A Palermo, il City Football Group sta facendo le cose in grande

Reportage dal capoluogo siciliano, dove è stato inaugurato un centro sportivo di proprietà. E dove il CFG vuole cambiare la storia.

È l’ultimo weekend del giugno 2022, l’estate di Palermo e del Palermo è iniziata in modo decisamente adrenalinico: una corsa playoff vissuta febbrilmente, un sold out al Renzo Barbera dopo l’altro, dal primo turno con la Triestina al secondo con l’Entella, poi gli ultimi ostacoli, Salò e Padova, quindi la festa per il ritorno in Serie B. L’epilogo trionfale ha chiuso nel modo migliore il ciclo post-fallimento. Ad accendere ancora di più l’entusiasmo, però, sono le notizie extracampo, che riguardano – con risvolti positivi, per una volta – la proprietà del club. Quel sabato pomeriggio, nel piazzale davanti allo stadio – Largo Cestmir Vycpalek, dedicato alla bandiera del Palermo anni ’60, nonché zio materno di Zdeněk Zeman –, il silenzio è squarciato da una scena singolare ed esplicativa: a bordo di «una rumorosa Fiat Panda truccata, con la musica a palla», racconta chi era sul posto, arriva un tifoso vestito con una dishdasha, abito tradizionale degli Emirati Arabi Uniti. Il riferimento è chiaro: ancora pochi giorni e l’infinità di indiscrezioni dei mesi precedenti si sarebbe trasformata in realtà, nel momento in cui il Palermo Football Club sarebbe entrato a fare parte del City Football Group (CFG).

Ad aprile, quando Gianluca Di Marzio ipotizzava uno scenario simile, in pochi credevano che davvero la holding emiratina, per intenderci quella del Manchester City, sarebbe sbarcata a Palermo. «Non ci credeva nessuno», «è la classica situazione in cui dici: figurati se succede qui», ricorda chi ha vissuto il processo da vicino. L’incubo-Tuttolomondo e la cicatrice del fallimento avevano lasciato in eredità una robusta e diffusa diffidenza, sciolta soltanto dopo le visite di Ferran Soriano e Brian Marwood, emissari del CFG. L’1 luglio 2022 è il giorno della presentazione ufficiale della nuova proprietà, la data che passerà alla storia del club di Viale del Fante – dove, intanto, ha luogo un’altra festa, a due settimane da quella per la promozione.

Con un flashforward di una novantina di settimane, invece, si arriva al weekend del 6-7 aprile 2024: al Barbera si gioca Palermo-Sampdoria, e l’atmosfera che mi accoglie è quella di un sabato di campionato. C’è tensione, innanzitutto: in palio ci sono tre punti pesanti contro una diretta rivale (finirà 2-2), con i rosanero reduci da un periodo complicato e dall’esonero di Eugenio Corini. Eppure la passione e l’energia con cui rispondono gli oltre 23mila tifosi presenti sembra suggerire il contrario. Curva Nord gremita, stadio in pieno stile Italia ’90 su cui si affaccia il Santuario di Santa Rosalia; lassù, dietro la Tribuna, il Monte Pellegrino; il colpo d’occhio è egemonizzato cromaticamente dal contrasto rosa-nero, perfino i loghi negli spazi pubblicitari sono a tinte sociali.

C’è un punto di contatto tra il weekend scorso, all’apparenza un routinario sabato primaverile, e il primo luglio 2022. Anche questo, infatti, è un momento significativo per il club, che sta inaugurando il nuovo centro sportivo a Torretta: un importante checkpoint, dopo 124 anni di storia senza strutture di proprietà. C’è una velata aria di festa e una certa voglia – coltivata negli ultimi cinque anni – di guardare al passato, più e meno recente. Tra gli invitati, non per caso, si fanno vedere in tribuna “El Flaco” Pastore, “Ciccio” Brienza, Tedesco, Galeoto e altre vecchie glorie chiamate a rappresentare i tifosi rosanero di tutte le generazioni. Da remoto, sul maxischermo, nell’evento del giorno dopo si collegherà anche Luca Toni, che in tono scherzoso farà una lucida istantanea del Palermo FC, «il satellite non di una squadretta, ma della squadra più forte al mondo… e ben venga essere la succursale del Manchester City!».

Prima di addentrarci nelle strategie e nell’operato del City Football Group, è utile inquadrare il contesto, con una rapida scorsa degli eventi a cavallo del maledetto 2019, anno della radiazione e del fallimento dell’allora U.S. Città di Palermo.

Gli antefatti

Conclusa l’era di Maurizio Zamparini, quindici anni di luci e ombre, il club finiva nelle mani di Walter e Salvatore Tuttolomondo, trovandosi ben presto ad affrontare serie difficoltà finanziarie, in parte ereditate dalla precedente gestione. Il caotico congedo dei Tuttolomondo da Palermo, in breve, sarà praticamente una fuga con annesso arresto, le accuse di falso in bilancio, bancarotta fraudolenta, indebita compensazione di imposte con crediti inesistenti, autoriciclaggio e ostacolo alle funzioni di vigilanza, in relazione all’operato della Sporting Network e dell’Arkus Network, entrambe società riconducibili ai due fratelli.

Così la stagione 2018/19 dei rosanero, chiusa al terzo posto in Serie B con 63 punti, arrivava anzitempo al capolinea con una sentenza del Tribunale Federale; o meglio con una serie di udienze e pronunciamenti che portavano all’esclusione dai playoff prima e una penalizzazione poi, coinvolgendo giustizia ordinaria e sportiva, oltre a mezza Serie B, per via dei continui aggiustamenti apportati alla classifica e alla composizione di playoff e playout. In ogni caso, nei mesi successivi il club dichiarava il fallimento, lasciando orfana – per la sesta volta nella sua storia, l’ultima a fine anni Ottanta – una delle piazze italiane più innamorate dei propri colori.

Al bando per la ricostituzione della società si presentavano, nella sfiducia popolare, diversi candidati: Nunzio Salvatore e Francesco Colella, proprietari del marchio Alcott desiderosi di acquisire una realtà calcistica siciliana, senza però riuscirci né a Palermo né a Siracusa; il gruppo Zurich Capital, nelle figure di Alfredo Maiolese e del libano-kuwaitiano Fahed Al Meraabi; Massimo Ferrero, in uscita dalla Samp; alla fine, però, a spuntarla è stata la cordata guidata da Dario Mirri (attraverso la Hera Hora Srl), suo padre Daniele Mirri e l’imprenditore italo-americano Tony Di Piazza. Con loro, arrivavano una quindicina di milioni di euro per restaurare le fondamenta del club, che sotto un nuovo nome, logo e assetto societario si apprestava a ripartire dalla Serie D. Con una sola certezza: la volontà di riconnettersi alla città, grazie alle garanzie offerte da Dario Mirri – nipote dello storico presidente Renzo Barbera e da sempre tifoso del Palermo – e da una piazza che non hai mai voltato le spalle alla squadra, come ricordano i 12 mila abbonati per la stagione in Serie D, un record.

Del triumvirato al vertice, dopo qualche mese restava il solo Dario Mirri, che ancora oggi ricopre la carica di presidente. La sua stagione 2019/20, fino allo stop per la pandemia almeno, decideva di viverla come sempre, nonostante il nuovo ruolo: in mezzo ai tifosi, in Tribuna Monte Pellegrino, lasciando ad altri il posto in tribuna autorità. L’annata della squadra – costruita dall’ad Rinaldo Sagramola e allenata da Rosario Pergolizzi, due volti familiari – scorreva invece su binari piuttosto tranquilli, con un rassicurante vantaggio su tutte le inseguitrici in classifica che si trasformava, in seguito alla sospensione, nella promozione automatica in Serie C.

La seconda vetta da provare a raggiungere era a quel punto la Serie B, con una finestra temporale che Mirri aveva indicato di ventiquattro mesi, dunque fino all’estate 2022. Gli investimenti della proprietà avrebbero consentito di completare il ciclo triennale, non oltre. «Come ho sempre detto, il Palermo ha bisogno di un ulteriore sostegno economico», spiegava Mirri, «e io guardo al futuro come qualsiasi papà che per i propri figli ha il desiderio di garantire loro la migliore crescita possibile».

Iniziava così la ricerca di un nuovo attore protagonista per le sorti del Palermo FC. Il tutto, muovendosi nel contesto di un biennio rovinato – a livello ambientale e anche finanziario – dalla pandemia: tra alti e bassi, in campo e fuori, in quei ventiquattro mesi la parola d’ordine in Viale del Fante era la stessa di tutti noi, resilienza. 

È tutto vero

Da presidente-tifoso qual era ed è, anche Mirri temeva quel delicato passaggio di consegne. Perciò, nella ricerca di potenziali investitori, si affidava alla banca d’affari Lazard. Mettendo in chiaro che avrebbe ascoltato soltanto offerte da investitori credibili, con solide garanzie economiche e un trascorso in ambito sportivo. I conti del Palermo, del resto, erano finalmente trasparenti e in ordine, i candidati non mancavano: James Pallotta, una cordata italiana e un paio di fondi stranieri facevano un tentativo, ma Mirri puntava più in alto. E la storia gli darà ragione, anche stavolta.

«Sono qui per chiudere un accordo, non per negoziare», diceva a Ferran Soriano, come racconta lui stesso, in occasione del primo incontro tra i due, a Londra. Ed è proprio a quella stretta di mano che si arriverà qualche mese più tardi, mentre il club sul fronte interno smaltiva alcune questioni in sospeso (la causa per un debito del “vecchio” Palermo con Horacio Luis Rolla, agente di Cavani, e il contenzioso legale con Tony Di Piazza presso il Tribunale di Catania). Iniziava una nuova era.

Eccoci quindi ai giorni dell’arrivo nel capoluogo siciliano del City Football Group. In un travolgente finale di stagione, come anticipato, i rosanero avevano strappato nei playoff il pass per la Serie B: una condizione non posta come necessaria dal CFG durante le trattative, ma che sicuramente rappresentava un gradito avanzamento e un ottimo affare per tutte le parti in causa. Verranno piantati in Serie B, dunque, i blocchi di partenza dell’ambizioso progetto di Mansour bin Zayed Al Nahyan, esponente della famiglia reale di Abu Dhabi e numero uno della holding emiratina.

L’acquisizione iniziale è dell’80% delle quote societarie, ma la partecipazione del CFG raggiungerà presto il 95%, mediante un finanziamento soci. A Dario Mirri resterà il 5%, oltre alla carica di presidente, e un simbolico 0.06% all’associazione Amici Rosanero (cui lo statuto societario riconosce però un’incidenza del 10% in sede assembleare, in virtù del modello partecipativo istituito nel 2019).

L’ingresso in famiglia viene accolto, come consuetudine, da tutti i co-abitanti del “Pianeta City”. Arrivano tweet e comunicati da Manchester, ma anche da altri Paesi europei come Spagna (Girona), Francia (Troyes) e Belgio (Lommel). E non solo, perché il network non conosce davvero confini: si aggiungono Stati Uniti (New York City FC), Uruguay (Montevideo City Torque), Bolivia (Club Bolivar), India (Mumbay City), Cina (Sichuan Juniu), Giappone (Yokohama F. Marinos) e Australia (Melbourne City). Un vero e proprio impero, sportivo e finanziario, che successivamente pianterà una bandierina anche in Brasile (Bahia), accelerando ulteriormente la propria ascesa sul mondo del calcio.

Il pallone non entra mai per caso

Come si legge nel titolo del libro scritto da Ferran Soriano sul suo viaggio a Barcellona, dove ha lavorato prima di trasferirsi a Manchester e dove è riconosciuto tra i principali artefici dell’età aurea dei catalani, ogni gol è frutto di un lavoro corale. Dall’inizio alla fine. Se Soriano fosse un allenatore, si starebbe probabilmente parlando di costruzione dal basso e tattica; siamo invece in ambito manageriale, nel campo della “costruzione dall’alto”. Nell’opera il dirigente catalano ha infatti raccontato i segreti del suo Barcellona, ovvero programmazione a medio-lungo termine, coerenza tra progetto tecnico e scelte dirigenziali, condivisione di informazioni e conoscenze tra i diversi livelli della struttura. Gli stessi assiomi che, sviluppati e masterizzati, costituiranno le basi del City Football Group e di quella filosofia importata a Manchester, non per caso, da tre catalani: Pep Guardiola (da otto anni sulla panchina dei Citizens), Tziki Begiristain (il “padre” dell’Academy blaugrana) e, appunto, Ferran Soriano (oggi CEO della holding).

Oltre alla nota disponibilità di capitali, il CFG si presenta mettendo a disposizione dei propri affiliati tutto il know-how acquisito sul campo negli ultimi quindici anni – dall’inizio a Manchester nel 2008, sotto il cappello dell’Abu Dhabi United Group, all’espansione oltreoceano con il New York City e alla creazione, nel 2013, della costellazione di club per come la conosciamo oggi. Una struttura mastodontica che ha portato il City sulla vetta d’Inghilterra prima e d’Europa poi, ispirando e anzi innescando lo sviluppo dei propri satelliti. In che modo? Schematicamente, si può riassumere in questi cinque punti il contributo “organico” del CFG:

Il franchising di una multi-club ownership che fonda le proprie fortune sulla replica trasversale (sportivamente e geograficamente parlando) di processi gestionali e modelli di business affermati su scala globale, e su una struttura piramidale che parte dal club campione d’Europa e del Mondo;

L’inserimento all’interno di un ecosistema che garantisce tangibili vantaggi in termini di visibilità, sponsorship e possibilità commerciali (ad esempio, nella diffusione del brand e dei suoi prodotti, o nell’organizzazione di tour estivi e nella vendita dei relativi diritti tv);

La visibilità, all’interno di un enorme database condiviso, di informazioni e dati che ampliano la gittata e la capillarità dello scouting, e forniscono un punto di riferimento per processioni decisionali di qualsiasi livello (ad esempio, gestione degli infortuni e progettazione di infrastrutture);

L’accesso al “Guardiola Playbook”, dunque il coinvolgimento in un disegno calcistico condiviso da tutti i club controllati, direttamente coinvolti – e adeguatamente formati – nel lavoro sul campo del manager catalano; come ha spiegato Brian Marwood, managing director of global football, “il riferimento è Pep, se inventa un esercizio durante un allenamento lo condividiamo con i nostri tecnici a Melbourne, New York, Montevideo, dove è importante quindi che sappiano quello che stiamo facendo”;

L’interconnessione tra affiliati per la creazione di valore economico e sviluppo del talento, non solo per la condivisione di conoscenze ma anche con lo scambio diretto di giocatori (la storia del “Taty” Castellanos è emblematica in tal senso, così come l’exploit del Girona e la controversa situazione del Troyes).

Il lavoro del CFG, insomma, parte da un’attenta revisione della struttura societaria, ottimizzando i costi e standardizzando i processi, e da una valorizzazione a 360 gradi dell’identità del brand, come mostrato brillantemente proprio nel caso palermitano. Investimenti mirati, dunque: mettete da parte la narrativa sulle spese pazze che spesso accompagna i progetti finanziati dal Golfo Persico, alimentando aspettative sproporzionate o affrettate. Non troverete nulla di tutto ciò nella comunicazione con il mondo esterno da parte dei club appartenenti alla galassia-CFG, il cui modus operandi prevede al contrario un approccio cauto e paziente, con l’adozione di timeline improntate all’equilibrio tra esposizione finanziaria e crescita organica.

L’estremo opposto, quindi, del concetto di “vicini rumorosi” introdotto a suo tempo da Sir Alex Ferguson, e poi ripreso all’Etihad Stadium da un indimenticato “noisy neighbours are getting louder”. L’obiettivo del primo anno a Palermo, da neopromossi, era quindi stabilizzarsi in Serie B; tant’è che nel bilancio redatto a giugno 2023 – dopo il nono posto, un deludente girone di ritorno e una qualificazione ai playoff sfumata all’ultimo minuto – si definiva «soddisfacente» il risultato ottenuto nella prima stagione sportiva con la nuova proprietà e nella nuova categoria. Al netto di tale prudenza, però, l’avventura intrapresa con il Palermo sembra più simile al progetto Manchester City, nelle premesse almeno, che a tutti gli altri inaugurati in Europa e nel Mondo. Le potenzialità del bacino d’utenza e la storia del club, infatti, lasciano lecitamente spazio a un dubbio: e se fosse proprio il Palermo a forzare un “cambio di modulo” del City Football Group, con il passaggio da una struttura piramidale a un attacco a due punte?

“Vicini rumorosi” d’Italia?

Oltre 625mila abitanti e 23mila presenti di media allo stadio fanno di Palermo, città e squadra, una potenziale miniera d’oro. Soprattutto per un gruppo con la capacità di estrazione del City Football Group. Il capoluogo siciliano è la quinta città più popolosa d’Italia, con 70-80mila residenti in più di Manchester, e non spartisce certo la platea con il Man-U, anzi si muove in un mercato – la Sicilia appunto, con i suoi 4.8 milioni di abitanti cui si aggiungono 815mila residenti all’estero – attualmente non rappresentato in Serie A.

Il coinvolgimento e il sentimento del pubblico rosanero, poi, fanno il resto: il Barbera è attualmente lo stadio con l’affluenza media più alta in Serie B, non certo una sorpresa ricordando i quasi 12mila abbonati in D (numeri che, per intenderci, non sfigurerebbero affatto nella massima serie); anche per questo il merchandising è uno dei più remunerativi in Italia, e allo stesso tempo tra quelli con maggiori prospettive di crescita, considerando il travagliato passato recente e gli importanti investimenti della nuova proprietà in quest’area.

Un paesaggio particolarmente fertile, dunque, e senz’altro diverso da quelli di Girona e Troyes, che sono gli unici termini di paragone per il livello competitivo del contesto, non certo per il seguito; né tantomeno per la tradizione, considerando che nessuno dei club targati CFG – sempre ad esclusione del Manchester City – ha un reale pedigree europeo, mentre il Barbera si è gustato la Coppa Uefa/Europa League per cinque stagioni tra il 2005 e il 2011. Nel caso in cui dovesse tornarci nei prossimi anni, così come per qualsiasi altro club appartenente alla holding, si assisterebbe a un rimpasto nella dirigenza, come già visto con Lipsia e Salisburgo nel gruppo Red Bull.

Come spiega Ferran Soriano, «il Palermo è un club storico con un’identità forte e orgogliosa, una squadra speciale a cui vogliamo aggiungere valore migliorando costantemente le prestazioni dentro e fuori dal campo, facendo leva sulla nostra esperienza e competenza». Brian Marwood aggiunge: «Ci è stata subito chiara la tradizione e il valore che la squadra ha per la città, Palermo offre sempre spettacoli straordinari. Nella considerazione della proprietà, è subito sotto Manchester. In questi due anni la risposta della città in termini di presenze, abbonamenti e marketing è stata al di sopra delle aspettative. Il nostro viaggio sarà a tappe, dobbiamo capire e farci capire, migliorarci ogni giorno, seguire principi precisi e programmare».

“Getting louder”

Niente proclami altisonanti, si diceva: prima e durante l’anno in corso, il secondo, si è sempre parlato di quarto/quinto posto come obiettivo e metro di valutazione – lo confermano le tempistiche che hanno portato all’esonero di Corini. Ciò detto, gli investimenti del City Football Group nei primi venti mesi sull’isola non sono stati esigui, anzi. In totale, contando anche l’acquisizione, il gettito economico sfiora i 50 milioni di euro, come si evince dall’ultimo bilancio, in perdita di 11 milioni circa (più o meno la cifra spesa sul mercato nell’ultima sessione, dopo gli otto di quella precedente). Un passivo dovuto a un ingente aumento dei costi, soprattutto la spesa per gli ingaggi, che è quadruplicata; tutto abbastanza “normale”, a maggior ragione per una realtà assimilabile a una startup che sta investendo per crescere e tornare su palcoscenici luminosi, con solide basi per assestarsi anche lì. E poi chissà.

Tra le fondamenta su cui si è puntato immediatamente, raccogliendo il testimone della precedente proprietà, spicca il Palermo City Football Academy (CFA), il centro sportivo situato a Torretta, poco fuori città, e inaugurato ufficialmente lo scorso weekend nell’evento organizzato in collaborazione con Social Media Soccer, Mosaico Studio e Go Project, e in presenza delle tante “Legends” rosanero. Un complesso all’avanguardia che si estende per 50.000 mq di superficie totale, immerso nel verde, comprensivo di due campi regolamentari in erba naturale, uno ridotto per il lavoro individuale, un edificio principale con palestra, sale riunioni, open space all’aperto e al chiuso, sala stampa per le conferenze pre-partita.

Foto Palermo FC

«Si tratta in primo luogo di un valore identitario», come spiegato dall’ad Giovanni Gardini. «Da oggi la squadra ha una propria casa, un aspetto decisivo per una società che intende ritagliarsi uno spazio importante. Inoltre è un investimento che potrà contribuire ad accrescere il valore del nostro brand, e ci aspettiamo nel medio periodo un ritorno in termini di performance della squadra, grazie alla ricerca delle condizioni ottimali per i calciatori: la stanza dedicata alla nutrizione, quella per la riabilitazione, una rete dati all’avanguardia che permette un monitoraggio costante dei calciatori, per metterli nelle condizioni di esprimersi al meglio delle possibilità».

Il CFA è costato una cifra di circa sette milioni di euro, inizialmente preventivati da Mirri sotto forma di finanziamento e poi stanziati integralmente dalle casse del City Football Group (tramite Palermo Calcio Real Estate). Ne saranno spesi altri per l’acquisto dei terreni circostanti e l’espansione del centro, quindi per consentire alle formazioni giovanili e femminili di seguire la prima squadra. Viene abbastanza naturale pensare che al prossimo importante traguardo – senza girarci intorno, l’approdo in Serie A (quest’anno è obbligatorio provarci, il prossimo forse riuscirci) – potrebbe essere destinato alle infrastrutture un altro consistente investimento, avviando il cantiere per un intervento di manutenzione dello stadio Renzo Barbera. L’impianto comunale, costruito quasi un secolo fa e restaurato per i Mondiali del 1990, avrà bisogno di un’opera di ammodernamento, e sfogliando il bilancio del City Football Group sembra di intravedere già uno scenario simile all’orizzonte. Il CFG chiarisce infatti la propria disponibilità a collaborare con il Comune di Palermo, accelerando le tempistiche e coprendo una parte delle spese iniziali.

Intanto, comunque, i rosanero di godono la struttura inaugurata sabato a Torretta e si preparano per il finale di stagione. L’obiettivo, seppur non (ancora) disperato, è imporsi nei playoff e tornare in Serie A. «Il City ha costruito il proprio centro nel 2014», ricorda Marwood, «e guardate i risultati maturati subito dopo».