Özil si è esaurito

È un brutto momento per il tedesco e per l'Arsenal. E forse dobbiamo pensare che non diventerà quello che sembrava poter diventare.

La miglior prestazione stagionale di Mesut Özil è stata, con tutta probabilità, mostrata al pubblico in occasione della vittoriosa trasferta dell’Arsenal a Goodison Park contro l’Everton: il gol dell’ 1-2 a ribaltare il provvisorio vantaggio di Rooney, assist per l’1-3 di Lacazette, otto occasioni create (più di qualsiasi altro giocatore nella Premier League 2017/18), nove passaggi su dieci a buon fine e un’insolita partecipazione anche in fase di non possesso (50% di contrasti vinti più un intercetto). Il fatto che, a fine partita, Arsène Wenger abbia bollato come “spazzatura” le indiscrezioni di mercato che vorrebbero il fantasista lontano dall’Emirates nell’immediato futuro, (smentendo di fatto le sue stesse dichiarazioni in materia di qualche tempo prima) e le successive prestazioni incolori contro Swansea e Manchester City (appena quattro occasioni create, nessuna contro i Citizens), sono la miglior cartina di tornasole possibile del rollercoaster, emozionale prima ancora che tecnico, che sarà l’annata del più controverso e decisivo tra i giocatori dei Gunners. La cui imprescindibilità all’interno di un sistema in cui le fortune del collettivo spesso dipendono da quelle individuali, è stata ribadita non solo dal tecnico francese («quando gioca così è eccezionale, superbo: veloce, agile, intelligente, al servizio della squadra con la sua grande qualità nei passaggi»), ma anche dal connazionale Per Mertesacker nell’intervista post gara: «Il modo in cui ha giocato ed è riuscito a salire di livello, creando occasioni e realizzando quel gol, è stato fondamentale per noi».

L’assist finale per Lacazette contro l’Everton

Il fatto che i destini dell’Arsenal siano ancora legati così a doppio filo a quelli di un elemento così discontinuo rende ancor più difficile azzardare ipotesi più o meno credibili sulla qualità del suo rendimento nell’anno del Mondiale. Il problema sembra essere psicologico prima ancora che tecnico o tattico: secondo Robert Pirès «Özil è un guerriero che punta a vincere qualcosa, e l’impressione è che sia infastidito da come l’Arsenal non abbia costruito una squadra in grado di competere per dei titoli. Hanno investito quasi tutte le risorse a disposizione su Lacazette: non è abbastanza per ambire alle posizioni che contano». E, di certo, non aiutano né le predisposizioni di un ambiente in cui si sta profilando una dicotomia prestazionale sempre più netta tra chi è certo della sua centralità nel progetto negli anni a venire e chi, invece, è al passo d’addio né, tantomeno, la naturale propensione di Özil a lasciarsi andare quando le cose non vanno per il verso giusto, come già accaduto ai tempi della rotture con Schalke04 e Real Madrid. Un’indolenza di fondo che si riverbera, con una costanza a tratti preoccupante, anche su quello che fa in campo: addirittura, in occasione dell’umiliante 4-0 subìto dal Liverpool ad Anfield Road, il numero 11 ha sentito il bisogno di scusarsi con i suoi tifosi con un post su Instagram, in cui traspare quel senso di magnifica incompiutezza che rischia di accompagnarlo per l’intera carriera e che dà parzialmente ragione a Martin Keown quando parla di «giocatori dal cattivo Dna» acquistati dall’Arsenal nel corso degli ultimi anni. Del resto, in Özil convivono da sempre una dimensione ideale, incarnata dalla figura del trequartista moderno da 43 assist e 375 passaggi chiave complessivi nelle sue quattro stagioni e mezza in Premier League (e in grado di fare la differenza ovunque: secondo giocatore, dietro Payet, per numero di occasioni create – ben 520 – dei cinque maggiori campionati europei dal 2012/13), e un’altra reale, corrispondente alla sua incapacità nel riuscire a diventare il leader tecnico di una squadra in grado di compiere (e far compiere) il definitivo salto di qualità. Come ha scritto Flinder Boyd su Bleacher Report, «guardare Ozil è come guardare un’opera d’arte moderna o una macchia di Rorschach. In lui i tifosi vedono, alternativamente, la sublime bellezza dei suoi tocchi delicati o la totale mancanza di voglia di sacrificarsi e di qualsiasi abilità in fase difensiva».

Arsenal v Everton - Premier League

L’ultimo anno e mezzo del giocatore tedesco è probabilmente l’arco temporale migliore per spiegare come e quanto siano rimaste inespresse alcune sue potenzialità, acuendo la sensazione che il prime della carriera sia ormai alle spalle, indipendentemente da quel che sarà dal prossimo luglio quando la scadenza naturale di un contratto ben lontano dall’essere rinnovato lo lascerà libero di accasarsi altrove.

All’inizio del 2016/17, Özil sembra essere pronto alla definitiva consacrazione: Wenger lo avvicina di più alla porta, restringendo, anzi ridefinendo, il suo campo d’azione e affidandogli esclusivamente compiti di rifinitura e conclusione, come se fosse una seconda punta classica o, se preferite, il nuovo “centravanti ombra” della squadra (saranno nove – su un totale di 12 a fine stagione – in venti partite, i gol realizzati tra campionato e Champions League fino a dicembre) in grado di concludere a rete in prima persona. Nel 3-0 contro il Chelsea che quasi costa la panchina ad Antonio Conte, Özil fa praticamente quello che vuole nell’ultimo terzo di campo, sfruttando alla perfezione gli enormi spazi lasciati dalla linea difensiva troppo alta dei Blues:

Ozil vs Chelsea

La heatmap di Ozil in occasione della gara interna contro il Chelsea del 24 settembre 2016 mostra con chiarezza le nuove attitudini del centrocampista tedesco: meno regista avanzato più seconda punta/rifinitore con licenza di andare a concludere l’azione da lui stesso avviata. A fine gara, oltre alla rete del 3-0, saranno tre le occasioni create, con il 90% di pass accuracy e ogni singolo duello individuale vinto

È un momento in cui qualità e continuità delle prestazioni aumentano in maniera esponenziale, insieme ai momenti in cui il fantasista tedesco riesce a condensare tutto il suo scintillante talento in ogni singolo gesto tecnico, come dimostrato dallo splendido gol realizzato in Champions League contro i bulgari del Ludogorets. Tuttavia, come sottolineato in questo articolo di Adam Bate pubblicato sul sito di Sky Sports UK, proprio nel momento migliore della stagione e, forse, dell’intera carriera, le contingenze imposte dall’operazione (che non era più rimandabile) alla caviglia di Santi Cazorla – ancora oggi, a distanza di oltre un anno, non si sa ancora quando lo spagnolo potrà rientrare – lo costringono a poco a poco a tornare a quel ruolo di playmaker a tutto campo che ne aveva parzialmente ingabbiato la capacità di incidere in termini di assist e gol. Come se non bastasse, poi, (ri)emergono gli annosi problemi in fase di non possesso, cristallizzati nella peggior media della carriera nel rapporto tra minuti giocati e chilometri percorsi. Un minus non da poco e che gli costa numerose critiche, compresa l’ultima (in ordine di tempo) di Steven Gerrard: «Mi sembra sempre che non faccia abbastanza. È chiaro che, tranne quando è in possesso della palla, non gli interessi nulla di tutto il resto. L’unica cosa che vuole è avere il pallone tra i piedi e creare per sé e per gli altri, ma i giocatori di livello mondiale devono essere in grado di interpretare entrambe le fasi».

Ozil heatmap vs Everton

Ozil heatmap vs city

Le heatmap di Özil relative alle partite contro Everton (sopra) e Manchester City (sotto) di metà dicembre 2016 sono sintomatiche delle difficoltà del tedesco nel riuscire a trovare la posizione ideale all’interno della trequarti avversaria: in 180 minuti saranno appena tre le occasioni create, con un dribbling tentato e una precisione nel tocco poco sopra l’80%. Due tra le peggiori prestazioni stagionali che culminano con altrettante sconfitte dell’Arsenal

E a poco serve la soluzione di emergenza che Wenger trova nel finale di stagione, con una classifica ormai irrimediabilmente compromessa e con l’unico obiettivo della Fa Cup (poi vinta nella finale contro il Chelsea): perché se in teoria il 3-4-2-1 adottato in primavera (e in uso ancora oggi) riporta Özil nello spot di “attaccante atipico ma non troppo” che gli aveva permesso all’inizio di esprimere tutto il suo potenziale offensivo con e senza palla, in pratica la perdita dello smalto e della brillantezza realizzativa dei primi mesi fa sì che il giocatore si trasformi in una sorta di ibrido inconsistente e snaturato nelle caratteristiche di base, frenato nella ricerca della necessaria disciplina tattica e molto meno incisivo negli ultimi trenta metri

Equivoci tattici a parte, che potrebbero comunque essere risolvibili nel medio-lungo periodo, sembra che il giocatore, oltre ad aver esaurito il suo percorso all’Arsenal, abbia esaurito i propri margini di miglioramento, rinunciando alla possibilità di diventare un fuoriclasse tout court in grado di fare la differenza a prescindere dal contesto che lo circonda. Amy Lawrence sul Guardian ha scritto che «il grande dibattito su Özil è legato ad uno ancora più grande riguardante l’Arsenal: si può costruire una squadra intorno a lui? La risposta sarebbe si qualora le altre componenti del progetto fossero complementari alle caratteristiche di un artigiano del gioco così delicato». E difficilmente Wenger pianificherà le prossime campagne acquisti sulla base della permanenza di un giocatore che pare aver già espresso ad intermittenza il massimo del talento a disposizione e che non ha manifestato alcune intenzione di rinnovare il suo contratto.

La separazione appare, quindi, l’unica strada percorribile. E chissà che la prossima meta non possa essere il Manchester United di quel José Mourinho che, in appena due frasi, ha sputo descrivere meglio di chiunque altro la parabola calcistica di Özil ai tempi della comune militanza madrilena: «Tu credi che fare due bellissimi passaggi ogni partita sia abbastanza. E credi di essere così bravo da farti bastare il 50% del tuo potenziale».

 

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