Sinner ha scelto il male minore, ma ora per lui inizia una nuova carriera

Patteggiare era l'unico modo per chiudere senza troppi danni la storia del Clostebol, sia per Jannik che per le istituzioni. Dopo la squalifica, però, ci saranno altre ombre e altre negatività con cui convivere.

Quando tre parti in causa si trovano di fronte a una decisione che potrebbe penalizzarle tutte, trovare un accordo è la scelta più razionale. Un compromesso permette di salvaguardare gli interessi di ciascuno, riducendo al minimo i danni e preservando la credibilità di tutti. Ecco, questa è la sintesi estrema di quello che è successo con il patteggiamento tra Jannik Sinner e la WADA, l’agenzia mondiale antidoping, che aveva presentato ricorso al CAS contro la decisione dell’ITIA, l’organo dell’ATP che vigila sul doping nel tennis e secondo cui Sinner era «esente da colpa o negligenza dopo la doppia positività al Clostebol». Inoltre c’è anche una quarta parte in causa di cui tener conto: quella del tennis in generale, che doveva evitare una lunga squalifica al suo uomo-copertina, specie dopo lo stop (seppur ridotto) inflitto alla numero uno del circuito femminile, Iga Swiatek, a fine 2024. 

La notizia del patteggiamento di fatto non ha sorpreso nessuno. Perché, semplicemente, in ballo c’era veramente troppo: Sinner doveva salvare la sua carriera, la WADA doveva riacquistare un minimo di credibilità infliggendo una squalifica all’azzurro e l’ITIA doveva vedersi confermata la giusta decisione di una sospensione minima proprio per doping involontario. Sono proprio i quattro giorni di sospensione già scontati da Sinner per la decisione dell’ITIA quelli che mancano a fare tre mesi esatti di squalifica partiti dal 9 febbraio e che termineranno il 5 maggio, quando l’azzurro potrà tornare in campo nel torneo di Roma. 

Chiaramente, il più danneggiato è Jannik Sinner, che dovrà stare tre mesi senza tornei, senza potersi allenare nei luoghi dei tornei e che capirà ancora meglio chi gli è vicino nei momenti di difficoltà, tanto tra i tennisti quanto a livello di sponsor, che magari preferiranno avere nel proprio roster atleti dal curriculum immacolato. La WADA è l’agenzia capace di graziare 23 nuotatori cinesi positivi alla trimetazidina, credendo alla buona fede delle agenzie di controllo cinesi, ma che ha voluto con protervia e insistenza la squalifica del numero uno del tennis, per una contaminazione tanto irrisoria quanto involontaria. Oltretutto, sempre la WADA non ha avuto remore nel mettere tutto ciò nero su bianco pur assorbendo la decisione dell’ITIA, cioè riconoscendo che «Jannik Sinner non ha avuto alcuna intenzione di barare e che la sua esposizione al Clostebol non gli ha fornito alcun beneficio in termini di prestazioni, avvenendo a sua insaputa e a causa della negligenza di membri del suo team». 

Sinner, quindi, non ha tratto beneficio dal doping, la contaminazione da Clostebol non è stata colpa sua eppure viene squalificato in base al Codice di condotta per responsabilità oggettiva. Si tratta di un provvedimento giusto? Sicuramente è una decisione utile a tutti. Il fatto che la WADA certifichi che Sinner non ha avuto nessun vantaggio dall’irrisoria contaminazione con il Clostebol ma che, allo stesso tempo, lo escluda dalle competizioni per tre mesi, significa che l’agenzia era in cerca di una vittoria politica. E che l’ha ottenuta: i fatti dicono che è riuscita a far squalificare il tennista numero uno al mondo. 

Eppure questa squalifica non soddisfa i detrattori di Jannik Sinner, che si sentono defraudati da questa lieve punizione. E a dare argomenti a questa frangia sono proprio le decisioni della WADA su altri casi di doping nel tennis: all’ex numero uno Simona Halep vennero comminati quattro anni di squalifica (ridotti poi a nove mesi) dopo che il CAS aveva dichiarato la sua contaminazione involontaria; Beatriz Haddad Maia è stata squalificata per dieci mesi nonostante venne accolta la sua tesi sulla non volontarietà di una contaminazione per anabolizzanti contenuti negli integratori regolarmente dichiarati. In entrambi questi casi, la squalifica è stata pesante nonostante l’accertata involontarietà della contaminazione.

Con Sinner non è andata così. Sostanzialmente, quelli che desideravano la lunga squalifica dell’italiano hanno due argomenti: una positività resta pur sempre una positività, un chilo di Clostebol vale come un grammo, il regolamento non fa distinzione di quantità. L’altro è l’equa possibilità per tutti di avere giustizia in tempi rapidi. Si stima infatti che Sinner abbia speso diverse centinaia di migliaia di euro per assoldare i migliori avvocati al mondo. Uno dei suoi legali aveva anche lavorato per la controparte, come se il vostro avvocato in un processo fosse stato giudice come precedente lavoro. Sono fattori decisivi che, di fatto, hanno consentito a Sinner di scontare solo pochi giorni di sospensione nel 2024. E la WADA non avesse fatto ricorso, Jannik non si sarebbe perso neanche un giorno di tennis nel 2025.

In ogni caso, quelli che si evince è che il sistema necessita di una riforma. Di un cambiamento richiesto praticamente da tutti. Da un punto di vista più strettamente tennistico, la situazione si è evoluta e si è risolta in maniera conveniente soprattutto per Sinner. Le tempistiche del ricorso gli hanno consentito di giocare e vincere gli Australian Open e di patteggiare (negoziare?) la durata e il periodo di squalifica che sarà scontato nella fase meno importante della stagione tennistico: Jannik non salterà nessuno Slam e tornerà in campo probabilmente da numero uno del mondo (a meno che Zverev e Alcaraz facciano i fenomeni). Merito quindi dei suoi avvocati, che avendo fiutato la volontà della WADA di punire in maniera esemplare il campione, hanno preferito di buon grado trovare un accordo che, ribadiamo, garantirà a Sinner di gareggiare nei tornei più importanti e quindi di salvaguardare anche le possibilità di guadagno. 

Quello che però Sinner non potrà aggirare è la gestione del grande fardello psicologico legato a questa vicenda. Non c’è e non ci sarà possibilità di cancellare l’argomento del patteggiamento e della squalifica corta dai discorsi dei suoi detrattori, così come non c’è altra via per Jannik di superare questo momento da solo. Sinner ha già sperimentato spogliatoi “freddi” dopo la notizia della sua positività, ha raccontato più volte quanto sia stato difficile giocare in attesa della decisione dell’ITIA. E ha sottolineato come questa storia gli abbia insegnato chi sono i suoi amici e soprattutto chi sono i suoi nemici. 

«Non credo più nello sport pulito», ha scritto Stan Wawrinka commentando la vicenda. Una frase che ci saremmo aspettati dall’agit-prop delle integerrime guardie del doping Nick Kyrgios, che ovviamente è tornato ad attaccare Sinner aggiungendo un sibillino «molti giocatori la pensano come me». Oltre a questi tennisti che parlano chiaro, ci sono poi tutti quelli del «solo Jannik può sapere cosa è successo veramente», quando invece due agenzie mettono nero su bianco cosa è successo veramente. Jannik è quindi atteso da un momento di nuove difficoltà: questa volta dovrà affrontare tre mesi senza poter gareggiare, non solo quattro giorni di sospensione come nel 2024. Dovrà ritemprarsi, accettare che non mancheranno mai quelli che grideranno all’ingiustizia,. L’azzurro dovrà tornare in campo e adattarsi alla sua nuova normalità, che dovrà necessariamente trovare. Da solo.

Nessuno sa cosa comporterà nella sua testa questo periodo di assenza, tutti sappiamo però che la maniera migliore per ripartire sarà tornare in campo e vincere subito, magari proprio nel torneo di Roma, di fronte al pubblico italiano, tutti dalla sua parte. Dopo tre mesi di assenza dalle gare è facile capire che si tratta di un compito praticamente impossibile. Ma se non ci riesce Sinner, chi altro può farlo?