Gasperini sarà ancora Gasperini lontano da Bergamo?

Sta per finire uno dei matrimoni più felici e duraturi del nostro calcio. Ma esiste un altro club giusto per Gasperini, coi suoi pregi e i suoi difetti?

Sipario a forma di tricolore. Quel che Gian Piero Gasperini, alla vigilia della goleada sull’Empoli, aveva definito «credere di fare ciò che sembra impossibile», non racchiude soltanto la missione scudetto – forse l’ultima a disposizione – della sua Atalanta. Ma l’essenza ferrea del proprio dogma calcistico: seguirlo in ogni zolla di campo e di pensiero. A Bergamo sanno che funziona. Di più: sanno ormai che l’impossibile di ieri – 100 gol a stagione, notti di Champions, sballi d’Europa League – può diventare perfino l’ordinario di domani. Quant’è vero il decennio che si sta per chiudere, nel solco di un riciclo tecnico continuo valorizzato progressivamente dalla costante al timone. Una diarchia: l’allenatore di Grugliasco e la famiglia Percassi, che al primo ha messo tutto a disposizione. Sempre. Anche quando il Gasp, nella medesima conferenza stampa, ha deciso unilateralmente che «non ci saranno ulteriori rinnovi di contratto». La dirigenza stessa è rimasta spiazzata da modi e tempi delle dichiarazioni – che in molti club avrebbero accelerato le pratiche per la separazione in casa. Eppure gli ha voluto lasciare comunque l’ultima parola: «Rispetteremo la sua volontà». Da qui la domanda: ci potrà mai essere un altro luogo a cotanta misura di Gasp?

È questo il grande interrogativo attorno al futuro prossimo dello stratega, sia che vada a scadenza o saluti i nerazzurri in estate. Si prospettano Napoli, Juve. Nelle ultime ore la Roma, che starebbe sondando il suggestivo scenario attraverso la mediazione di Claudio Ranieri. Da un capo all’altro della penisola, nessuno mette in dubbio le qualità tecnico-tattiche di Gasperini. L’impatto sulle sue squadre. La sua formidabile capacità di rigenerare o forgiare dal nulla giocatori improvvisamente straripanti sotto la sua ala – e poi più confermati su quei livelli: Gollini, Caldara, Cristante, Gagliardini, Koopmeiners, Malinovskyi…ci viene quasi una formazione. Il rovescio della medaglia è che dietro i risultati c’è una rigidità di metodo non per tutti (anzi, per pochissimi). E un’eccentricità comunicativa talvolta problematica.

Si pensi al recente caso Lookman: a stupire non è soltanto la castroneria dell’allenatore, che ha fatto passare per brocco in eurovisione – sia pure riguardo a un singolo fondamentale: la freddezza dagli undici metri – l’elemento forse più determinante della sua rosa attuale; ma soprattutto la risposta del giocatore, che fino ai 25 anni, prima di conoscere Gasp, non era nemmeno la copia sbiadita di se stesso. In termini di carriera – e di valore di mercato, più che raddoppiato – Ademola, insomma, gli deve tutto. Eppure reagisce sorpreso e offeso, via social, incassando la solidarietà del mondo del calcio per intero, o quasi. In questo modo però dà anche l’idea di non conoscere affatto l’uomo dietro l’allenatore. E viceversa, in un loop di reciproca disaffezione. D’altronde chi, fra i colleghi atalantini di quest’epoca aurea, davanti a un’uscita poco convenzionale della loro guida in panchina, ha mai pensato di risolverla in “Vabbè, ma questo è il Gasp, è fatto così e gli vogliamo bene lo stesso”? Frasi del genere hanno coccolato Mazzone, Cosmi, Mourinho. Allenatori vulcanici, con spogliatoi interi pronti a immolarsi per loro. Nel caso di Gasperini, invece, no.

Proliferano semmai i precursori di Lookman, umanamente disincantati. In ordine sparso: Demiral, Gollini, Maehle, Castagne, Papu Gómez – con quest’ultimo, alla fine di un lungo e bellissimo amore, si arrivò alle reciproche accuse di aggressione fisica. Oltre ai nervi che saltano, alle ombre sulle grandi pagine di gestione tecnica, il leitmotiv degli alumni del Gasp si può riassumere pressappoco così: «Come allenatore non si discute, ma ha un approccio dittatoriale e parlare con lui è impossibile», racconta Maehle, oggi al Wolfsburg. «Non instaura alcun tipo di rapporto con i suoi giocatori. Non ti senti una persona, ma un numero». I controesempi si misurano col contagocce. E quasi tutti risalgono al periodo genoano: Gilardino, Juric, Thiago Motta. Aficionados da Bergamo? I veterani, coloro che hanno accompagnato gran parte dell’epoca Gasp, finanche precedendola: Pasalic, De Roon, Freuler, capitan Rafael Tolói. L’austriaco, che da due anni ha seguito il ds Sartori a Bologna, è nel partito minoritario del «Senza Gian Piero non sarei quello che sono diventato». De Roon rivela qualcosa di ancora più significativo: «Rispetto a una volta, oggi lo vedo gioire in modo diverso per i nostri risultati». È insomma possibile entrare in sintonia con l’individuo – anzi, di più, visto che 222 vittorie in nove stagioni non si spiegano con la sola narrativa del sergente di ferro. Che affrontare Gasperini sia come andare dal dentista – Guardiola dixit – varrà forse per gli avversari, ma l’alchimia che si respira all’Atalanta tuttora gli appartiene. Altrimenti non si lotta per il primo scudetto della propria storia, e nemmeno vi si va vicino.

Allora il bivio esistenziale: Gasp bisogna lasciarlo fare, o è meglio lasciarlo perdere. Era stato così al Genoa, l’altro grande palcoscenico della sua carriera di allenatore. L’Inter e il Palermo non hanno dato tempo al suo progetto. L’Atalanta, invece, ha avuto notevole lungimiranza: anche a Bergamo l’avvio era stato in salita – quattro sconfitte nelle prime cinque gare di Serie A – eppure Gasperini ha ricevuto fiducia nel momento del bisogno. E da lì sempre di più, ripagandola come sappiamo. Ecco dunque la grande domanda: gli altri club che hanno messo il suo nome sul taccuino saranno pronti a fare lo stesso? La Juve ha avuto ben poca pazienza con Sarri, l’ultimo capace di centrare il tricolore in bianconero, anche per la sua distanza estetica ed espressiva – felpa, sigaretta, anticonformismi vari – e l’ha finita col decano Allegri mentre lui vinceva la Coppa Italia, perdendo però le staffe. Gasperini si conformerebbe al proverbiale stile Juventus? Scendiamo a Napoli, dove Aurelio De Laurentiis non ha certo i metodi dei Percassi: Ancelotti e Rudi Garcia saltarono per molto meno. Mentre la sessione di mercato appena conclusa dimostra che nemmeno Antonio Conte è in grado di dare le carte in azzurro. Gasperini sarebbe pronto a cedere ego e libertà d’iniziativa? Infine Roma, la pista più fresca. E la piazza più difficile, società e tifosi come incudine e martello. La cordata americana non s’è fatta scrupoli a silurare a tempo di record un simbolo come Daniele De Rossi. C’è poi il peso del popolo: visceralmente attaccato agli allenatori dall’abbraccio emotivo come Mourinho, Ranieri, Gasperini avrebbe ragione di sfidare mos maiorum e nuovi abitudini giallorosse?

E torniamo così al nostro primo interrogativo, compendio dei precedenti: esiste davvero, lontano dal capolavoro bergamasco, una “vita altrove” per Gian Piero Gasperini? Nell’omonimo romanzo, Milan Kundera racconta l’ineluttabile assolutismo del poeta con parole incredibilmente adatte alla parafrasi calcistica. «Quando si tratta dell’educazione dei giovani il compromesso è un delitto. Non si possono lasciare nelle scuole insegnanti dalle idee superate: il futuro sarà nuovo o non sarà». Righe di letteratura, echi da Zingonia.