Rafa Leão c’entra ancora poco con questo Portogallo

A Euro 2024, per colpa di un contesto di gioco che non asseconda le sue caratteristiche, stiamo vedendo la sua versione peggiore.

Doveva essere l’Europeo di Leão, quello dove il giocatore del Milan doveva mettere a frutto quanto di buono seminato in Serie A anche con la sua maglia della Nazionale. Doveva, può ancora esserlo, ma al momento non lo è stato: la versione giocosa e dribblomane di Leão, quella in grado di dare una scossa all’improvviso a ogni tipo di partita, sembra essere rimasta a Milano. Nonostante una squadra piena zeppa di talento e di conseguenza una concorrenza importante, Rafa è partito titolare nelle prime due partite del Portogallo: le due prestazioni sono state però certamente negative, aprendo qualche interrogativo su come le caratteristiche dell’esterno si integrino con il collettivo della sua Seleçao.

Per comprendere fino in fondo (o almeno provarci) il Leão degli Europei bisogna partire dall’elefante nella stanza: le sue prestazioni. Leão sta giocando male, punto. Senza girarci troppo intorno. Nella prima partita, contro la Repubblica Ceca, è stato in campo per 63 minuti, mentre nella seconda giornata, contro la Turchia, il ct Roberto Martinez lo ha sostituito addirittura all’intervallo. Due grosse bocciature appesantite dai due cartellini gialli rimediati per altrettante simulazioni nella ricerca ossessiva di un calcio di rigore che hanno fatto scattare la squalifica per la terza partita del girone, quella contro la Georgia di Kvaratskhelia, dove l’esterno rossonero non avrà la possibilità di riscattarsi (almeno fino agli ottavi di finale, che il Portogallo ha già centrato con un turno di anticipo).

L’impressione è che Leão nel gioco del Portogallo proprio non riesca a incastrarsi. Nella prima partita contro la Repubblica Ceca si è fatto vedere solo per un quasi gol in spaccata su un cross rasoterra di Bruno Fernandes, mentre contro la Turchia è entrato negli highlights del match solo per aver premiato la sovrapposizione sulla fascia di Nuno Mendes, da cui è nato il gol dell’1-0 firmato da Bernardo Silva. Per il resto il nulla. Non un tiro, non un dribbling, nessuna fuga sulla fascia, niente di quel repertorio che ha spaccato la Serie A nelle ultime stagioni. Ma perché? Il ct Roberto Martínez (memore dell’esperienza sulla panchina del Belgio) ha organizzato la sua squadra sul fraseggio, sul possesso palla — 57% contro la Turchia, addirittura 74% contro la Repubblica Ceca — per sfruttare la grande qualità del suo organico, pieno di calciatori che preferiscono giocare il pallone piuttosto che metterla sulla corsa. La manovra lenta e metodica del Portogallo porta ad affrontare quasi sempre difese schierate e linee strette, soffocando il gioco di Leão, che ha bisogno di spazi molto ampi per potersi allungare il pallone e creare scompiglio nella retroguardia avversaria. Così facendo si viene a creare la dinamica meno adatta per il giocatore del Milan, che si trova molto spesso davanti due, tre giocatori partendo con la palla ferma.

Non a caso, guardando ai numeri, nelle 13 partite in cui Martínez ha scelto di schierare Leão, Rafa ha messo a tabellino due reti e due assist, entrando in soli quattro gol a fronte dei 49 segnati dal Portogallo da marzo 2023 a oggi, giocando un’unica volta per tutti i 90 minuti. E dire che il ct sta anche provando a metterlo nelle condizioni migliori per esprimere il suo calcio. Dopo il deludente esordio contro la Repubblica Ceca (addirittura undici palloni persi), schierato come “finta” seconda punta in un 3-5-2 dove Cancelo aveva il compito di agire a tutta fascia, Leão è tornato a fare l’ala in un “classico” 4-2-3-1, con Nuno Mendes nei panni di Theo Hernández incaricato di sovrapporsi continuamente per creare superiorità numerica sulla sinistra e liberargli spazio. Ma anche in questo caso non sono arrivati segnali positivi; anzi, solo la squalifica.

Dribbling su due giocatori, destro sotto l’incrocio e esultanza polemica contro la stampa: qui c’è tutto Leão

«In Italia si gioca a dei ritmi molto bassi, lui con la sua grande velocità è in grado di creare molti problemi», ha provato a spiegare Fabio Capello ai microfoni di Sky Sport alla vigilia di Croazia-Italia. «In Serie A i giocatori capaci di dribblare sono Leão e pochi altri, perciò nel nostro campionato diventa incontenibile per i difensori». Ma dare la “colpa” al calcio italiano risponde a tutti gli interrogativi del caso di Rafa Leão? Sì e no. Perché già nel corso di questa stagione abbiamo visto Leão faticare con la maglia del Milan, e non solo per i cinque mesi di digiuno realizzativo in Serie A tra ottobre e febbraio. I dribbling sono diventati meno frequenti, le galoppate meno devastanti: l’annata 2023/24 è stata quella più complicata per l’ex Lille, quella dove le difese lo hanno arginato meglio e allo stesso tempo quella dove gli schemi della squadra lo hanno valorizzato meno. Bisogna insomma cercare altre risposte al “caso” Leão.

Una potrebbe essere proprio l’impiego di Cristiano Ronaldo, che anche oggi, a 39 anni e con una condizione atletica (per quanto eccellente in rapporto all’età) ben lontana dai tempi migliori, tende per natura a spostarsi verso la zona sinistra del campo, così come Leão. Pur con caratteristiche molto diverse — CR7 si accentra e punta la porta, Rafa dà lo strappo e si prende il fondo — i due finiscono inevitabilmente per pestarsi i piedi e togliersi spazio a vicenda, e non serve essere degli esperti per capire chi dei due ha la peggio. Un’altra risposta potrebbe essere legata al modo in cui è concepito il Portogallo, ai suoi schemi, alla sua struttura: detto dell’asincronia di fondo tra l’atletismo di Leão e il palleggio dei compagni (Bruno Fernandes, Vitinha, João Cancelo, Bernando Silva, Palhinha, tutti giocatori di grandi qualità), la squadra del ct Martínez ha un modo di giocare collaudato e funzionale, che ha portato a 15 vittorie nelle 17 sfide giocate da quando il tecnico spagnolo siede sulla panchina della Seleção. A differenza di una Francia o di un’Inghilterra, molto legate alla fantasia dei singoli, il Portogallo ha un gioco collettivo, che non dipende dalle invenzioni di Leão — a differenza di quanto succede nel Milan, dove gli arrivano molti più palloni — e che può permettersi di accantonarlo in caso di prestazioni non all’altezza, come successo contro Repubblica Ceca e Turchia.

La palla passa adesso a Rafa, che non rivedrà il campo prima degli ottavi di finale di lunedì 1° luglio, quando il Portogallo affronterà la Slovenia. A 25 anni appena compiuti, nel pieno della sua carriera, Leão ha già fatto vedere di avere i mezzi atletici per mettere in difficoltà qualunque avversario. Quello che gli manca è adesso un salto di qualità dal punto di vista tecnico: Pioli prima e Martínez oggi (chissà, forse anche Fonseca in futuro) gli hanno dato totale fiducia, lo hanno sempre messo al centro del progetto, ma è mancata una sua risposta concreta. Gli appoggi sbagliati, i cross sbilenchi e le conclusioni masticate sono state una costante per Leão fin dal primo momento in cui ha indossato la maglia del Milan. Stesso discorso per le occasioni in cui ha indossato la divisa del Portogallo. Volendo improvvisarsi esperti di psicologia il problema forse è anche mentale: non è raro vedere Leão con un sorriso smagliante stampato in faccia quando tutto va bene, in quelle partite in cui è imprendibile e potrebbe fare concorrenza ai migliori del mondo; mentre l’espressione si fa triste e malinconica quando le giocate non gli riescono, quando i dribbling diventano complicati, quando la corsetta svogliata in fase di non possesso fa capire che proprio non è giornata.

Il Portogallo è una delle favorite per questo Europeo, su questo non ci sono dubbi. E lo sarà anche senza Leão. Anzi, lo ha già fatto vedere nelle prime due partite della competizione. Con tutte le attenuanti del caso, reali o ipotizzabili, Rafa ha tutte le carte in regole per essere un protagonista non solo del torneo, ma per diventarlo anche nelle prossime dieci stagioni di calcio internazionale. Deve solo capire se è disposto a elevare il suo status, a passare dall’essere un cavallo impazzito sulla fascia a essere un giocatore totale. A 25 anni, con un’eredità da nuovo volto del Portogallo da raccogliere, deve realizzare se ha la maturità per oltrepassare quel confine, molto spesso così sottile, tra l’essere una fabbrica di highlights per YouTube o uno dei più grandi calciatori del mondo.