La nuova formula ha reso la Champions League ancora più divertente

Risultati imprevedibili, tanti club in lizza fino all'ultima giornata, le big a rischio eliminazione: la League Phase inventata dalla Uefa è una scelta indovinata.

Per comprendere e giudicare la nuova formula della Champions League, prima ancora che dagli aspetti tecnici, bisogna partire dai motivi che hanno portato alla riforma. Li ha individuati e spiegati Giorgio Marchetti, segretario generale UEFA, alla vigilia di questa stagione: «La necessità di giocare più match di coppa era e appartiene ai club», ha detto. «Non dipendeva e non è dipeso da noi». Sono parole importanti, che restituiscono il senso di questa grande trasformazione: i top club – le istituzioni su cui, di fatto, si regge il calcio europeo – volevano giocare di più e volevano giocare più volte tra di loro, del resto lo avevano fatto intendere chiaramente già ai tempi del tentato golpe-Superlega. E allora non c’erano molte alternative, serviva inventare un format nuovo, un format che permettesse alle grandi squadre di affrontare più partite, di sfidarsi già nei primi turni e anche di salvaguardare – per quanto possibile – la spettacolarità e quindi l’appeal del torneo. Certo, restava e resta l’eterno problema per cui ormai ci sono troppe partite, su questo non c’è dubbio. Ma ripetiamo: se sono gli stessi club a chiedere di giocare ancora di più, per altro agitando la minaccia di una scissione reale, già abbozzata in precedenza, allora questo desiderio non poteva che essere assecondato.

In virtù di tutto questo, si può dire che la struttura della nuova League Phase – il girone unico a 36 squadre con calendario asimmetrico da otto giornate – fosse l’unica strada possibile. E si può aggiungere che, a pensarci bene, organizzare la Champions League in questo modo sia stata una scelta indovinata. Per tanti motivi. Ecco il primo: la nuova formula ha “sbloccato” – un po’ come succede nei videogiochi – nuovi livelli di pathos e di competitività. Basti pensare a quello che è successo e a quello che succederà: la prima squadra eliminata dal torneo, il RB Lipsia, ha saputo di non potersi più qualificare ai playoff solo alla fine della sesta giornata, il 10 dicembre scorso; questa sera si giocheranno 18 partite in contemporanea, con inizio alle 21, e 16 di queste 18 partite avranno un impatto decisivo sulla classifica – solo Young Boys-Stella Rossa e Sturm Graz-Lipsia vedranno affrontarsi delle squadre che non possono più accedere ai playoff e/o agli ottavi di finale. Non sono cose da poco, anzi persino i nostalgici più incalliti dovranno piegarsi all’evidenza: stasera, infatti, si godranno una serata molto vicina a quelle vecchie domeniche pomeriggio in cui tutte le gare di Serie A e di Serie B iniziavano nello stesso momento.

Un altro aspetto che rende attraente questa nuova formula riguarda l’imprevedibilità. Tanto per cominciare ci sono dei club di primissimo livello (Real Madrid, Bayern Monaco, Borussia Dortmund, Juventus) che molto probabilmente non finiranno nella parte alta della classifica, quella che garantisce l’accesso diretto agli ottavi di finale; altre squadre di prima fascia, PSG e Manchester City, devono addirittura sperare di andarci, ai playoff, visto che rischiano concretamente l’eliminazione. Ma il dato veramente rivoluzionario è un altro: alla vigilia dell’ultima partita, ci sono ben sei club di terza e quarta fascia (Feyenoord, Lille, Celtic, Monaco, Aston Villa, Brest) che sono già certi di partecipare almeno ai playoff; a queste squadre potrebbero aggiungersi anche PSV, Dinamo Zagabria, Sporting e Stoccarda, ovviamente se i risultati di stasera dovessero incastrarsi in un certo modo. La differenza con quanto avveniva ai tempi della vecchia fase a gironi è piuttosto netta: se guardiamo ai risultati delle ultime cinque stagioni, infatti, solo cinque squadre su 40 provenienti dalla quarta fascia sono riuscite a qualificate agli ottavi. Se allarghiamo il campione statistico anche alla terza fascia, diventano 20 su 80.

Al di là del concetto molto soggettivo di spettacolo applicato alle partite di calcio, il dato di fatto è che abbiamo vissuto una Champions League molto incerta. I motivi di questi risultati sorprendenti, o comunque non scontati, vanno ricercati proprio nella formula del torneo: il Real Madrid, tanto per fare un esempio, ha perso punti con il Lille (come avvenuto negli anni scorsi contro lo Shakhtar, contro il Lipsia, addirittura contro lo Sheriff Tiraspol) ma poi ha dovuto affrontare anche Milan e Liverpool, ed è a causa di queste altre due partite – finite con altrettante sconfitte – che rischia seriamente di dover disputare i playoff. Stesso discorso anche per il Bayern Monaco, battuto dall’Aston Villa, dal Feyenoord e anche dal Barcellona. Insomma, è quell’anche a fare la differenza: nella nuova Champions League ogni squadra affronta quattro avversarie di prima e di seconda fascia, quindi non non c’è tempo per prendersi una pausa, per fermarsi e fare calcoli. Inoltre la maggiore varietà nei sorteggi e negli accoppiamenti cancella quella sensazione di già visto e determina ulteriori difficoltà di programmazione per gli allenatori e i loro staff, costretti a studiare sette squadre diverse, non più tre come in passato. Può sembrare una differenza di scarso rilievo, non lo è.

Certo, alla lunga un torneo concepito in questo modo – più lungo, più imprevedibile, inevitabilmente più difficile – potrebbe spingere i top club ad allestire rose ancora più numerose, quindi ad allargare la forbice competitiva con le squadre che hanno fatturati più bassi. Ma in campo si va e si andrà sempre in undici, inoltre le attuali rose con gli slot limitati non concedono tutto questo margine di manovra. Per cambiare le cose, dunque, servirebbe una revisione su larga scala e a lunga scadenza. Potrebbe succedere, certo, ma nel frattempo la Champions League ha assunto e continuerà ad avere una nuova fisionomia: forse più cervellotica, ok, ma anche più dinamica, meno scontata, smaccatamente e sfacciatamente moderna. In una parola: più divertente. E chi sostiene il contrario dimentica – o fa finta di dimenticare – i gironi già decisi dopo tre o quattro partite, la quinta e la sesta giornata affrontate da squadre già qualificate imbottite di riserve e di giovani, l’assurdità e l’antisportività delle “retrocessioni” in Europa League. Tutte cose che non esistono più, per fortuna.