La triste vita dell’ex baby prodigio Cherno Samba

Un tempo fenomeno a Championship Manager, ha confessato di aver sofferto di depressione.

Il confine tra vita vera e videogiochi è spesso labile, soprattutto in quelli che simulano la realtà e provano a prevedere cosa potrà succedere in futuro. I giochi di calcio manageriale per esempio sono settati in modo da assegnare determinati valori ai giocatori del presente, ma, siccome la giocabilità si prolunga negli anni virtuali, devono anche analizzare e prevedere gli sviluppi delle carriere di ragazzi, pressoché adolescenti. Capita dunque che le previsioni si rivelino azzeccate e la promessa si trasformi in campione, ma anche che il ragazzo, esposto alle pressioni della fama mondiale, ne venga soverchiato e non rispetti le attese. Questi casi sono quelli che fanno sempre più rumore. È successo per Freddy Adu, il ragazzo che avrebbe dovuto portare il calcio americano in una nuova dimensione, e, ancora prima, con Cherno Samba. Il ragazzino che a Championship Manager tutti volevano e che, a soli 29 anni, si è ritirato dal calcio dopo una carriera deludente, passata tra squadre minori inglesi, seconda lega spagnola e campionati come quello greco, norvegese e finlandese. Ora in un’intervista al Guardian, in vista dell’uscita della sua autobiografia (“Still in the game”), Samba ha ripercorso i momenti più drammatici della sua vita, trascorsa tra rimorsi, dipendenze e malinconia. Come spesso succede la differenza tra successo e fallimento è fatta di dettagli, di scelte e di treni che passano solo una volta. Per Cherno quel treno si chiamava Liverpool.

Arrivato a sei anni in Inghilterra dal Gambia, si stabilì con la sua famiglia a Peckham, una zona complicata di Londra. «Non fosse stato per il calcio, sarei in prigione o morto adesso. La situazione delle gang nel sud est di Londra era davvero brutta». Cherno però era un fenomeno. A tredici anni segnò 132 gol in 30 partite per la sua scuola e entrò nelle giovanili del Millwall. Era sulla bocca di tutti, inseguito da procuratori e giornalisti, i titoli per lui si sprecavano. Come spesso fanno con i loro wonderkid, gli inglesi avevano iniziato a coprirlo di grandi responsabilità e credevano potesse portarli da solo a vincere i Mondiali del 2006. Samba fu conteso dalle migliori squadre della Premier ma in netto vantaggio su tutte era il Liverpool, che lo invitò a Melwood, dove i Reds si allenavano. Il ragazzo fu accolto come una star, faceva foto già con gli articoli griffati Liverpool e addirittura Micheal Owen in persona, tra lo stupore dei suoi compagni di scuola, gli telefonava per convincerlo a unirsi ai Reds. L’accordo tra i due club però, per motivi ancora non accertati, saltò e la vita dell’attaccante cambiò. Secondo la sua versione, il Liverpool aveva preparato un’offerta da due milioni di sterline, con pagamento anticipato della metà della somma totale, ma il club londinese si impuntò sul volerli tutti in un’unica tranche.

Per i sei mesi successivi Samba si rifiutò di giocare. «Se non posso giocare per loro, allora non voglio avere più niente a che fare con il calcio», ma dopo vari ripensamenti il club gli offrì un contratto triennale. Qualcosa però si era rotto e «il senso di fallimento» che Cherno provava aveva portato a fargli cambiare il suo atteggiamento. Una volta incontrò Sol Campbell che gli firmò un pallone e glielo porse, Samba però si vedeva allo stesso livello dell’ex difensore dell’Arsenal. «Lo firmai anch’io e glielo ridiedi», ha confessato. L’attaccante non collezionò neanche una presenza col Millwall, che lo rilasciò nel 2004, e si trovò a giocare in Spagna al Cadice. Qui Samba ha vissuto i suoi momenti peggiori. Faceva fatica a dormire e, nell’indifferenza generale, iniziò a soffrire di depressione. «Non volevo più stare lì, non ce la facevo a proseguire, l’accordo saltato con il Liverpool era sempre nella mia testa e stare da solo non aiutava; avrei voluto addormentarmi, dimenticare tutto e non svegliarmi mai più. Sono sempre stata una di quelle persone che dice: “Non cadrò mai in depressione”. Ma in realtà non lo sai finché non ti capita». Spesso si intrufolava nella fisioterapia e rubava antidolorifici che poi prendeva a grappoli. Un giorno ne prese talmente tanti che perse conoscenza; fu salvato solo da un compagno di squadra che lo accompagnava ogni giorno agli allenamenti e che, insospettito per la sua assenza, decise di sfondare la sua porta di casa, trovandolo a terra, senza sensi. «Quando ripresi conoscenza, capii che ero fortunato a essere ancora vivo. Lì decisi di dare una svolta alla mia vita».

Ora Cherno Samba ha 33 anni e studia per diventare allenatore, ma a differenza di Adu che ritiene che i videogiochi gli abbiano incasinato la vita, è grato a quelli che gli assegnarono quei parametri virtuali. «Mi è piaciuto essere così forte lì, quella cosa ha fatto parte della mia vita. Alla fine è solo un gioco, sei tu che devi avere la tua mentalità».