Lo skateboard è una vita senza limiti, intervista ad Alessandro Mazzara

Intervista a un simbolo giovane di uno sport giovane, che punta alle seconde Olimpiadi dopo l’esordio a Tokyo. Da percorrere come atleta del Sector Team.

Davanti agli occhi uno skatepark tutto nuovo, con profondità, rampe e curve. Intorno un pubblico in festa, skater, sneakers e cappellini con la visiera. Quarantacinque secondi per dare tutto, per fare tutti i trick preparati. La line è pronta, la soundtrack pure, serve una sequenza perfetta. Ognuno per sé, tutti contro tutti. Lo skateboard alle Olimpiadi è uno sport creativo e cinico, perché è un gioco di coreografie, di forme, di espressioni a ritmo, ma anche un esercizio con pochissimo o nessun margine d’errore. Il tempo a disposizione è poco, eppure è tutto. Bisogna imparare a sentirlo, il tempo, a maneggiarlo, a volarci sopra con la tavola. «Non puoi assolutamente sbagliare», dice Alessandro Mazzara. «E non solo nei quarantacinque secondi di gara, dove ti accompagna l’adrenalina, ma soprattutto nei quarantacinque minuti a disposizione nei due giorni precedenti alla gara per conoscere lo skatepark: le practice sono veramente dure e gestire il tempo non è per niente facile».

Alle Olimpiadi di Parigi, Mazzara vuole essere perfetto. Vuole dimostrare di meritare il palcoscenico più prestigioso di tutti, nonostante la pressione: «Più della gara in sé, i secondi più lunghi sono quelli dell’attesa prima di salire sullo skate, mentre aspetti che il manager ti dia l’ok per partire. Quelli non passano mai, ma io cerco di non pensare, di stare tranquillo». Da quest’anno Mazzara fa parte del team di Sector No Limits, per interpretare il dna del brand come esempio di tenacia e dedizione: «Mi ritrovo con i valori di Sector e degli sportivi che ne hanno sempre fatto parte, nello skateboard lo spirito No Limits è fondamentale. Mi misuro ogni giorno con la determinazione a superare i miei limiti per migliorare continuamente». Per Mazzara i Giochi di quest’estate sono una seconda occasione dopo quelli di Tokyo del 2021, dove era arrivato frenato da un infortunio al gomito – «grazie all’aiuto dei fisioterapisti e della mia squadra siamo riusciti a sistemare tutto, almeno quanto bastava per gareggiare». E quindi sarà a Parigi anche sulla scorta di un’esperienza maggiore, di una nuova consapevolezza: un bagaglio fondamentale per uno skater ancora giovanissimo, nato a maggio 2004. Anche se ha solo vent’anni, in Italia è considerato il fuoriclasse dello skate, è ormai stabilmente nella top-20 mondiale ed è stato il migliore Azzurro ai Mondiali di Ostia Lido.

Mazzara è naturalmente un creativo, vede lo skatepark come il pittore vede la tela, e con lo skate può dipingere sempre qualcosa di nuovo: «Sono sempre stato molto fantasioso e lo skate mi dà la possibilità di esprimermi al meglio, quando provo a creare nuovi trick, o quando vado a guardare quelli degli altri per provare a farli miei, replicarli ma con il mio stile e la mia tecnica». Ai massimi livelli di ogni sport anche l’ispirazione nasce dallo studio, dalla conoscenza, dalla consapevolezza. E per chi è nato negli anni Duemila questo vuol dire trovare modelli da emulare, magari in un video su YouTube o su Instagram. Molti skater usano così i social, studiano dai colleghi e dai più bravi, poi ricambiano il favore postando le loro cose, così si fanno conoscere in tutto il mondo mettendo le acrobazie online. «C’è stato un periodo», racconta Mazzara, «in cui usavo molto YouTube, volevo far vedere alle persone cosa facevo durante le mie giornate, durante le gare, con le mie video part (segmenti video di pochi minuti piene di trick, nda). È bellissimo ma è come un lavoro, devi starci dietro. Solo che quando ci sono le gare non c’è tempo, purtroppo. Ma è un progetto che non ho abbandonato». Adesso la testa è tutta sulle Olimpiadi, ma guardando un po’ più in là Mazzara ha in programma una nuova sessione di film ad attenderlo: «Vorrei riprendere delle video part di tre o quattro minuti in giro, con tutti i trick più fighi», per filmare tra Sicilia (suo luogo di nascita), Roma (casa sua) e Stati Uniti (casa dello skate). «Ho in mente un progetto video incredibile, è una delle cose che ho in agenda».

Quando parla dello skate, Mazzara mostra la passione primordiale di chi è cresciuto con la tavola sotto i piedi e ha immaginato ogni evoluzione possibile. Ha cominciato su rampe e funbox vicino casa, a Cinecittà, quando aveva sei anni. Un amore nato quasi per caso. «I miei hanno provato a farmi giocare a calcio, ma non mi è mai piaciuto», dice Mazzara. Allora lo skatepark era il piano b: «Mio padre mi aveva portato lì con mio fratello, avevamo le scarpe con le rotelline, mentre i ragazzi un po’ più grandicelli erano tutti con gli skate, sembrava bellissimo. Così il giorno dopo li avevamo anche noi». Il talento c’era fin dall’inizio, la passione pure, lui dalla tavola non è più sceso. Sempre con l’idea che ostacoli e limiti sono solo sfide da affrontare e da superare, con un livello crescente di difficoltà, quindi anche di divertimento. Si è fatto notare sulla scena internazionale già qualche anno fa, nel 2017, quando ha conquistato il primo posto alle Vert Finals Pro Skate al Nass Festival di Bristol. Aveva a 13 anni. Ancora adesso vive tutto con lo stesso spirito del primo giorno: quando chiude un trick ha le stesse vibrazioni di allora, le emozioni di una run perfetta sono sempre quelle. Eppure questa è la parte più difficile, perché ora lo skate è anche un lavoro, una cosa seria. «A un certo punto ho pensato che, se avessi voluto legare lo skate a tutte le responsabilità che comporta farlo a livello professionale, avrei preferito renderlo un semplice passatempo, una passione. Poi ho capito che l’unico compromesso possibile era uno in cui lo skate fosse la parte maggioritaria della mia vita, perché in fondo quello che voglio è stare sulla tavola più tempo possibile. Insomma, c’era una sola strada: dovevo levarmi di torno un po’ di distrazioni, anche persone che non sapevano come aiutarmi, e trovare un nuovo equilibrio in questa sovrapposizione tra divertimento e lavoro».

Il dilemma di una passione che diventa lavoro non è un’esclusiva degli skater. Ma in questo campo è diventato una specie di guerra santa: lo scetticismo è diventato ostilità. Nell’universo underground in cui è germogliato lo skate – l’invenzione risale agli anni Cinquanta, e si deve ai surfiti californiani che dovevano impegnare il tempo quando le onde erano piatte – molti vedono le competizioni come un imborghesimento che sfregia la purezza di evoluzioni e trick; altri preferiscono vedere i lati positivi di una maggiore attenzione mediatica e di pubblico. «Io non non mi schiero da nessuna delle delle due parti», dice Mazzara. «Perché sono per l’underground, stare in giro con gli amici e skatare mi piace da morire. Però riconosco che se vuoi vivere di skate oggi, in Italia, l’unica via è fare le gare, puntare alle Olimpiadi, che sono un’opportunità per uno sport che è ancora piccolo. Questi grandi eventi sono un’occasione per crescere velocemente». Dopotutto, solo nell’ultimo anno in Italia sono spuntati nuovi park a Palermo, Lecce, Modena, Cervia, Milano, Marghera. E sempre più ragazzini iniziano a skatare.

Quest’evoluzione può sembrare naturale o forzata, ma resta sistemica. Perché lo skate si fa ogni giorno un po’ più sport e un po’ meno arte, un po’ più disciplina e un po’ meno estro: «Sempre più spesso», conclude Mazzara, «i giovani iniziano ad avere allenatori e preparatori atletici, si allenano in palestra, fanno cose che prima non si pensavano nemmeno. E anche se l’underground skating continua a essere maggioritario, forse dargli visibilità è il modo migliore per far crescere la cultura».

Da Undici n° 56.