C’è una nuova tendenza nel calcio italiano, quella dei consulenti

Mancini alla Sampdoria, Ranieri alla Roma, Ibrahimovic al Milan: che ruolo hanno nelle loro società? E cosa li differenzia da un direttore tecnico e/o sportivo?

Mentre su internet rimbalzavano un po’ dappertutto le foto che lo ritraevano al centro sportivo di Bogliasco, Roberto Mancini ha rilasciato un’intervista al TG1: l’ex ct della Nazionale, interrogato sul suo coinvolgimento nel tentativo di salvare la Sampdoria, ha detto che «no, non ho nessun ruolo nel club, assolutamente. È solo che la Samp per me è qualcosa di speciale, quindi in un momento così di difficoltà, visto che conosco il presidente e parliamo spesso, se posso dare un consiglio lo do». Nei giorni precedenti, almeno secondo le ricostruzioni dei media, Mancini è stato contattato prima per diventare allenatore, poi per assumere il ruolo di direttore tecnico, ma in realtà la sua qualifica reale è quella di «super-consulente esterno». Ed è proprio in quanto tale – in Italia il prefisso “super” esercita un fascino enorme sui giornalisti, basti pensare ai tempi dei super-testimoni, della super-procura, ecc. – che ha parlato in certi termini al TG1, nel senso che il ruolo di consulente è talmente sfumato ed etereo che può anche essere ridotto a quello di semplice consigliere, un po’ come se fosse una persona di fiducia che viene interpellata una volta ogni tanto, o magari sempre, non si sa, non è proprio chiarissimo.

Da Ibra in poi

Anche se quindi non ci sono nomine ufficiali, il caso di Mancini alla Sampdoria è eclatante e significativo. A maggior ragione se consideriamo il momento difficile di un club storico come la Samp e lo status dello stesso Mancini. Ma l’ex ct non è certo il primo consulente esterno del nostro calcio. Anzi, da un po’ di tempo i club italiani si stanno votando e affezionando sempre di più a questa nuova figura professionale. Che non ha ancora un nome definitivo, ma si potrebbe inquadrare – almeno etimologicamente – con la locuzione consulente tecnico.

Il primo della lista, come gli è successo spesso nella sua vita, è stato Zlatan Ibrahimovic: poco dopo la fine della sua carriera da calciatore, cioè a dicembre 2023, l’ex attaccante del Milan è tornato nel club rossonero come «Senior Advisor della Proprietà e del Senior Management di AC Milan», così si legge nella nota ufficiale diffusa da RedBird Capital Partners. E ancora: da qualche mese, ovvero dal suo ritorno alla Roma dopo l’esonero di Juric, si parla di Claudio Ranieri come di un futuro consulente del club giallorosso. Lo stesso Ranieri, come ha scritto Il Messaggero, ha scherzato su quello che sarà il suo prossimo lavoro: «Io sarò senior advisor, e mo’ traducetelo come ve pare».

Cosa fa un consulente?

Ma di cosa stiamo parlando esattamente? Cosa fa e cosa non fa un dirigente che riveste il ruolo di consulente (o di senior advisor)? La risposta a queste domande non è semplice, perché in realtà – com’è giusto che sia – non esistono normative limitanti: la FIFA infatti regola in maniera diretta e precisa le professioni del direttore sportivo e del direttore tecnico, inoltre la FIGC obbliga i club ad avere un direttore sportivo iscritto all’albo; per tutto il resto, le società hanno la libertà di rivolgersi a chi vogliono per ricevere consigli, dritte, indicazioni. E, perché no, anche una guida molto più marcata rispetto a quella che dà il direttore sportivo.

In questo senso, non è casuale che Mancini, Ibrahimovic e Ranieri abbiano operato/operino/opereranno – più o meno ufficialmente – in contesti dove la figura del ds è meno preminente rispetto ad altri: alla Samp, Andrea Mancini – figlio di Roberto – ha sostituito Pietro Accardi proprio in concomitanza con l’inizio del nuovo progetto; al Milan, dopo l’addio di Maldini (direttore tecnico) e Massara (direttore sportivo), il nuovo ds era stato individuato in Antonio D’Ottavio, poi il contratto è stato sciolto a dicembre 2024 e ora la società sta cercando il suo successore; ala Roma c’è da un anno Florent Ghisolfi, ex dirigente di Lens e Nizza che però ha una riconoscibilità inevitabilmente inferiore a quella di Ranieri.

Marketing emotivp

Ecco, proprio questo è il punto centrale dell’intera faccenda: l’assunzione di un consulente dal volto noto, dal nome forte, è una mossa di marketing emotivo. È una garanzia esposta in vetrina perché la vedano i tifosi, quei tifosi che in qualche modo finiscono per fidarsi un po’ di più del loro club, del progetto che sta mettendo e che metterà in piedi. È un discorso di identificazione, anche abbastanza semplice da comprendere: un tifoso della Roma, scegliamo il club giallorosso giusto per fare un esempio, sente che Ranieri sceglierà bene il nuovo allenatore, in fondo parliamo di uno di noi, potrà anche sbagliare ma proverà a fare il bene della Roma. Per dirla in breve: un tifoso della Roma si fida di Ranieri, un tifoso della Sampdoria si fida di Mancini e così via.

Certo, poi ci sono da considerare altri aspetti: al netto di una competenza che non può essere messa in discussione, non è detto però che tutti gli allenatori/ex calciatori siano automaticamente dei bravi consiglieri. Così come non è detto che siano dei bravi dirigenti in senso assoluto. In questo senso, non bisogna dimenticare che i direttori tecnici e (specialmente) quelli sportivi sono dei professionisti formati in modo rigoroso, che possono e quindi devono lavorare entro certi limiti. Il fatto che un advisor/consulente possa metterlo nell’ombra potrebbe andare a discapito del club, in caso di strategie sbagliate e soprattutto per quanto concerne la coerenza progettuale a medio-lungo termine. Insomma, molto probabilmente la scelta migliore sarebbe quella di evitare sovrapposizioni anche solo potenzialmente equivoche. E così si torna inevitabilmente alle frasi di Mancini, alla misura e al peso dei «consigli» che deciderà di dare alla Sampdoria. Da esterno, come dire, le cose potrebbero funzionare meglio.

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