Forse 270 e rotti minuti sono troppo pochi per darsi ancora una risposta, ma guardando la nuova Juventus di Tudor è giusto porsi almeno la domanda. Ma Yildiz è un giocatore “liberato”? Da vocabolario, liberare una persona significa affrancarla da inibizioni o complessi che ne limitavano la personalità. Senza addentrarsi in interpretazioni psicologiche e guardando solo al campo, ai movimenti, alle giocate, all’intesa con i compagni, Vlahovic su tutti, la sensazione pare proprio quella: che, con l’arrivo del nuovo allenatore, Yildiz sia diventato – quasi senza accorgersene – il centro di gravità della Juve. Con la leggerezza di un chill guy, ma anche la serietà per capire cosa significa quel ruolo in un club di alto livello.
Yildiz al centro della Juve
Che Tudor lo avesse reso Yildiz un protagonista del suo progetto tecnico lo si è capito fin da Juventus-Genoa, la prima partita del post-Motta È come se il tecnico avesse tolto al turco la preoccupazione tipica della generazione Z: quella di non essere all’altezza della situazione, di dover per forza legittimare il proprio status. E più è alto questo status, più le aspettative che ci si autoimpongono sono pesanti, finendo inevitabilmente per esserne schiacciati. All’inizio della stagione Yildiz ha deciso di prendere il numero 10. Un gesto di un giocatore che ha personalità, certo, ma che in qualche modo doveva essere compreso e assimilato. Passavano i mesi e il giocatore turco sentiva crescere la responsabilità di questa scelta. Anche perché la Juve cominciava ad andare male e lui non riusciva ad invertire il trend. Il fatto che non fosse un titolare fisso, poi, non aiutava. Ed ecco allora spiegati un gol e un assist contro Torino e Manchester City, le uniche giocate decisive fatte da novembre a marzo, da sosta a sosta del campionato. Si era creato un circolo per cui si alternavano con la smania di risolvere da solo la partita e la paura, se non ci fosse riuscito, di essere messo in panchina.
Con Thiago Motta, Yildiz ha giocato tanto. Ma è pur vero che in diverse occasioni non è partito tra i titolari, come contro il Parma, nelle due sfide contro l’Inter e nella trasferta di Firenze, la sconfitta decisiva per l’esonero dell’ex allenatore del Bologna. Nell’andata dei playoff di Champions contro il PSV è stato sostituito all’intervallo, al ritorno è entrato al minuto 77′. Le continue variazioni tattiche di Motta, forse pensate per valorizzarne le qualità, forse hanno avuto l’effetto contrario, disorientandolo e togliendogli un po’ di fiducia. Da quando è arrivato Tudor, invece, Yildiz ha giocato 90′ in tutte e tre i match disputati. Indipendentemente da quanto riesca a incidere, ora sa che uno dei due posti dietro alla punta è il suo. Nico Gonzalez, Koopemeiners e Kolo Muani ruotano, lui resta dentro.
Il ruolo giusto
Insomma, Tudor apeva fin dal primo giorno in che ruolo schierare Yildiz. Nel suo 3-4-2-1 sarebbe stato uno dei due uomini sulle trequarti: libero, aggettivo non a caso, di svariare su tutto il fronte d’attacco. Quello che il coach vuole dai due dietro a Vlahovic si è visto chiaramente ieri sera contro il Lecce. Complice anche una difesa meno posizionale rispetto a quelle di Roma e Genoa, è stata quasi assillante la ricerca dell’inserimento alle spalle della linea, in quella sezione dell’are di rigore da cui è facile trovare il taglio del compagno per il tiro di prima. A Coverciano la chiamano zona assist, perché è quella che garantisce la più alta percentuale di successo di un passaggio vincente. I due centrocampisti devono costantemente esplorare quella porzione di campo, per poi servire Vlahovic o gli esterni che giungono dall’altra fascia.
Sviluppare da una parte per poi andare subito dall’altra, sfruttando un rapido capovolgimento di fronte. Dalla zona palla al lato debole il più velocemente possibile. Magari pure palla a terra e con scambi veloci. L’obiettivo è creare un flusso di gioco che coinvolga tutti, dagli uomini davanti alla difesa ai laterali, con l’attaccante centrale a muovere i fili. Una fitta rete di passaggi veloci che genera la conclusione migliore. «Un concetto quasi Nba», l’ha definito Marco Parolo, in telecronaca per Dazn. Se l’1-o di Koopmeiners al Lecce era stato il manifesto della spasmodica ricerca della profondità, il raddoppio di Yildiz, (guarda un po’) è l’insegna al neon del gioco per interscambi: un’azione tutta a un tocco che salta gli avversari creando triangoli che collegano Thuram, il turco e Vlahovic, con il serbo a fare da sponda e il turco a metterla splendidamente sul secondo palo con il mancino. Un sinistro che ha chiuso la partita prima della mezzora, anche se nel finale la testata di Baschirotto ha fatto riassaggiare il brivido delle rimonte subite nel finale. Nella serata dello Stadium, però, è filato tutto liscio e i bianconeri si sono ripresi un posto nelle prime quattro.
GLi highlitghs di Juventus-Lecce
In questo nuovo sistema offensivo, meno palleggiato e più verticale, Yildiz si trova a meraviglia. Per un giocatore che vive di bagliori di qualità, questo cambiamento deve essere stato una manna. In tre settimane ha già realizzato due reti in campionato, la metà di quante ne aveva messe insieme negli otto mesi precedenti. Sono otto ora in totale i suoi gol in Serie A, che lo rendono il il miglior marcatore under 20 nella storia bianconera.
«Provo semplicemente a fare il mio calcio, sono felice», ha rivelato Yildiz a Dazn nell’intervista post partita. Non aveva ancora utilizzato quel termine, “felice”, quest’anno, parlando della sua stagione. Potrebbe sembrare banale, ma in questo nuovo Kenan, “liberato”, di banale non c’è nulla. Eccolo il dieci, o meglio, l’Yildiez che cercava la Juve per rincorrere la qualificazione in Champions League.
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