è percepito chiaramente quale sia il peso specifico del numero 8 nel sistema di Garcia. Al di là della splendida rete contro il Lipsia – la prima nella competizione, per di più decisiva per il passaggio del turno – e dei tre assist serviti in cinque partite, Aouar ha dimostrato come e quanto il livello delle sue prestazioni sia determinante per quelle della sua squadra.

Nell’andata degli ottavi contro la Juventus, abbiamo per distacco la sua miglior partita stagionale in relazione alla forza dell’avversario. Aouar ha dominato sui due lati del campo: con il pallone tra i piedi, ha consolidato il possesso sincopato che ha mandato fuori giri il sistema di pressione della Juve per poi occuparsi in prima persona di alternare il gioco lungo e quello corto nella risalita del campo, guidando i movimenti dei compagni come se avesse un joystick tra le mani e vanificando così ogni tentativo di riaggressione. In fase difensiva, invece, Aouar è stato il perno del 3-5-2 con cui Garcia ha imbrigliato Sarri, sporcando l’uscita del pallone sulla catena di destra della Juve e alternandosi con Tousart e Bruno Guimarães in una sorta di marcatura a uomo su Pjanic ogni qualvolta il bosniaco si abbassava tra i due centrali per ricevere palla. L’assist per il gol di Tousart finisce, perciò, quasi in secondo piano, pur essendo la giocata che racconta perfettamente come Aouar sia in grado di creare occasioni da rete quasi dal niente, anche in situazioni banali e di facile lettura: in questo caso gli basta un dai-e-vai con Cornet dopo una rimessa laterale per mettersi nelle condizioni di saltare Bentancur e offrire al compagno la possibilità di battere a rete nell’area piccola.

La rete di Tousart contro la Juventus, frutto di una grande giocata di Aouar

Alla lunga, però, questo tipo di universalità rischia di diventare controproducente. Oggi Aouar è un giocatore che, nel suo saper e dover far tutto in un contesto di squadra plasmato intorno a lui, rischia di vedere sottostimata la sua capacità di incidere in avanti. Rispetto alle passate stagioni, infatti, viene spesso sottolineato come la sua influenza in un sistema sia ancora troppo legata al come e al quanto questo sistema sia stato pensato per esaltarlo, con una pericolosa commistione tra limiti individuali e collettivi che emerge quando l’OL non riesce a rispettare il proprio piano gara.

In ogni caso la sensazione è che per provare a intuire quale curva prenderà la sua carriera sarà necessario vederlo all’opera in un sistema in cui possa “specializzarsi” senza doverne diventare per forza l’elemento di trama e ordito. E questo potrà avvenire solamente nel momento in cui lascerà la comfort zone di Lione.