Nathan Aké è diventato fortissimo

La partita tra Paesi Bassi e Polonia è stata dominata dal difensore del Manchester City. Anche dal punto di vista offensivo.

Riguardando gli highlights di Paesi Bassi-Polonia 2-1, una delle cose che risalta di più è la presenza costante – viene da dire inquietante, almeno dal punto di vista dei giocatori/tifosi polacchi – di Nathan Aké: il difensore del Manchester City, schierato come braccetto di sinistra in una linea a tre piuttosto fluida, in realtà è stato il regista, l’ispiratore della manovra, il rifinitore della sua squadra. Era sempre lì, sempre pronto a farsi dare il pallone, a portarlo su verso la metà campo avversaria, a intercettarlo dopo le respinte dei difensori polacca. Ed è così che si è determinato il il gol del pareggio di Gakpo: una palla risputata fuori dall’area di rigore della Polonia era diretta verso Urbanski, solo che Aké ha anticipato l’attaccante del Bologna – tra l’altro in bello stile, con uno scatto imperioso e un delicatissimo controllo a seguire – e si è subito lanciato in avanti, in modo da creare spazio per la conclusione immediata di Gakpo. La palla, deviata da Salamon, è diventata imprendibile per Szczesny.

Di solito le statistiche personali non sono il miglior modo per definire e valutare la prestazione di un calciatore. Nel caso di Aké in Paesi Bassi-Polonia 2-1, però, i numeri toccati dal centrale del Manchester City hanno avuto e hanno un peso importante. Perché sono i numeri di un trequartista, o comunque di un centrocampista di costruzione, solo che Aké è stato a tutti gli effetti un difensore, un braccetto di una difesa a tre. Offensivo, ok, ma pur sempre un difensore. E allora vale la pena snocciolarli, questi numeri: in 86 minuti giocati, l’ex Bournemouth ha messo insieme 76 palloni giocati, 63 passaggi riusciti su 67 tentati, 4 occasioni create, due assist decisivi. E poi ci sono anche i numeri difensivi: 4 palloni spazzati, un duello aereo vinto, un tackle da ultimo uomo portato a termine

Le sovrapposizioni con e senza palla di Aké hanno creato uno scompenso evidente nel sistema difensivo della Polonia: la Nazionale di Probierz, schierata con un 4-4-2 a dir poco ortodosso, non è mai riuscita a scalare efficacemente sulle proiezioni offensive del centrale olandese, e così Gakpo si è ritrovato spesso isolato contro Bednarek – un terzino decisamente meno reattivo ed esplosivo dell’esterno del Liverpool. L’alternativa era lasciare entrare Aké, dargli la possibilità di portare palla e poi di rifinire l’azione con il suo sinistro. Ed è così, esattamente così, che è arrivato il gol decisivo, quello del 2-1 finale: ennesima percussione palla al piede di Aké, palla diagonale a centro area e tiro di prima a opera di Wout Weghorst, entrato da pochissimi secondi per dare più peso all’attacco degli Oranje. Non male come interpretazione tattica, da parte di Koeman.

A guardare queste immagini sembra che Aké sia ovunque, e in realtà è proprio così

Quando Nathan Aké è arrivato al Manchester City, quattro anni fa, in tanti hanno aggrottato il sopracciglio. Perché il club ammiraglio del City Football Group ha investito 45 milioni per acquistarlo, una cifra che sembrava eccessiva per un difensore proveniente dal Bournemouth. Ma anche perché si trattava di uno dei tantissimi calciatori che non era riuscito a imporsi al Chelsea, e allora aveva dovuto fare uno o due passi indietro per rilanciarsi, fino al punto da riciclarsi in prestito al Watford. Anche al City le cose non erano iniziate benissimo: 13 presenze totali nella prima stagione erano state troppo poche per pensare che fosse al livello della squadra di Guardiola.

Guardiola, appunto: Pep nel frattempo ha lavorato tantissimo su Aké, l’ha reso il difensore poliedrico e modernissimo che vediamo oggi, al punto da renderlo fondamentale nelle sue rotazioni. E per rotazioni intendiamo quelle relative al turnover – nelle ultime due stagioni, il difensore olandese ha messo insieme 85 partite ufficiali in tutte le competizioni – ma anche quelle tattiche: nel City, infatti, i centrali puri sono una specie che non esiste, tutti i difensori svolgono funzioni e occupano posizioni diverse, interpretano il ruolo in modo variegato, devono pensare e agire come dei costruttori di gioco statici ma anche come degli invasori offensivi, come degli elementi in grado di portare palla e creare superiorità numerica. Ecco, questo percorso di formazione ha cambiato Aké, l’ha trasformato nel giocatore di primo livello che stiamo vedendo agli Europei, in uno dei difensori più completi del panorama europeo, anche se ormai è incamminato verso i trent’anni – li compirà a febbraio 2025. In virtù di tutto questo la storia di Aké ci dice anche che c’è sempre tempo per crescere, per imporsi, se ci sono le qualità e le persone (gli scout, gli allenatori, i commissari tecnici) che servono per individuarle, per comprenderle, per sfruttarle e valorizzarle. Non è una cosa da poco, nel calcio ipertrofico di oggi.