Arianna Errigo, il cambiamento in pedana

Intervista alla portabandiera dell'Italia a Parigi 2024.

Come fa a fare tutto è una constatazione spicciola. Davanti ad Arianna Errigo, schermitrice da tre medaglie olimpiche, 22 mondiali e 21 europee senza distinzione di metallo, portabandiera a Parigi 2024 con Gianmarco Tamberi e madre di due gemelli nati un anno e mezzo fa, la retorica si sgretola. La fiorettista brianzola non ha intenzione di passare per supereroina, nonostante i tentativi di disegnarla come tale. Ha i piedi saldamente in pedana ed è consapevole della fortuna che ha avuto, tanto che lo ripete più volte prima di immaginare il futuro. Mai sola, questo è il segreto. Il suo corpo con i cambiamenti da accogliere, la sua testa solida e determinata, ma soprattutto un team che la sostiene, dal marito Luca Simoncelli agli amici, i compagni e compagne di squadra, fino alla federazione che non l’ha costretta a scegliere tra carriera sportiva e maternità. A 36 anni Arianna Errigo non rifugge lo status di simbolo e ispirazione ma lo riporta a terra, nella concretezza atletica che è sempre stata il suo marchio di fabbrica.  

Ⓤ: La prima domanda è a tema Olimpiadi: ambizioni, emozioni, soprattutto per questo ruolo di portabandiera. Poi, ci sono delle medaglie che hai rimpianto? E quali sono state le più felici della tua carriera, finora?

Mi sto preparando in maniera completamente diversa rispetto a quelle precedenti. Sarà la mia quarta Olimpiade, da mamma e da portabandiera: meglio di così, neanche nei sogni più belli. Il viaggio di essere mamma è fantastico e l’idea di riuscire a fare quello che amo di più al mondo, la scherma, insieme ai miei figli, è stupendo. Faticoso, difficile, impegnativo, incasinato, però una soddisfazione unica. Ovviamente poi la ciliegina è stata essere nominata portabandiera dell’Italia: mi sono sempre misurata nel mio sport e mi sono sempre vista in quell’ambiente, oggi invece rappresento non solo la scherma e lo sport italiano, ma un intero Paese. L’orgoglio è tanto, la responsabilità anche, a 36 anni è stata una notizia meravigliosa. A prescindere da come andrà, per me rimarrà un’Olimpiade speciale: non era assolutamente scontato. Un anno e quattro mesi fa ho partorito, a livello di tempistiche e da un punto di vista sportivo non è stato proprio un momento perfetto (sorride ironica, ndr) per avere un figlio, poi ne sono arrivati due e a maggior ragione è stato complicato, ma molto bello. Sulle gare, la più bella in assoluto è la gara che ho fatto a Milano al Campionato del mondo, l’anno scorso. Non ho vinto l’oro ma come ho vissuto quella gara, su quelle pedane, è stato stupendo: ero proprio felice di essere lì, a quattro mesi e mezzo da un parto. Non ero mai stata un anno lontano dalle gare, il mio corpo si è completamente stravolto, ho fatto una fatica incredibile ed è stato difficilissimo, ma la soddisfazione è stata enorme. Poi addirittura riconfermare un argento che avevo vinto l’anno prima, e vincere con la squadra… Per me, la gara più emozionante.

Ⓤ: E la medaglia più rimpianta?

Sicuramente Rio de Janeiro, la mia seconda Olimpiade. Arrivavo da un argento olimpico, poi in quel quadriennio ho vinto due Mondiali individuali, abbiamo fatto un bronzo, ero la favorita e numero uno del ranking. L’ho vissuta proprio male: la preparazione, la gara, tutto molto pesante. Ah, avevo vinto anche l’europeo un mese prima, infatti quando ho vinto poco fa ho pensato: mannaggia, speriamo di non rifare gli stessi errori… (ride, ndr) Non mi sono goduta per niente quella gara, poi è andata malissimo, probabilmente la peggiore di tutta la mia carriera.

Ⓤ: Hai aperto il discorso del rapporto con il proprio corpo che cambia in continuazione, specialmente per un’atleta, quando si attraversano delle fasi della vita. Volevo chiederti anche come hai capito che il tuo corpo poteva essere portato per la scherma: c’è un dettaglio che ti permette di esserlo?

Il bello della scherma è che non ha delle linee così rigide sul fatto che tu debba essere alto un tot di centimetri, oppure come in uno sport di categoria con il peso. In base al tuo fisico hai dei punti di forza che devi sviluppare, ci devi lavorare. Ci sono state super campionesse alte, altre basse, altre che magari un po’ più in carne, devi cercare di sfruttare le tue caratteristiche. Ovvio che essere reattivo è fondamentale, più della resistenza che per esempio è il mio punto debole; però chi è più resistente magari cerca di fare un incontro più lungo per portarlo dalla sua parte. C’è anche molta tattica. Alcune caratteristiche ti aiutano ad essere più performante, però non è detto che non si possa diventare un campione sfruttandone altre.

Ⓤ: Ho letto un’intervista in cui parlavi proprio di come è stato diverso tornare in pedana e ad allenarti dopo aver partorito: credo tu sia stata una delle poche persone che ha ammesso che non ce la faceva, che fisicamente il corpo non rispondeva, come se la mente fosse più avanti del corpo.

Devo dire la verità: nella mia carriera sono stata anche molto fortunata. Non ho avuto mai grossi infortuni e non mi sono mai fermata per tanto tempo, quindi ho fatto tutto insieme. Dopo aver preso 30 chili in gravidanza avevo una pancia enorme, e quando sono tornata e mi sono messa in guardia la prima volta non riuscivo a rimanere in equilibrio: mi buttava in avanti, tutto il baricentro spostato. Dicevo: dai non è possibile, c’è qualcosa che non va. In più ho fatto un parto cesareo, che comunque è un’operazione: avevo zero mobilità, non riuscivo a girarmi. Ho fatto tanta fatica perché con la testa volevo fare determinate cose ma il fisico non mi seguiva per niente. Però, a differenza di tutta la mia carriera, in cui i miglioramenti li vedi dopo tanto tempo perché sono minimi e costanti, dopo aver partorito miglioravo tantissimo ogni giorno, non avevo mai avuto dei miglioramenti così veloci. È stato curioso, ma dire che sono arrivata al Mondiale in forma era impensabile. Anche i medici che mi seguivano, o al Coni, dicevano che secondo degli studi fatti in America avevo bisogno di almeno sei mesi, e io dicevo: non ho sei mesi, ce la dobbiamo fare in quattro mesi e mezzo. Ce la dobbiamo fare in qualche modo (ride, ndr). È stato difficile: non riconoscerti più non è facile, e il corpo si è completamente stravolto, non ho più il fisico di prima. Anche questa è una parte che si deve cercare di accettare, ma non sempre è semplice.

Ⓤ: Oltre a questa rieducazione atletica del corpo post maternità, è inevitabile parlare dell’ampio discorso dell’identità, del riconoscersi in questo corpo, della mente. Come vivi l’attenzione attorno alla salute mentale, degli atleti e non?

Credo sia fondamentale. Per quanto tu possa vincere, essere fortissimo e tutto quanto, dietro un atleta c’è sempre una persona con le proprie debolezze e i propri momenti di sconforto. Uno sportivo può vivere dall’infortunio a qualcosa di personale che ti può accadere, nel mio caso la gravidanza. È bene che se ne parli, e non bisogna vergognarsi di aver bisogno di chiedere aiuto. Lo sto vivendo anche io: quando diventi mamma, se chiedi aiuto sei una mamma meno brava. Invece anche da questo punto di vista è fondamentale, parlarne normalizza. L’aiuto psicologico dovremmo averlo tutti, come il medico di base: che tu sia atleta o no, ci sono difficoltà che tutti, bene o male, affrontiamo nel corso della vita.

Ⓤ: A livello di sfera emotiva, quanto pesa il “come stai” quando scendi in pedana per una gara?

Nella scherma, probabilmente tutto. Il nostro è uno sport tecnico, tantissimo, è diventato anche uno sport fisico, ma la parte mentale è il fulcro: per quanto tu possa essere tecnicamente infallibile e fisicamente preparato, se non ci stai con la testa non vinci le gare. Può succedere al contrario, come a me al Mondiale a Milano, dove era evidente che non potessi essere in forma però sono riuscita comunque a vincere un argento e a vincere con la squadra. In più, le nostre gare durano tutta una giornata, bisogna accendersi e spegnersi più volte, non è facile. Gli assalti durano un attimo e puoi perdere. Il modo in cui ci arrivi ti condiziona, indubbiamente.

Ⓤ: Hai preso una posizione molto netta sulla mancanza di sostegno alla genitorialità nella società italiana, da madre e sportiva, hai parlato dell’assurdità del congedo di paternità citando l’esempio del padre dei tuoi figli. Quest’anno alle Olimpiadi ci saranno le stanze dell’allattamento per le atlete madri, qualcosa si sta muovendo. Ci sono altre possibili soluzioni valide?

Le soluzioni sarebbero infinite. Stiamo iniziando a parlarne perché ora ci sono tante atlete che decidono di continuare, prima purtroppo dovevi decidere: o la carriera sportiva, o diventare mamma. Siamo ancora tanto indietro. Io ho avuto la fortuna, e sottolineo la fortuna, di aver avuto un commissario tecnico che in quel momento mi ha voluto sostenere; poi la fortuna di una famiglia, la fortuna di un marito super presente, la fortuna di avere in nazionale compagni fantastici che mi hanno aiutato in tutto. Oggi mi gioco la mia quarta Olimpiade, ma purtroppo è una situazione che non è la normalità. Se una atleta oggi decide di avere una famiglia, non viene messa nelle condizioni, deve sperare in un contesto che glielo permetta. Ci vogliono delle regole scritte e chiare, non può dipendere da chi c’è e dal buonsenso di una persona. Per lo sport deve partire dalla federazione con dei regolamenti, con degli aiuti, con dei sostegni. Sembra una cavolata, ma io sono rimasta in Nazionale anche in gravidanza. Mi faceva bene rimanere nel mio ambiente, facevo gli allenamenti che potevo fare con il consenso del medico, e a livello psicologico questa cosa ti aiuta tantissimo, perché è ovvio che tu hai uno stravolgimento totale. Ripeto, servono dei regolamenti, non si può sperare che in quel momento ci sia la persona giusta che che te lo permette.

Ⓤ: Nike in greco vuol dire vittoria. Il significato letterale, a una sportiva e agonista come te, sicuramente piacerà molto. Quanto è importante per te essere legata a questo brand e a come ti sostiene nelle tue vittorie numerose?

Che un marchio così importante abbia scommesso su di me mi rende orgogliosa, perché faccio parte di una famiglia bella e di una squadra molto forte. Nike si basa sempre sull’idea di ispirare e motivare le persone, superare i limiti, avere degli obiettivi: dovrebbe essere la cosa principale per tutti. Nel mio caso io ce l’ho nello sport, però anche quando sono diventata mamma l’ho usato e mi è servito nella vita. Abbiamo anche dei valori in comune. Io spero di dare un qualcosa in questo, anche ispirare qualcuno solo sentendo la mia storia, costruire qualcosa, per me è motivo d’orgoglio. Credo sia questo il legame importante tra me e Nike.

Ⓤ: Defaticamento, alla fine di questo allenamento a parole. Oltre a prenderti cura dei tuoi figli, che immagino siano la mascotte di tutta la federazione, nel tuo pochissimo tempo libero cosa ti piace fare?

Adesso, coi bimbi, dormire sicuramente è proprio al primo posto (ride, ndr). Io adoravo dormire, potevo dormire tranquillamente 12 ore consecutive, per me il sonno era proprio rigenerante. Da un anno e mezzo ovviamente il sonno manca, sicuramente è una parte che sfrutterei. Le altre passioni sono due. Una è il surf: abbiamo sempre fatto vacanze con i bimbi dove si potesse surfare e con gli amici che ovviamente ci davano una mano, univamo il fatto di poter surfare con lo stare tutti insieme, e cucinare, che è l’altra grande passione mia e di Luca. Per noi è un grandissimo divertimento, cuciniamo in maniera completamente diversa: io in maniera tradizionale, a lui invece piace molto più sperimentare col roner, il sottovuoto, è più sulla carne e queste cose innovative. A me piace anche fare la tavola, fare la spesa, mettere i piatti in un certo modo… Della cucina e del mangiare mi piace un po’ tutto. Quindi dormire al primo posto, poi cucinare, e surfare.