Club Italia – Una Nazionale piccola e impaurita, ma con Donnarumma

Appunti sparsi su Spagna-Italia 1-0.

Club Italia è una sorta di bacheca in cui alcuni autori di Undici raccontano le gare degli Azzurri a Euro 2024. Dopo la buona gara all’esordio contro l’Albania, per Spagna-Italia 1-0 siamo stati un po’ più severi con gli Azzurri. Era inevitabile, se consideriamo non solo il risultato, ma soprattutto la prestazione offerta dalla squadra di Spalletti. 

Un’Italia senza leader

Non per far passare in secondo piano il contesto tattico – anzi, l’Italia di Spalletti è una squadra estremamente tattica, forse troppo, ieri sera: la griglia di posizioni pareva quasi imprigionare la manovra offensiva, e rendere incapaci, gli Azzurri, di inventare soluzioni al facile pressing spagnolo – ma in queste manifestazioni la carica psicologica è fondamentale. L’abbiamo visto, dopotutto, a Euro 2021, quanto una squadra possa overperformare se si crea l’amalgama giusta, l’abbiamo visto anche a Euro 2016, e al contrario l’abbiamo tragicamente sperimentato in Sudafrica nel 2010. In questa Italia non si è (ancora?) innescato quel felice meccanismo. Non è detto sia troppo tardi (ricordiamoci del brutto 1-1 contro gli Stati Uniti nel 2006), ma non si potrà vincere molto senza la capacità di reazione autonoma, istintiva e di gruppo, fuori dalla pianificazione delle posizioni.

In questo, la Nazionale di Spalletti sconta un’inesperienza che quella di Mancini non pativa: nonostante le grandi notti di Liverpool, non si può dire che Gianluca Scamacca sia un attaccante (ancora) esperto come lo è Morata; Davide Frattesi è alla sua prima stagione in una grande; in difesa, nonostante la presenza di un gruppo interista che ha vissuto una finale di Champions League, mancano dei capitani come Bonucci e Chiellini, e il più esperto del gruppo, Matteo Darmian, ha sempre brillato a corrente alternata, prima di queste ultime due grandi stagioni nerazzurre. Queste sono le convocazioni, e questo era il materiale: “non c’è altra strada”, per citare il mister in coda a quella sua famosa massima sugli uomini forti, e quindi bisognerà trovare dei leader in questo gruppo di ventenni avvezzi sì a certi palcoscenici europei, ma che sono apparsi ancora tutti gregari l’uno dell’altro, in cerca di un leader più psicologico che tecnico.

Più che la qualità, è mancata la convinzione

Tre anni fa, contro gli spagnoli, la spuntammo noi, ma il copione della partita non fu molto diverso: loro attaccavano, noi resistevamo. Ci fu meno distanza tra le due squadre nel complesso, e infatti l’Italia riuscì a passare momentaneamente in vantaggio e poi a vincere ai rigori; ma era anche un discorso di fiducia, di seminato che gli Azzurri avevano coltivato nel corso della manifestazione. Stavolta la Spagna, avversario terribile, è arrivato in un momento diverso, alla seconda partita del torneo: e quella fiducia non abbiamo fatto in tempo a costruirla, perché un buon 2-1 contro l’Albania non poteva essere sufficiente per poterci pensare già a ragione dentro l’élite dell’Europeo. Anzi: l’Italia è parsa nutrire una specie di complesso di inferiorità nei confronti della Spagna, ed è stata questa la chiave che ha innescato una prestazione davvero molto brutta, con i nostri impauriti e spaesati, vittime sistematiche degli uno contro uno degli avversari e imprecisi e tremebondi con il pallone tra i piedi.

Storicamente, l’Italia trae forza proprio a torneo in corso, costruendo la propria temibilità partita dopo partita: quando si accende la spia, allora è difficile fermarla. Perciò, se proprio si deve trarre una lezione da questa prova ampiamente negativa, è che l’Europeo non è finito: basta non fare disastri contro la Croazia per rimettersi in marcia, a patto di riuscire a costruire quella convinzione che altre volte ci ha portato lontano.

L’Italia ha una panchina povera, e Spalletti l’ha pure usata male

Questo discorso sulla convinzione si espande anche in altre direzioni. La qualità e la gestione della panchina, per esempio. All’intervallo Spalletti ha inserito Cambiaso e Cristante per Jorginho e Frattesi, ridisegnando completamente la Nazionale. Certo, ci mancherebbe altro: dopo un primo tempo a dir poco travagliato, cambiare qualcosa era doveroso, era inevitabile. Il punto è che queste sostituzioni non avevano niente – ma davvero niente – a che fare con le idee iniziali del ct: se il piano partita originario era provare a sporcare il palleggio della Spagna per poi ripartire subito in verticale, perché inserire un centromediano statico come Cristante? E perché è stato tolto Frattesi, l’unico centrocampista in grado di attaccare la profondità con costanza, e al suo posto è entrato un giocatore che si esprime meglio sull’esterno? Inoltre, viene da dire, il gioco – sarebbe meglio dire l’abbozzo di gioco – mostrato dagli Azzurri nella ripresa non si è spostato di una virgola rispetto al primo tempo. Come se le scelte di Spalletti avessero avuto un impatto nullo su ciò che succedeva in campo.

I meriti sono stati anche della Spagna, certo. Ma la verità è che l’Italia ha una panchina povera, e Spalletti l’ha pure usata male. Se guardiamo al primo punto, viene da dire: è vero, non è che il ct avesse tante alternative per cambiare davvero la sua squadra. Per dirla brutalmente: è probabile che inserire El Shaarawy, Bellanova o Folorunsho non avrebbe invertito i poli della partita, e forse neanche anticipare gli ingressi di Retegui, Zaccagni e Raspadori avrebbe cambiato le cose. Detto questo, bisogna guardare un attimo più in là, bisogna valutare bene il senso dei cambi di Spalletti: certo, l’idea di puntellare la fase di non possesso aveva una ratio condivisibile, ma è vero pure che con Cristante e Cambiaso l’Italia ha perso ulteriore qualità nel giro-palla, ha sotterrato qualsiasi pretesa di costruire gioco, ha rinnegato completamente la sua identità. In sintesi estrema: si è consegnata alla Spagna. Molto più di quanto non l’avesse già fatto nel primo tempo.

Dopo gli highlights, parliamo di Gigio Donnarumma

Però abbiamo un grande portiere

Per l’Italia, fortunatamente, è ancora tutto aperto. Anche se l’aritmetica certezza del primo posto della Spagna e la malizia dei veterani della Croazia, in difficoltà ma non ancora morta del tutto, lasciano sulle nostre teste lo spettro dello psicodramma, un possibile remake della partita con l’Uruguay del Mondiale 2014. Se andiamo alla ricerca delle note positive della sfida di stasera, e purtroppo sono molto poche, non si può non citare la prestazione di Gianluigi Donnarumma. Che, a distanza di tre anni da quando vinse il premio di MVP dell’Europeo con le parate decisive ai rigori nella semifinale con la Spagna e nella finale con l’Inghilterra, conferma un’altra volta – l’ennesima – di essere uno dei migliori portieri al mondo.

Sì: qualcuno tende a dimenticarlo, magari i tifosi del Milan feriti nell’orgoglio (ma anche nel ritorno a San Siro dell’ultima Champions League, in cui il Paris Saint-Germain ha perso 2-1, Donnarumma ha fatto almeno un paio di interventi provvidenziali), e qualcuno gli imputa una scarsa confidenza con la palla tra i piedi, oppure banalmente tendiamo a darlo per scontato, ma il portiere dell’Italia ha pochi rivali nell’intero torneo. Questa sera lo ha ribadito con otto (!) parate, quasi una più difficile dell’altra, dal colpo di testa iniziale di Pedri a quella nei minuti di recupero su Ayoze. Tutti interventi che hanno permesso agli azzurri di sperare nel pareggio fino all’ultimo corner e di non pregiudicare la propria differenza reti. E non dimentichiamo che Donnarumma aveva già salvato il risultato all’esordio con l’Albania, deviando in maniera decisiva l’occasione conclusiva capitata a Rej Manaj.