Sapersi adattare, e avere le risorse per farlo, può essere il fattore determinante in una volata scudetto. A volte segna il confine tra vincerlo e andarci vicino, anche se il Napoli del 2023 e l’Inter del 2024 ce ne hanno fatto quasi dimenticare. Quest’anno, almeno guardando i margini attuali di classifica, con un duello Inter-Napoli e l’Atalanta in piena corsa, il campionato di Serie A è sulla buona strada per tornare a decidersi in una manciata di giornate. A partire dallo scontro diretto dello stadio Maradona, certo: il più classico dei potenziali spartiacque. Ma ci saranno altri scontri diretti, già a marzo, e poi tutte le domeniche in cui Antonio Conte e Simone Inzaghi dovranno reagire a qualche difficoltà. A infortuni, assenze, vuoti lasciati dal mercato, ad avversari con specifiche qualità, a partite bloccate che metteranno in luce le fragilità delle due squadre. E la rigidità su cui sono fondate.
È successo più volte di recente. Soprattutto al Napoli, una squadra in piena crisi che arriva da tre punti in quattro partite, da vittorie sfumate nel finale all’Olimpico contro Roma e Lazio, dal crollo di Como. Una squadra che sembra improvvisamente senza certezze, e soprattutto con poche energie. Anche l’Inter, pur avendone approfittato in classifica, è ben lontana dai giorni migliori, come si è visto fin troppo chiaramente nella brutta sconfitta di Torino e pure nell’opaca vittoria con il Genoa.
Napoli e Inter hanno lasciato una sensazione comune, in queste settimane e anche in passato: quella di non avere un piano B, un’alternativa cui affidarsi quando la trama esce dallo script, allontanandosi dal proprio modo di studiare e vincere le partite. Le due rose, del resto, sono state costruite per assecondarlo, e in qualche occasione hanno pagato la mancanza di materiale umano. Niente di nuovo per due squadre che, con tempi e motivi diversi, hanno sposato un ideale: la coerenza assoluta. Con un’identità forte, un sistema di gioco ben definito, una filosofia. Accettando il rischio che tutto ciò, talvolta, diventi un limite. Per Conte è stata una necessità prima ancora che una scelta; quella di Inzaghi, invece, è una direzione intrapresa per un semplice motivo: perché il suo modello ha funzionato, non c’era motivo di cambiarlo.
Il calo del Napoli è arrivato dopo il mercato, e a causa degli infortuni
Per parlare del momento che sta vivendo il Napoli, è inevitabile partire da quello che non c’è (più): integrità e brillantezza fisica, Kvicha Kvaratskhelia, un suo sostituto all’altezza. I punti persi nelle situazioni in cui eccelleva fino a poche settimane fa – i secondi tempi, la gestione dei vantaggi, la solidità difensiva – sono stati una chiara conferma del calo collettivo, nonché un dolente promemoria della scarsa qualità dei cambi – sì, dopo aver incassato 70 milioni dal PSG.
Se a inizio anno il Napoli chiudeva le partite in crescendo, e non per caso si parlava tanto del singolo impegno stagionale, a febbraio abbiamo assistito a sistematici, allarmanti tracolli nell’ultima mezz’ora. Di sicuro i tanti infortuni dell’ultimo mese – Zambo Anguissa (assenza pesante contro l’Inter), David Neres (idem), Olivera, Spinazzola, Mazzocchi – non hanno aiutato, ma probabilmente non sono neanche un caso. Dopo settimane di esperimenti e ricerca di un assetto definitivo, comunque, tra dicembre e gennaio Conte aveva trovato nel 4-3-3 la dimensione più solida. C’erano ampi margini di crescita nel volume di gioco e nelle occasioni create, ma il contributo realizzativo delle mezzali, i pochi gol subiti e la fisicità espressa dal suo Napoli gli avevano consentito di raggiungere un punto di equilibrio.
Poi, però, Conte è stato costretto a cambiare rotta. Di nuovo. Il vuoto lasciato da Kvara – un vuoto che Okafor non ha in alcun modo colmato, sia per le sue condizioni fisiche che a livello di attributi tecnici – e il successivo infortunio di Neres hanno reso inevitabile il passaggio al 3-5-2, con il contestuale rispolvero di Raspadori. Ora più che mai, al Napoli servirebbe un Romelu Lukaku in forma, in grado di svariare con continuità sul fronte offensivo per assolvere ai tanti compiti lasciati incustoditi: legare i reparti, far risalire il campo alla squadra, aprire gli spazi per gli inserimenti dei centrocampisti, e non ultimo segnare dei gol, che mancano all’appello da più di un mese.
Le alternative, però, sono molto limitate. Quantomeno fino al ritorno di David Neres, che da dodicesimo uomo di lusso si è trasformato in pedina fondamentale (tra le altre cose, per il contributo ai task offensivi di cui sopra). Conte ci ha già sorpreso in questa stagione, e per il big match di domani si è parlato di un ventaglio di possibili soluzioni tattiche. Quello su cui difficilmente potrà puntare, però, è l’esplosività dei suoi giocatori: una caratteristica imprescindibile, tanto nel suo calcio quanto con una rosa “contata” del genere.
L’Inter di Inzaghi non rinuncia (quasi) mai al 3-5-2
A differenza del Napoli, l’Inter ha distribuito i punti persi lungo la stagione, senza tracolli. E se nel caso di Conte le difficoltà sono nate principalmente dalla perdita di pezzi chiave e dalla necessità di reinventarsi, i passi falsi dei nerazzurri invece hanno evidenziato qualche problema di natura strutturale. L’Inter oggi è senza dubbio la squadra più forte del calcio italiano. La più europea, quella con l’identità più marcata, ma anche la più monodimensionale dal punto di vista tattico. Il sistema costruito da Simone Inzaghi è efficace e bello da vedere, ma è anche inflessibile; e così, quando le cose non funzionano, i campioni d’Italia non hanno alternative pronte.
Contro avversari capaci di alzare con qualità la pressione e spezzare la costruzione dal basso, qualche sbandamento si è visto. Per esempio nelle ultime due partite contro la Juventus (4-4 a San Siro, 0-1 allo Stadium), oppure nel pareggio interno col Bologna (2-2): non a caso parliamo della prima e della seconda squadra del campionato per PPDA (passaggi concessi per azione difensiva), una misura proprio dell’intensità del pressing. Al di là dal merito degli avversari, può accadere anche per una giornata storta dei nerazzurri. E ce ne sono, soprattutto quando mancano pedine difficilmente sostituibili, come accaduto di recente con le assenze di Calhanoglu e Thuram.
La squadra di Inzaghi sostanzialmente non cambia mai pelle, e non si tratta soltanto del 3-5-2 – che, comunque, l’ex tecnico laziale avrà messo da parte solo una manciata di volte e in situazioni disperate o emergenziali, per esempio nella gara di Coppa Italia contro la Lazio. La totale assenza di esterni offensivi, trequartisti e mezze punte, così come di giocatori capaci di creare la superiorità numerica attraverso il dribbling, rendono praticamente impossibile mischiare il mazzo a gara in corso. D’altra parte, con o senza jolly in panchina, va detto che Inzaghi ha sempre mostrato una certa riluttanza a snaturare la squadra, ed è per questo che alla dirigenza chiede “ventidue titolari”, con coppie il più possibile interscambiabili. E pazienza se poi non ci sono varianti sul tema.
Qualche piccola spia d’allarme, intanto, si è accesa. Il minutaggio di alcuni titolari è già molto elevato, e in passato si sono già viste squadre di Inzaghi arrivare in debito d’ossigeno e pagare il conto a primavera inoltrata. Il calendario, figurarsi, non è certo un alleato: tra Serie A, Coppa Italia e Champions League – dopo le final four di Supercoppa, e come se non bastasse il Mondiale per Club in estate – l’Inter dovrà gestire un enorme carico di gare nei prossimi mesi. Il rischio, come si è visto nelle ultime settimane, è che la brillantezza inizi a calare.
Napoli-Inter, atto secondo
Napoli e Inter erano separate da un solo punto quando si sono sfidate, da prima e seconda in classifica, lo scorso 10 ottobre. E alla vigilia della gara di ritorno, si parte con analoghe premesse, ma a parti invertite: l’Inter in vetta a +1, lo Stadio Maradona come cornice del big match. Quattro mesi fa finiva 1-1, con le firme di McTominay e Calhanoglu, e con un rigore sbagliato dal centrocampista turco nel secondo tempo. L’ultima immagine di quella partita, a tempo quasi scaduto, era un guizzo di Simeone sotto porta; un episodio che aveva lasciato a Conte l’illusione dell’impresa, e a Inzaghi della beffa. Con un verdetto rinviato a data da destinarsi.
E ora ecco l’atto numero due. Se il Napoli visto nelle ultime settimane sembra (molto) più vulnerabile, la squadra di Conte avrà dalla sua il fattore-campo; e, guardando avanti, la speranza che sarà l’Inter ad accusare maggiormente la stanchezza. Intanto, sarà prima di tutto una questione di prontezza: chi partirà forte, magari sbloccando il risultato, avrà un vantaggio non da poco: rimanere sé stessa, lasciando all’avversaria l’obbligo di snaturarsi.
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