Rafinha e l’importanza del jolly
Si avvicina l’estate e si avvicinano i giorni in cui poter giocare a carte al mare con gli amici. Nella scopa spesso si dice che gli assi non bastano per vincere, ma certo è sempre meglio averli che non averli. Così come a scala 40 con i jolly. Ecco: quando a gennaio è arrivato all’Inter, Rafinha è stato definito un jolly. E, pur tra mille incognite legate alla condizione fisica (il brasiliano non giocava da aprile 2017, fermato da due operazioni al ginocchio), alla velocità di adattamento a un campionato come la Serie A e alla posizione che avrebbe occupato in campo (i nerazzurri nella prima parte di stagione hanno fatto bene con un 4-2-3-1 mascherato da 4-3-3 in cui il trequartista era Borja Valero, Rafinha invece è un giocatore più offensivo e soprattutto più dinamico), è vero: i jolly è sempre meglio averli.
A Udine Rafinha ha segnato il suo primo gol nel campionato italiano: ha conquistato palla in contropiede, è entrato elegantemente in area di rigore e ha battuto Albano Bizzarri con un rasoterra di sinistro sul primo palo. Su 15 presenze stagionali, 10 le ha fatte da titolare e in queste partite l’Inter ha ottenuto sei vittorie, tre pareggi e una sola sconfitta, quella contro la Juventus, in cui però l’ex Barcellona è uscito sul risultato di 2-1 per i nerazzurri. Rafinha all’Inter ha portato qualità nella parte centrale del campo, diversificando gli attacchi dai soliti Ivan Perisic e Antonio Candreva, e vista anche la giovane età – è un classe 1993 come Mauro Icardi – potrebbe essere uno dei punti fermi del futuro della squadra di Luciano Spalletti. «Rimanere non dipende da me (è in prestito con diritto di riscatto, ndr), ma voglio farlo», ha già fatto sapere.
Rafinha parte basso, riceve il pallone anche spalle alla porta avversaria e spesso salta il diretto marcatore per creare superiorità numerica: è il primo giocatore dell’Inter per dribbling a partita (2,1) ma anche per palle perse (1,7, perché a volte facendo così “rischia” la giocata) e ha una percentuale di passaggi riusciti dell’89,2%, molto vicina al 91,5% di Borja Valero
I meriti della Spal
Quella allenata da mister Semplici è una delle squadre di A ad aver costruito il proprio successo sulla continuità. Nonostante l’altalenante percorso intrapreso durante la stagione la Spal ha creduto alla bontà delle proprie idee e quelle del proprio allenatore e sta adesso mostrando un cinismo che ad altre squadre, anche da più tempo in massima Serie, manca se non del tutto, quasi. Venti punti su trentacinque al Paolo Mazza, un’identità precisa costruita sul possesso a cui si può rinunciare in alcuni casi, come nelle gare in cui sono le grandi a fare il match e si deve soltanto strappare un punto. Ieri la gara l’ha fatta il già retrocesso eppure in formissima Benevento, con il 70% di possesso palla. La Spal si è limitata ad aspettare per colpire di rimessa come successo sulle reti di Paloschi – arrivata dopo una corsa frenetica e in campo aperto di Antenucci –, e il rigore sul capitano spallino giunto dopo un altro dei suoi scatti alle spalle della difesa avversaria. Pure senza un elemento fondamentale come Lazzari, gli estensi hanno mostrato che il saper soffrire e ribattere è merce rara tra le squadre che lottano sul fondo. Le prossime due gare parlano di due sfide contro Torino e Sampdoria – non esattamente le più facili – ma che potrebbero arrivare in un momento in cui entrambe hanno poco da chiedere ancora al campionato. Servirà una Spal affamata come quella vista ieri: una squadra che sa quando soffrire e quando invece ferire le avversarie.
Il cinismo condensato in solo 15 secondi
L’ottima stagione di De Silvestri
Si parla poco di Lorenzo De Silvestri, probabilmente perché un tempo se ne è parlato molto e forse troppo. Alla Lazio, in gioventù, sembrava dovesse diventare uno dei migliori terzini della sua generazione, ma era una Lazio da metà classifica, spesso anche da “parte destra”. Alla Fiorentina sembrava essersi perso, poi ritrovato alla Sampdoria in cui, oltre alle grandi prestazioni, scopre anche gli infortuni. L’anno scorso, con Mihajlovic al Torino, era iniziato con buone sensazioni: d’altronde Sinisa era l’allenatore con cui aveva giocato la sua stagione migliore fino a quel momento, la 2014/15 del Doria, qualificazione in Europa League e 4 gol personali in campionato. È andata a finire invece male, metà partite giocate, anche a causa di uno Zappacosta in formissima. 28 anni, fine di una carriera che poteva essere di più? No: a 29 anni Lorenzo De Silvestri si è dimostrato un terzino maturo e dalle caratteristiche anche fisiche preziose: è il terzo più alto della Serie A, e spicca infatti come il miglior colpitore di testa di tutto il Torino, spunto utilissimo in fase difensiva e fondamentale in quella offensiva, come dimostrano i 4 gol, ancora record, segnati quest’anno. Ha margini di miglioramento che forse non verranno colmati data l’età ma la qualità media è quella di un giocatore che meriterebbe di stare anche in posizioni più alte della classifica. E che potrebbe essere utile alla Nazionale, senza dubbio.
L’importanza degli inserimenti di un terzino, merce rara: il gol di testa contro il Milan alla trentatreesima giornata