Siamo nella stagione 1990/91. L’anno della “fuga” di Maradona da Napoli, della Juventus fallimentare di Maifredi e del neopromosso Parma di Scala. Ma soprattutto è l’anno della Sampdoria, dei gemelli del gol Vialli e Mancini, che vince lo scudetto dopo un duello con l’Inter dei tedeschi freschi campioni del mondo.
A 25 anni di distanza Inter – Sampdoria è ancora una volta la partita chiave del campionato per entrambe le squadre. Non si parla di scudetto, ma in palio c’è ben più dei tre punti: i nerazzurri per rientrare nella corsa Champions, la Samp per dare un filo logico al progetto intrapreso con Montella. Chiamato a prendere in mano una squadra alla tredicesima giornata e, di conseguenza, non avendo potuto controllare la preparazione estiva e la scelta dei rinforzi, l’ex tecnico viola si è trovato a dover coniugare la sua idea di calcio con una rosa non propriamente adatta. Così si spiegano le molteplici variazioni di modulo nelle prime partite, dal 4-3-3 al 4-3-1-2, stabilizzandosi in queste ultime uscite di campionato con un 3-4-2-1 di base che comincia ad offrire buoni spunti di gioco seppure senza quella sicurezza nei propri mezzi che contraddistingueva la sua Fiorentina.
L’Inter, invece, prosegue su una di linea di pianificazione futura non ben definita che vuole raggiungere nel più breve tempo possibile risultati importanti da cui poi iniziare un progetto vincente nel tempo. Le scelte fatte negli ultimi sei mesi, seppure discutibili, hanno comunque una loro ragion d’essere: un allenatore stratega più che un tecnico, una rosa matura, muscolosa e individuale piuttosto che un collettivo (!) acerbo e inaffidabile ma frizzante e di prospettiva. Insomma, l’Inter ha puntato su una selezione più che su una squadra, e per tutto il girone d’andata la scelta è stata vincente.
La sintesi del match
Il 3-1 con cui si sono imposti i nerazzurri è stato perciò fondamentale a società e allenatore per testare la validità delle loro scelte. L’Inter, camaleontica come sempre, si è disposta con un 4-4-2 in linea pronto a sfruttare la velocità degli esterni Biabiany e Perisic in ripartenza e ad approfittare della fasce lasciate scoperte dalla difesa a 3 doriana. La Samp ha puntato invece sella densità a centrocampo per verticalizzare improvvisamente e trovare l’uomo tra le linee. Schiera un 3-4-2-1 con Alvarez e Correa trequartisti a supportare Quagliarella unica punta.
Difensivamente, la formazione di Mancini schiera sistematicamente due linee compatte di quattro uomini in modo da schermare la zona di competenza dei trequartisti della formazione doriana, e le due punte ad effettuare un pressing piuttosto sterile nei confronti del trio difensivo blucerchiato preferendo infastidire i registi Fernando e Soriano. Così facendo, l’impostazione del gioco dal basso era affidata ai piedi di Silvestre e Cassani che spesso hanno bloccato la manovra doriana con passaggi e scelte erronee.

Le due linee a 4 perfettamente ordinate dell’Inter. Da notare come l’azione si sviluppa a partire dal centrale difensivo Silvestre causa il pressing su Soriano e Fernando. In questo modo Alvarez è costretto addirittura ad arretrare dietro la prima linea difensiva nerazzurra per ricever palla e portare fuori il diretto marcatore. Nonostante lo spazio creato, Dodò e Ivan sono troppo lontani dalla manovra e Quagliarella è costretto a ricevere la palla (e sarà così per tutta la partita) spalle alla porta senza nessun appoggio con cui dialogare in una ipotetica situazione di 8vs2. Palla recuperata.

La Samp, diversamente dalle geometrie dei nerazzurri, predilige una marcatura tendenzialmente ad uomo dove si cerca di relegare sulle fasce la fase offensiva avversaria. Non a caso, specialmente nel primo tempo, i nerazzurri cercavano di sfruttare le avanzate di Biabiany, pur senza ottenere particolari occasioni da gol da azione manovrata (sì, il primo goal dell’Inter è merito dell’esterno francese, e poi ci torniamo). Inoltre, i blucerchiati attuano un pressing alto soprattutto nella trequarti avversaria per costringere i nerazzurri a lanciare in profondità verso le punte.


Come si è già osservato, l’Inter in fase offensiva era spesso costretta ad avanzare sfruttando le fasce lasciate libere dagli esterni doriani. In gran parte dei casi ciò non ha portato a soluzioni pericolose; tuttavia al minuto 22 Biabiany è stato abile a risolvere a proprio favore una situazione di ripartenza. Per il resto, non sono pervenute azioni corali che portassero alla conclusione in zone pericolose. Nel secondo tempo, quando la Samp passa al 4-3-3 con i due terzini a bloccare le avanzate degli esterni avversari, i centrocampisti interisti hanno più possibilità manovra e, con Melo deputato a fare da schermo, tocca a Brozovic, non pervenuto, destreggiarsi tra le linee. In questa fase di partita si nota come l’azione nerazzura, in assenza di ispirazione del singolo, sia relegata a passaggi in orizzontale inconcludenti. La soluzione di Mancini per agevolare l’impostazione è l’entrata di Ljajic, al posto di Eder, che si abbassa fino a centrocampo per ricever palla e creare linee di passaggio. Il giocatore serbo, pur sbagliando poco, non riesce comunque mai a pungere in maniera pericolosa la difesa avversaria.

La Sampdoria cercava, in fase offensiva, di mantenere a ridosso della linea difensiva avversaria entrambi gli esterni al fine di allargare le maglie della formazione nerazzurra (cosa che in realtà non accadeva). Tuttavia, le frequenti disattenzioni di Dodó e Ivan, e il loro posizionamento troppo alto, lasciavano ampi spazi agli esterni dell’Inter, rendendo la tattica di Montella controproducente. La pressione degli attaccanti interisti su Soriano e Fernando ha fatto sì che la manovra della squadra di Montella fosse affidata ai due centrali di difesa Silvestre e Cassani. L’azione offensiva, complice anche la non-imputabile poca visione dei centrali, aveva pertanto solamente tre sbocchi: a) palla all’esterno senza triangolazioni e costretto all’1vs1 o al cross; b) palla al trequartista, Avarez o Correa, costretto ad abbassarsi oltre la prima linea di pressione della squadra di Mancini che si trovava contro otto giocatori schierati e compatti a fronte di due sole alternative di passaggio; c) palla a Quagliarella spalle alla porta che poco poteva contro i due centrali avversari.
Nel secondo tempo, con l’entrata di Muriel per Ivan e il passaggio al 4-4-2 (trasformatosi poi in 4-3-3), l’azione è diventata più fluida forse anche a causa della minore pressione interista.


La partita ci conferma, tecnicamente, quanto previsto: un’Inter estremamente cinica ed episodica e una Sampdoria inconcludente, incapace di leggere al meglio la partita, che ancora deve trovare una soluzione offensiva adeguata nonostante il potenziale di gioco che crea.
Finora, il progetto doriano avviato con l’arrivo di Montella deve ancora decollare, e iniziano a sorgere dei dubbi sull’efficacia anche a lungo termine di esso, partendo dal fatto che il progetto stesso è stato creato su delle basi molto incerte. Verrebbe da pensare, a questo punto, che alla squadra blucerchiata, al momento della sostituzione di Zenga, sarebbe potuto servire maggiormente una pianificazione più orientata al breve termine come quella interista, che, seppure con alti e bassi, ha saputo, grazie a scelte ben definite ed orientate, essere in linea con gli obiettivi posti dalla dirigenza (almeno fino ad ora). Così facendo, invece, non si è riusciti a far partire efficientemente il progetto in modo da riuscire a competere con altre squadre di pari livello.
Il match, seppur fondamentale nel percorso delle due squadre e della nostra analisi, ci ha lasciato ancora qualche dubbio sull’effettiva realizzazione dei due progetti. Questione di tempo?